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    Lavorare per produrre aggregazione


     

    Riccardo Tonelli

    (NPG 1979-02-48)


    A scanso di equivoci

    In questo articolo, il problema dell'aggregazione è studiato con due limiti oggettivi. In primo luogo, analizzo soprattutto gli ingranaggi mediante i quali si costruisce l'aggregazione, senza pronunciarmi esplicitamente sui contenuti e suoi valori che essi devono macinare. Ho fatto questa scelta non per concludere in modo agnostico o positivista, ma perché spesso anche i buoni contenuti sono svuotati dai cattivi processi.
    In secondo luogo, mi preoccupo prevalentemente dei molti gruppi giovanili «poveri», che vivono ai margini dei grossi movimenti, perché sono soprattutto questi che hanno problemi di aggregazione. Anche se sono convinto che la verifica di questo tema in chiave di metodo e non solo di contenuti, potrebbe risultare utile anche a parecchi movimenti.

    QUALE AGGREGAZIONE

    «Aggregazione» non è una parola felice. Per di più, logorata da troppo uso, rischia di diventare equivoca.
    Pronunciandola come riferimento di questo studio, può evocare sentimenti ed esperienze diverse tra i lettori; il tutto a scapito della possibilità e della serietà del confronto. A che cosa penso io, quando parlo di aggregazione-nel-gruppo?

    I tre «poli» dell'aggregazione

    Utilizzo la parola «aggregazione» pensando contemporaneamente a tre dati. Per me, sono tutti e tre egualmente importanti: non ne posso buttare uno, solo perché non riesco a trovargli il posto adatto. I tre dati sono: la pluralità di persone, la modificazione, la personalizzazione.
    Mi spiego.
    La persona cresce quando sa accogliere nuove proposte nel sistema dei valori in cui si riconosce. Questa accoglienza si realizza modificando gli schemi precedentemente elaborati: accettando di «morire» a ciò che si è conquistato, per rinascere al «nuovo», all'ulteriore, al più-avanti. Lo stimolo verso il nuovo è, generalmente, offerto dalle altre persone che con me condividono l'esistenza. L'altro è sempre un appello alla mia crescita. Quando lo so riconoscere, modificando e allargando il quadro dei miei valori, io maturo come uomo.
    Per maturare, ci vogliono perciò tre condizioni: l'incontro arricchente con altre persone, l'accettazione di quello che essi rappresentano per me, il confronto di questa proposta con il mio sistema di significati, per ridefinire l'identità personale.
    Ho ripetuto, con altre parole, i tre punti di cui parlavo sopra: la pluralità di persone, la modificazione, la personalizzazione. Questo processo gira a vuoto, si conclude in un nulla di fatto o, peggio, diventa alienante, quando si inceppa uno dei tre meccanismi. Quando manca il confronto con altre persone, perché l'individuo si crede autonomo artefice della sua soggettività; e questo può realizzarsi sia per una chiusura autistica ed egoistica, sia perché il sistema sociale non favorisce questo confronto, ingolfando tutti nell'anonimato.
    Quando non scatta la modificazione, perché non si accoglie la proposta-che-l'altro-è, come un arricchimento per la mia esistenza; e questo può realizzarsi perché la persona è incapace di cambiare, ormai sclerotizzata nelle sue conquiste, o perché non riesce a cogliere i valori di cui l'altro è portatore, distratto dalle mille luci di un sistema alienante.
    Quando, infine, manca la decisione personale, la collocazione della proposta sul piano dell'identità personale: quando, insomma, il confronto non attiva la capacità critica della persona, ma sollecita soltanto la sua reazione immediata, emotiva, irrazionale.

    L'aggregazione nel gruppo

    Questo articolo parla del gruppo suggerendo gli interventi per realizzare «aggregazione».
    A monte di tutto il discorso, c'è una immagine di gruppo: quella che permette di raggiungere aggregazione, rispettando contemporaneamente i tre punti che ho sottolineato.
    Non credo gruppo maturo quello che è centrato su se stesso, incapace di servire la personalizzazione delle proposte che offre. Neppure valuto maturo quel gruppo che per rispettare l'autonomia personale, svuota la sua carica modificante, rinunciando ad essere proposta, precisa e strutturata.
    Cerco, invece, un gruppo al servizio della crescita della persona: una persona che sa modificare gradualmente la sua identità, i valori in cui si riconosce, nel confronto con gli altri, «in e attraverso» il gruppo. Pensando a questo gruppo, mi chiedo cosa si può fare per favorire l'aggregazione.

    DOVE TROVARE SUGGERIMENTI?

    Dopo aver liberato la parola «aggregazione» dagli equivoci che potrebbe indurre, resta la domanda: come si costruisce? Dove possiamo trovare suggerimenti per formulare una risposta?

    Gli «strumenti» di lavoro

    La dinamica di gruppo è la scienza che studia i fenomeni esistenti negli «insiemi sociali» (i gruppi, appunto) e che suggerisce gli interventi per consolidare o modificare lo sviluppo di questi stessi fenomeni.
    Essa è, per suo statuto, riflessione sull'esperienza: una scienza empirica. Esamina i fenomeni che si realizzano «sul campo» e cerca di interpretarli. Offre così proposte concrete (perché nascono dal vivo dei fatti), e universali (perché sono raccolte in «costanti»). Come tutte le scienze si muove all'interno di determinati presupposti antropologici. Cambiandoli, si muta l'interpretazione dei fatti e, soprattutto, la proposta di terapie.
    Quello che sta capitando oggi, da una parte è già interpretato dalla scienza; dall'altra può avere la funzione preziosa di mettere in crisi le sue conclusioni perché ne verifica i presupposti.
    La domanda «come fare aggregazione» trova perciò risposta adeguata solo quando si riesce a creare confronto e circolazione tra i dati dell'esperienza e i suggerimenti scientifici della dinamica di gruppo. Questa affermazione esclude due modi di risolvere il problema dell'aggregazione: quello deduttivo e quello induttivo o pragmatico.
    Come non basta aprire un trattato di dinamica di gruppo per «dedurre» passivamente i suggerimenti all'azione; così neppure è sufficiente descrivere quello che sta capitando in molti gruppi, per «indurre» dalle esperienze concrete un modello praticabile.
    Il dato dell'esperienza spicciola va fatto interagire con le conclusioni della dinamica di gruppo; e viceversa. Solo in questo ideale «circolo interpretativo» si può tentare una risposta all'interrogativo che ci sta a cuore.
    Per risolvere il nostro problema, dobbiamo perciò interrogare dinamica di gruppo ed esperienze attuali. Per ragioni di metodo, queste due «voci» possono essere ascoltate in modo autonomo. Bisogna però integrare i risultati per fare una proposta concreta.

    Quello che dice la dinamica di gruppo

    La dinamica di gruppo studia il problema dell'aggregazione soprattutto quando si interroga sugli elementi che definiscono il gruppo. Infatti il rapporto tra consistenza di gruppo e indice di aggregazione è molto stretto, dal momento che il gruppo è costituito da un insieme di persone che si percepiscono come interdipendenti (si sentono cioè, in qualche modo, «aggregati»). Il rapporto gruppo-persona, che determina se l'aggregazione è personalizzante o alienante, emerge quando la dinamica di gruppo si interroga sulla funzione della «pressione di conformità».
    La dinamica di gruppo ci ricorda che l'aggregazione è legata a tre fattori, interdipendenti e suscettibili di crescita reciproca.
    Essi sono:
    – La consapevolezza che l'essere fisicamente assieme ha un senso ed è utile per raggiungere determinati obiettivi che le persone sentono come importanti e significativi. Questo primo livello è caratterizzato dalla presenza fisica di più persone in una situazione sociale e dalla coscienza del suo significato.
    – Il senso di appartenenza; e cioè la capacità di accogliere le «regole di gruppo» (rinunciando a schemi autonomi e individualistici), come condizione indispensabile per raggiungere l'obiettivo per cui ci si è posti assieme. Non tutti gli obiettivi possiedono le doti necessarie per costruire «senso di appartenenza». Si richiede che l'obiettivo sia a dimensione collaborativa, raggiungibile cioè soltanto attraverso la collaborazione di tutti; e che possieda prestigio sociale, per diventare capace di coagulare attorno a sé, nonostante le pressioni contrarie.
    – Il «cemento» del gruppo è dato, però, dai rapporti che corrono tra i membri. Quando l'obiettivo è veramente collaborativo, si scatenano necessariamente intensi rapporti «a faccia a faccia». Questo dato, lentamente, diventa significativo in sé: diventa un nuovo quasi-obiettivo di gruppo. Tecnicamente, questo fenomeno si definisce «gratificazione» e se ne parla in rapporto (o in opposizione) a «efficienza» (la capacità, cioè, di raggiungere l'obiettivo concreto che ha polarizzato attorno a sé i membri del gruppo).
    Per la dinamica di gruppo, l'aggregazione richiede, in ultima analisi, la convergenza operativa verso un obiettivo a carattere collaborativo. Non è però determinata solo da questa convergenza tecnica (efficienza), ma soprattutto dall'intensità dei rapporti interpersonali che si scatenano, in vista del raggiungimento di questo concerto obiettivo (gratificazione).
    L'itinerario teorico che la dinamica di gruppo suggerisce, in vista di un buon livello di aggregazione, è preciso: dalla presenza di più persone in un determinato spazio sociale alla consapevolezza del significato che questo fatto riveste, dalla convergenza verso obiettivi alla coscienza del significato rappresentato dai rapporti interpersonali.
    Gli esperimenti su cui lavora la dinamica di gruppo sottolineano però che si tratta di tappe più di ordine logico che cronologico, nel senso che si può partire da una qualsiasi e questa favorisce il raggiungimento delle altre.
    La dinamica di gruppo, inoltre, ci ricorda che i passaggi da un livello all'altro avvengono solo se interviene qualche «agente» (persone, fatti, esperienze-forti). Questa causa esterna aiuta a verbalizzare in modo riflesso quello che i membri di un gruppo stanno vivendo e quindi permette loro di consolidare il livello raggiunto e di procedere oltre.

    Quello che appare in molti gruppi giovanili

    Per sapere cosa emerge oggi nei gruppi giovanili, basta guardarsi d'attorno. Dove si costruisce l'aggregazione? Ogni gruppo ha le sue risposte. Possiamo però trovare un denominatore comune nella direzione delle intuizioni più nuove, di quelle che sembrano oggi le posizioni trainanti.
    Molti gruppi risolvono il problema dell'aggregazione, accentuando lo «stare assieme». Si sta assieme non perché questo permette il raggiungimento di altri obiettivi, ma «gratuitamente»: lo stare assieme è già obiettivo.
    Si sta assieme per esprimere ed esperimentare la festosità dell'esistenza, contro una società che la comprime, nel nome dell'utile o del conflitto.
    Si fa festa, per affermarsi «inquilini autosufficienti» di un ambiente sociale che emargina e allontana dai gangli della responsabilità e della produttività.
    Si sta assieme, per dire la propria creatività, svincolata forzatamente o inibita nei rapporti di produzione.
    La festa, nel gruppo, è «il tempo del risarcimento». Sottratta però dal confronto con gli ostacoli sociali del mondo esterno, essa si ripiega su se stessa. Lo stare assieme, così, ha come unica regola quella di non aver regole. Contro la logica del profitto, della produzione e del consumo, si afferma la legge dell'improvvisazione, della spontaneità, della ricerca.
    Ogni membro cede il suo tempo al gruppo non come contributo personale alla realizzazione di un progetto comune, ma sulla base di una promessa tacita di trovare poi nel gruppo un sostegno contro l'esterno, nel circuito, ristretto ma intenso, dei rapporti «a faccia a faccia».
    L'aggregazione si costruisce attorno alla gratificazione. Essa è l'obiettivo primario. E possiede di fatto le caratteristiche di un buon obiettivo di gruppo: la dimensione collettiva (perché non c'è gratificazione se non «assieme»), la carica alternativa, la ricerca di efficienza (perché la scelta è elaborata «contro» una realtà diffusa che si contesta e che si vuole cambiare).
    La gratificazione risulta valore. E possiede la capacità di catalizzare altri valori. Essa filtra ogni proposta, favorisce la circolazione delle esperienze di vita, decide il significato e l'orientamento dell'esistenza. In questo senso, l'aggregazione favorisce la definizione dell'identità personale, aiutando la persona a «crescere».
    Se facessimo un discorso dalla prospettiva di una valutazione oggettiva, certamente queste affermazioni andrebbero sfumate. Ma, nel gruppo, conta la dimensione formale. L'aggregazione non si costruisce su una scala etica, ma è proporzionata al fascino qui-ora che esercita l'obiettivo, su cui ci si aggrega.

    Per confrontare un passato recente con l'oggi

    Si capisce ancora meglio l'oggi, se Io si confronta con il passato immediatamente recente.
    I «figli del '68» avevano costruito un modello diverso di aggregazione. L'obiettivo politico diventava il punto di coagulo dello «stare assieme». Si stava assieme, per poter fare qualcosa di serio. L'efficienza creava la gratificazione. Il loro modello era, tutto sommato, più vicino a quello descritto dalla dinamica di gruppo.
    Nella logica del '68, per dirla con qualche semplificazione, contavano soprattutto questi fatti, per costruire aggregazione:
    – l'accordo preciso e sofferto sull'obiettivo; da qui le riunioni accese e interminabili per trovare un punto di convergenza o, al contrario, la scelta di «fare senza parlare»;
    – il ritmo affannoso degli impegni;
    – il bisogno di «conquistare» il più possibile; e quindi il proselitismo, la ricerca di ogni occasione buona per presentare il proprio gruppo, il volantinaggio...;
    – l'esigenza di contatto e di confronto con altre esperienze;
    – la moltiplicazione dei momenti di studio, di «campo», di incontro, conclusi tutti con un «programma» preciso e dettagliato;
    – il superamento dei confini generazionali o di età, per costruire comunità reali, sulla misura della vita (si pensi, per esempio, alle comunità di base);
    – i toni polemici (a voce o nei documenti) contro chi non accettava la funzione del gruppo o le sue scelte: c'era un innato bisogno di attaccar briga, perché questo faceva sentire vivi, prestigiosi, anche se sommergeva in un mare di guai.
    I nuovi modelli aggregativi possono invece essere descritti quasi facendo il negativo di questo ritratto: il bisogno del piccolo gruppo, che non dà fastidi per non averne; il rifiuto al confronto e l'accettazione dell'incontro con altre esperienze solo perché è bello e c'è gente simpatica; la stretta marcatura generazionale che caratterizza i gruppi (anche perché con i più vecchi non ci si intende...). Non voglio assolutamente mitizzare un modello e screditare l'altro. Le cose scritte in altri contesti, a proposito del difficile rapporto tra personale e politico, sottolineano benissimo i limiti dei due stili. E neppure ci poniamo qui il problema delle cause che hanno prodotto questi cambiamenti. Ci basta descrivere la situazione.

    VERSO PROPOSTE CONCRETE

    La dinamica di gruppo mette l'accento sulla gratificazione, come fanno oggi molte esperienze. Per la dinamica di gruppo però la gratificazione è il risultato della convergenza operosa verso obiettivi; per molti gruppi essa stessa è obiettivo, l'unico obiettivo. Consolidata la gratificazione, può nascere l'apertura verso altri sbocchi.
    Per la dinamica di gruppo, si può raggiungere gratificazione se il gruppo è decentrato e si lascia sconvolgere dalle folate di problemi che la realtà gli lancia. Questo impatto con l'esterno favorisce l'aggregazione.
    Per molte esperienze attuali, il gruppo diventa istituzione totalizzante, microrganismo a vita autonoma, autosufficiente. L'aggregazione si costruisce involvendosi a spirale.
    Chi ha ragione? Come operare?
    La dinamica di gruppo mi spinge a raccogliere alcune costanti, con cui giudico quello che sta capitando, riformulando nel confronto le stesse costanti.
    Le esperienze attuali sottolineano che il problema della aggregazione non è risolvibile decidendo se si deve partire dall'efficienza o dalla gratificazione: una direzione vale l'altra; e se oggi la cultura spinge nella direzione della gratificazione, sarebbe suicidio educativo voler ignorare questo fatto. La dinamica di gruppo fa comprendere, però, l'esigenza delle due dimensioni, per evitare i rischi di implosione (di accumulo di energie inutilizzate) e di autismo (di chiusura al proprio interno, dimenticando la pressione che di fatto l'esterno continua ad esercitare).
    Queste cose possono essere dette in termini operativi.
    Per rispondere, perciò, all'interrogativo: «che fare oggi per creare aggregazione», suggerisco alcune tappe di lavoro. Forniscono un itinerario utilizzabile sia per i gruppi che stanno partendo, per attivare quel minimo di aggregazione per cui essere-gruppo; sia per stabilizzare il livello di aggregazione raggiunto; sia, infine, per risolvere positivamente il difficile rapporto nuovo-gruppo.

    Tutto può servire per fare aggregazione

    Rifiuto il perfezionismo o le formule prefabbricate. Nella vita di un gruppo, tutto può servire per partire. O, detto con altre parole, l'aggregazione si sviluppa all'interno di ogni spontaneo germe aggregativo. A questo livello, ogni suggerimento può essere solo a titolo di esempio. Così, può essere ottima partenza il coagulo spontaneo dí ragazzi attorno ad un interesse concreto come la sollecitazione di un animatore a mettersi assieme per fare qualcosa.
    Se, soprattutto tra gli adolescenti, è viva l'esigenza di «stare assieme festosamente», il gruppo può nascere attorno a questo dato: e perciò tra soli adolescenti (anche se può sembrare segregazione generazionale) e senza altro scopo che lo stare assieme.
    Consolidare quello che esiste
    La prima tappa è già intervento educativo: presenza di un educatore saggio che non si crede l'inizio della vita, ma accoglie la realtà come fondamentale tensione a maturare.
    Il suo servizio consiste nel favorire prima di tutto questa crescita spontanea. Sostenendo i primi difficili passi e consolidando continuamente il terreno conquistato.
    Fuori metafora, penso soprattutto a due interventi:
    – Prima di tutto, è indispensabile dare al piccolo-grande obiettivo che ha suscitato l'aggregazione, una chiara e condivisa risonanza collettiva. Ogni obiettivo «umano» è intrinsecamente a risonanza collettiva. Ma può essere così stravolto, da diventare potenzialmente individualista. Va perciò «liberato»: restituito a se stesso, con un progressivo allargamento a cerchi sempre più ampi. Faccio un esempio. Ci si mette assieme per stare assieme. Questo non è un «sottoprodotto» rispetto all'impegno; ma una seria e giustificata attesa umana. Va però umanizzata. E cioè va restituita alla sua giusta dimensione collettiva. Solo assieme veramente con tutti, lo stare assieme ha senso. In caso contrario, ci si rinchiude in se stessi, perdendo di fatto quello che si cerca.
    La risonanza collettiva non è un'aggiunta dall'esterno, ma la scoperta della verità più profonda di questa realtà. È dentro. Va fatta emergere, coscientizzando coloro che sentono il desiderio di ricercarla.
    – In secondo luogo, è importante far acquisire la valenza «prestigio», perché solo quando l'obiettivo possiede una carica «alternativa», un suo fascino luminoso, è in grado di catalizzare gente attorno a sé. Anche a questo livello, il servizio educativo consiste nel ridare quel vigore che le cose già possiedono e che lunghi periodi di decantazione hanno annebbiato e svilito. È vero, il fascino può scatenare le dimensioni emotive o irrazionali dei giovani e quindi svuotare la ricchezza personalizzante del gruppo. Ma il rischio opposto è più grave: senza fascino non c'è aggregazione. Il fascino, la «valenza-prestigio» sono costruiti su molte piccole attenzioni. Ogni educatore le sa scoprire, se libera la sua fantasia dagli intralci di un certo impegnativismo ad oltranza, un po' masochista, che dovrebbe avere ormai fatto il suo tempo.
    – Infine, è importante sollecitare il gruppo a cercare «veramente», quello che dice di cercare a parole. Le maschere e gli stereotipi possono trascinare i membri del gruppo a grosse parole, a pretese affascinanti, sotto il cui velo si mistifica invece il disimpegno e l'egoismo. Insisto sull'accenno metodologico: sfuggire a questo rischio non significa dimenticare i propri bisogni per voltare pagina, ma ricercare veramente, profondamente, il soddisfacimento dei propri bisogni.
    Il gruppo si aggrega attorno alla gratificazione. Non possiamo dire: è poco, ci vogliono anche altre cose... Dobbiamo, prima di tutto, dire (coi fatti): cerchiamola veramente, profondamente, fuori dai luoghi comuni. Lo «stare assieme» non è cosa facile. E infatti ci vuole un gruppo, visto che nel quotidiano sembra cosa impossibile. Ma anche nel gruppo si possono riprodurre le logiche che contestiamo al sistema: emarginazione, discriminazioni, anonimato, grumi di potere, disimpegno. L'aggregazione sulla gratificazione è possibile, se è seria: se è giocata nella elaborazione di uno stile alternativo di esistere e di essere-gruppo, che faccia spazio al personale, al gratuito, al non-funzionale, alla creatività, al confronto, al dialogo, all'ascolto, al diverso. E questo per tutti. Consapevoli, inoltre, che tutto questo è già «efficienza»: verso l'interno del gruppo e, per riverbero, in qualche misura anche verso l'esterno.

    L'intervento del contrappeso: integrare quello che è carente

    L'educatore non ha solo il compito di far emergere quanto già c'è. Ha anche la responsabilità di «proporre»: di integrare quanto è carente.
    L'aggregazione è duratura e maturante solo se sa dosare bene efficienza e gratificazione. Una gratificazione senza efficienza è alienante e mistificante; un'efficienza senza gratificazione riproduce esattamente la logica della «catena di montaggio».
    Sulla misura del gruppo giovanile attuale, questa esigenza significa riportare nel gruppo un corretto dosaggio di «personale» e «politico». Di «festa» e di «impegno», di cose fatte e di celebrazione festosa per quello che si è fatto, di realismo e di speranza, di confronto e di interiorizzazione, di tempo-forte e di quotidiano: di gruppo e di vita reale, in una parola. L'aggregazione si fa solo in questo dosaggio.
    Compito irrinunciabile dell'educatore è perciò l'opera di contrappeso, l'aiuto al gruppo a scoprire ciò di cui è carente. Aggiungo tre rilievi, a questo proposito:
    – lo stimolo verso ciò di cui il gruppo è carente non avviene creando false contrapposizioni (va bene la festa, ma ci vuole anche l'impegno), ma nella logica dell'allargamento di prospettiva, in una ricerca faticosa di «verità» (che festa sarebbe la nostra, senza l'impegno!);
    – il ritmo propositivo è determinato da un uso sapiente di «freno» e «acceleratore»: quando il gruppo ricerca troppo la gratificazione, è tempo di usare il freno; quando invece vive troppo sull'efficienza, è necessario usare l'acceleratore: incontri informali, rapporti a faccia a faccia...;
    – il metodo è quello di sempre: si propone «facendo fare esperienze».

    L'aggregazione al servizio dell'identità

    L'aggregazione è, in ultima analisi, la consapevolezza, condivisa e compartecipata, del senso più profondo di quello che si è e si fa. Delle proprie esperienze di vita. Assieme, perché la vita è sempre «assieme». Coscientizzazione sul valore ricercato e confronto-contrappeso sui valori carenti fanno del gruppo un luogo in cui i giovani riescono a definire la propria identità: incontrano proposte, le accolgono e le collocano in modo riflesso nel quadro dei significati fondamentali dell'esistenza. L'aggregazione è servizio all'identità personale: il comune impegno di capire «chi siamo» e «perché», in un tempo di ano-mia e di dispersione come è il nostro.

    AGGREGAZIONE COME CONDIVISIONE DI VALORI

    Leggendo sueste pagine in modo critico, ci si può accorgere che sono segnate da una vena di rassegnato realismo. Emerge, infatti, una proposta a piccolo cabotaggio, lontana dai toni ideali con cui si parlava di aggregazione, qualche anno fa.
    In parte è vero. Ci troviamo in dialogo con adolescenti e giovani abbastanza disincantati rispetto ai grossi valori, che cercano soluzioni immediate e concrete. Possiamo trovare mille ragioni per giustificare questo stato di crisi. Ma il fatto rimane. Siamo convinti che è indispensabile procedere oltre, superare il gretto muro dell'obiettivo ravvicinato e tranquillizzante. Ma per fare questo, l'unica strada praticabile è quella, scomoda, che passa per i bisogni e le attese giovanili. Su altre direttrici, il dialogo sarebbe impossibile o discriminante.
    Riaffermato questo, ritorno ad un vecchio discorso. Valido, per me, oggi più di ieri. Lo spazio privilegiato su cui produrre aggregazione è la condivisione di un progetto: un insieme di valori, organizzati in modo operativo e orientati globalmente a innescare processi di liberazione. Gratificazione ed efficienza trovano un adeguato punto di condensazione proprio dentro questo progetto.
    Se il progetto è ampio e articolato, esso permette un reale pluralismo di interessi e di attività. Può essere condiviso consapevolmente anche tra giovani che realizzano la loro presenza nella storia in modi diversificati. Il gruppo non chiede il «tempo pieno» al suo interno, ma si proietta progressivamente verso il quotidiano.
    L'aggregazione non è tranquillo possesso, ma tensione dinamica, perché la prassi allarga l'ambito della riflessione. Chi agisce per la promozione dell'uomo (nella scuola, nell'ambiente di lavoro, nel quartiere, nei punti d'incontro...), è in grado di comprendere più intensamente i contenuti su cui definire la «liberazione» e quindi sa interrogarsi più profondamente sui valori attorno ai quali cercare consenso. L'aggregazione non è giocata tra il polo dell'efficienza o quello della gratificazione. Il giovane maturo non li cerca nel gruppo (o solo nel gruppo), perché sono dimensioni dell'esistere storico di ogni uomo. E vanno cercati, prodotti, condivisi nella vita, nella storia. Nel gruppo cerca la ricomprensione del senso della propria esistenza e il sostegno per giocarla per la promozione degli altri. Cerca, cioè, il supporto alla sua identità.


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