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    La vita non è mai riposo



    Ardea Montebelli

    (NPG 2020-03-68)

    Alberto Marvelli è nato a Ferrara il 21 marzo 1918 ed è morto a Rimini il 5 ottobre 1946, a soli 28 anni, in un incidente stradale. Nella Rimini martoriata e distrutta dai bombardamenti e nel primo dopoguerra è stato una figura di grande rilievo, non solo per l'integrità di vita, ma anche per l'impegno sociale e politico. Laureato in Ingegneria, è stato dirigente dell’Azione Cattolica della diocesi di Rimini e presidente dei Laureati Cattolici, membro del direttivo della Democrazia Cristiana e assessore comunale. Ha vissuto da protagonista i grandi avvenimenti storici dell'epoca, anticipando profeticamente il ruolo e la vocazione del laico cristiano proposti poi dal Concilio Vaticano II. La vita di Alberto è stata davvero una magnifica avventura, un’intensa corsa in bicicletta da autentico protagonista come appassionato animatore nell’oratorio salesiano, come infaticabile assessore alla ricostruzione, come coraggioso amico degli sfollati e dei poveri dei quali si è sempre preso amorevolmente cura (1).
    Alberto Marvelli scrive sul suo prezioso diario nella Pasqua del 1938 all’età di venti anni: “Una meta mi sono prefisso di raggiungere ad ogni costo con l’aiuto di Dio. Meta alta, sublime, preziosa desiderata da tempo, ma finora mai attuata: essere santo, apostolo, caritatevole, studioso, puro, forte. Voglio, o Gesù, farmi santo. Aiutami e soccorrimi Tu” (2).
    Il sogno di santità di Alberto non é frutto di scelte occasionali, una sorta di incosciente improvvisazione di accadimenti, al contrario è una definitiva e totale donazione di sé sostenuta completamente dalla grazia del Signore, in una battuta: la sua è una vita orientata verso Dio.
    È presuntuoso il sogno di Alberto? È presuntuoso un proposito di vita che tenta di percorrere la via dei santi? Sì, lo sarebbe se, per raggiungere la meta, Alberto avesse contato solo su se stesso. Scrive ancora sul suo diario: “Lo sai, o Signore, nulla io posso da me, sono il più miserabile di questa terra, confido completamente nel tuo aiuto e, da parte mia, cercherò di mettere la maggior volontà possibile” (3).
    Alberto, sperimentando quotidianamente la grandezza e la bontà di Dio, ha preso sempre più coscienza della propria fragilità, della propria piccolezza. A questo proposito, chiedeva continuamente al Signore il dono dell’umiltà e il dono di vincere l’impazienza (4).
    Orgoglio, superbia, impazienza avrebbero sicuramente ostacolato il suo sogno di santità soprattutto quando, a causa di lutti famigliari, ingratitudini, ingiustizie subite a livello personale, ingiustizie sociali, la guerra, la croce da portare diventa pesantissima e la tentazione di alleggerirla si fa sempre più forte. Ma Alberto non perde mai di vista la meta radiosa e preziosa da raggiungere. L’oratorio salesiano di Rimini è il luogo in cui Alberto ha fatto l’importante scoperta che la santità è facile, è per tutti, è possibile, è bella e non è noiosa, ma è la nostra piena felicità. Il suo cammino spirituale è basato sulla preghiera, sull’eucarestia, sulla carità verso il prossimo, sull’amore alla Madonna, alla quale, a 16 anni, aveva consacrato il suo cuore (5).

    I due amori

    Don Bosco, il Santo dei giovani, nella sua spiritualità aveva due punti fermi: Gesù Cristo presente nell’Eucarestia e Maria SS. Immacolata, questo è ben evidenziato nel sogno cosiddetto delle due colonne. Ripeteva spesso ai suoi ragazzi: due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto scompiglio: devozione a Maria SS., frequente comunione (6).
    Gli amori di don Bosco divennero ben presto gli amori di Alberto. Egli è un contemplativo nell’azione. La sua santità ben radicata su questa terra, lo porta ad alzare lo sguardo verso il cielo e a desiderare il momento in cui potrà immergersi nell’immensità di Dio (7). Frequentando l’oratorio salesiano Alberto, sull’esempio di san Domenico Savio, sperimenta le gioie della purezza, scrive sul diario nel gennaio 1938: ”Un cuore puro gusta le gioie dell’anima, dell’unione intima e continua di Dio, della contemplazione delle sue sembianze sotto forma del Santo Sacramento”(8).
    L’insegnamento di don Bosco nel fare “buoni cristiani e onesti cittadini” è cresciuto rigoglioso nel cuore di Alberto Marvelli, suscitando in esso quell’infinito desiderio di santità come programma di vita.
    Nella vita di Alberto l’impegno in politica occupa sicuramente un posto privilegiato, per lui la politica è amore, è l’estrema conseguenza della carità sociale e strumento di verità. Ha vissuto l’impegno in politica come un servizio alla collettività, credeva che l’attività politica potesse e dovesse diventare l’espressione più alta della fede vissuta. Alberto ha cominciato il suo lavoro nel partito in un momento difficile: la lotta fra i partiti era accesa e la contrapposizione delle idee radicale, anche in questa atmosfera così poco favorevole al dialogo Alberto ha saputo trovare l’atteggiamento giusto poichè la sua parola era valorizzata dalla vita che mai si è allontanata da quei principi che egli divulgava tra il popolo.
    In un foglietto, a matita, aveva scritto, riferendosi alle elezioni del giugno 1946: “Non abbiamo fatto niente per le elezioni, dobbiamo lavorare in profondità. In alcuni posti si lavora molto, ma non si fa niente. Bisogna lavorare in grazia di Dio. Nella distruzione di Sodoma e Gomorra solamente i giusti potevano salvare la città, non i duci, non i generali; essi non avevano davanti a Dio nessun diritto per salvare la patria dalla distruzione”.

    Costruire con la grazia di Dio

    Era questo lo spirito con cui faceva politica: non c’erano interessi di parte, né false ambizioni, né ricerca di tornaconto personale, c’era solo la consapevolezza che bisognava costruire il futuro del popolo italiano e ciò era possibile solo e con la grazia di Dio. Alberto era fermamente convinto che al di sopra dei partiti politici ci fossero i principi comuni dei valori universali che dovevano dare il via ad iniziative concrete per alleviare la miseria e allontanare la fame. Perciò prima dei problemi squisitamente politici, che potevano e dovevano essere risolti diversamente, vi erano problemi economici e morali che dovevano essere affrontati insieme, studiati insieme, risolti insieme. Solo lavorando insieme sul piano della carità e della mutua comprensione, ci sarebbero state sì delle divergenze nelle lotte politiche su alcuni punti ideologici dei programmi, ma sicuramente più prontezza e decisone nel voler affermare quei principi democratici che necessitavano assolutamente all’Italia. Gli amici, i giovani oratoriani, i poveri, tutti coloro che hanno avuto modo di conoscere personalmente Alberto raccontano: “Era una gioia parlare con Marvelli di grandi ideali, per sentire dentro di noi l’entusiasmo di affrontare ogni fatica e disagio, perché le parole di Gesù prendessero forma in noi con una donazione totale di servizio, di professione, di famiglia, ossia di laici in un mondo laico da consacrare.”
    Tutti erano convinti che Alberto avrebbe svolto in campo politico una carriera straordinaria e che avrebbe potuto ricoprire l’incarico di sindaco della città, come si auguravano anche molti avversari politici. Il 5 ottobre 1946 Alberto avrebbe dovuto tenere l’ultimo comizio prima delle elezioni amministrative ma a duecento metri da casa è stato investito da un camion militare che lo ha scaraventato contro il muro di cinta di una villa. Alberto non ha ferite ma, ha perso conoscenza per il forte colpo alla testa e dopo due ore di agonia muore.
    A 50 anni dalla morte di Alberto Marvelli l’amministrazione comunale di Rimini gli ha dedicato una lapide commemorativa con questo testo: “La città di Rimini ricorda Alberto Marvelli annoverandolo fra gli amministratori pubblici più coraggiosi e generosi per l’impegno, la passione e la consapevole saggezza che Rimini dovesse risorgere al più presto dalle rovine immani provocate dal secondo conflitto mondiale. Portò nella vita pubblica l’integrità della sua vita privata, la profonda fede religiosa e democratica, l’elevata professionalità, l’onestà intellettuale e morale, l’inesauribile operosità, l’amore per gli umili e i diseredati di cui comprendeva aspirazioni e bisogni.”

    NOTE

    1 “Aiutare i poveri e i derelitti il più possibile, materialmente e spiritualmente. La carità sia un cardine del mio programma di vita.” Diario pag. 64.
    2 Diario pag.55.
    3 Diario pag.55.
    4 Diario pag.44.
    5 “Questa mattina nella Santa Comunione ho consacrato il mio cuore alla Madonna Immacolata, perché lo mantenga sempre puro e immacolato come il Suo, perché mi aiuti a essere buono, compiacente, paziente, caritatevole.” Diario pag. 40.
    6 M.B. V11, 169.
    7 “… infine mi inoltro nel pensiero infinito di Dio, come un povero cieco desideroso di luce; sogno il paradiso, la gloria dei santi, lo splendore della visione dell’Eterno, la radiosa felicità dei Beati, che godono e vivono eternamente, perché hanno amato sulla terra Dio e il prossimo.” Diario pag. 73.
    8 “Il segreto della purezza è qui: avere l’anima piena di sole, piena di Dio. Non è la virtù dei rinunciatari, dei timidi. Degli inconsapevoli. Non è frutto di sole proibizioni, di sola mortificazione, di rosari soltanto. Non è un’imposizione dall’esterno; una violenza a non vedere, a non sapere, a non sperimentare. La purezza non è una corazza di ghiaccio, ma un tabernacolo, un interiore braciere di fuoco. La purezza è vita. E’ la vita di Dio dentro di noi che attrae nel suo fascino e nel suo calore il corpo e i sensi e, irradiando tutto l’uomo di spiritualità, lo orienta verso l’alto e lo potenzia di luce e fiamma soprannaturale.” (Quaderno spirituale: appunti e riassunti, 3c).

    Bibliografia

    - Alberto Marvelli, Diario e lettere, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998.
    - Alberto Marvelli, La mia vita non sia che un atto d’amore scritti inediti, Edizioni Messaggero Padova 2005.


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