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    La programmazione degli esercizi



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1968-02-31)

    Colui che programma un corso di esercizi e colui che è chiamato a predicarli, si trovano immediatamente di fronte al grosso problema: di che cosa parlo o di che cosa chiedo che si parli.
    E spesso la soluzione rimbalza dall'uno all'altro con movimento pendolare, fino a quando - magari per l'immediata urgenza di una pianificazione - si prende una decisione legata a schemi di predicabili che chiunque conserva in archivio, o all'ispirazione del momento, o alla fenomenologia del «si usa parlare di questi argomenti».
    Cristo per farsi parola che salva chiede la nostra collaborazione: può servirsi di tromboni sfiatati per intonare un concerto sublime, ma, nell'economia abituale della salvezza, si condiziona alle strutture umane che lo trasmettono ed adegua la forza di penetrazione della «spada a doppio taglio» alla disponibilità del predicatore.
    Per cui la scelta sapiente degli argomenti determina un'alta percentuale di incidenza salvifica.

    Condizionatori della scelta

    Non si può operare una scelta di argomenti standardizzati: non ci può essere un modello applicabile - con qualche leggera modifica - a tutti i casi.
    La programmazione deve tener conto dei seguenti fattori, per diventare storica, cioè legata alla vita di colui che ascolta, alla sua mentalità, ed essere perciò valida:

    1. L'ambiente di vita e il grado di sviluppo particolare degli uditori

    I ragazzi che vivono a contatto quotidiano con una grande città hanno una problematica ben diversa di quelli che passano la maggior parte dei loro giorni al chiuso di un istituto.
    La città pone esigenze diverse dall'ambiente rurale e viceversa.
    Un avvenimento che ha scosso il clima di un particolare ambiente propone riflessi e attenzioni che, a freddo, sarebbe ben difficile suscitare. Il ritmo della vita incide sul comportamento psichico e di conseguenza sulla recettività.

    2. La cultura religiosa e lo stato attuale di «fervore» di un ambiente

    Il discorso deve correre parallelo alla sua possibilità di ascolto. L'entusiasmo religioso del predicatore ha bisogno di trovare un terreno fertile se vuole produrre «il trenta, o il sessanta o il cento per cento».
    Una visione sublime del mistero cristiano potrà suscitare meraviglia, forse un'immediata, esaltata accettazione ma rimane sempre seme caduto sul «terreno sassoso, privo di humus» se non s'accompagna ad una solida e proporzionata cultura teologica: la prima folata di vento disperde un entusiasmo che non ha forti radici intellettuali. A parte il pericolo di non essere compresi, di essere fraintesi, di correre bene, ma per un'altra strada... da soli.

    3. Una programmazione possibilista

    Gli esercizi aprono alla vita. E la vita è diversa dalla pausa dei tre giorni di ritiro: è fatta di monotonia, di lotta, di piccole quotidiane scelte, di decisioni affrettate e di continui ripensamenti.
    Il predicatore deve proporre un impegno in prospettiva. Ma va incarnato nella vita di tutti i giorni. Perché il ragazzo che, nel calore di un incontro nuovo con il Signore, e sollecitato da ideali che l'hanno affascinato, non si trovi immediatamente a cozzare contro una realtà che non aveva previsto, un ideale troppo lontano dal suo mondo, non si scoraggi ed incroci le braccia.
    Per tutti questi motivi. la programmazione di un corso di esercizi è lavoro da farsi assolutamente in équipe, in stretta collaborazione tra predicatore, «direttore» del gruppo di esercitanti e conoscitori del loro ambiente, e gli stessi interessati.
    Ciascuno è chiamato a porre sul tappeto la propria specifica esperienza: l'incontro tra realtà (gli educatori abituali, coloro che vivono gomito a gomito con i ragazzi, ne sentono continuamente il polso), idealità (il predicatore, il tecnico della vita cristiana) e spontaneità (gli esercitanti stessi, con le loro problematiche, i preconcetti e le esigenze, attraverso una revisione fatta con le tecniche anche le più disparate, purché salvino la differente personalità e la sincerità di affermazioni), strutturerà un piano possibilista, vivo, esistenziale, che lanci in avanti verso un ideale, ma con ritmo di marcia percorribile e con realistica presa di coscienza, aggrappata al quotidiano.
    «La conoscenza dell'uditorio è fattore primordiale per costruire il piano degli esercizi.
    È compito degli educatori abituali di collaborare nella stesura di questo piano. Perché non è sufficiente che la parola di Dio sia proclamata. Deve anche essere ricevuta, per diventare efficace.
    Bisogna conoscere i giovani, il loro ambiente di vita, i loro centri di interesse, le loro preoccupazioni, i temi delle loro conversazioni abituali, le letture, i divertimenti, le difficoltà e le tentazioni, loro alleati e loro nemici nello sforzo quotidiano di una vita cristiana coerente; bisogna conoscerne i genitori, la loro professione e i riflessi politici e sociali che influiscono sulla loro famiglia, le condizioni di vita, e il loro atteggiamento di fronte alla religione» (Christin, Retraites et récollections, pag. 34)

    Tecniche di lavoro

    Dalla formulazione del piano di argomenti è facile quindi passare alla pianificazione delle tecniche di lavoro. «Sta anche scritto: non tentare il Signore Dio tuo!»: nulla va lasciato all'improvvisazione. Anche perché le circostanze più impreviste verranno continuamente a turbare il piano di lavoro anche il più capillare.
    La disponibilità a leggere l'intervento di Dio nell'avvenimento s'accompagna alla saggia previsione di ogni avvenimento.
    La giornata non va colmata di tante suggestioni diverse, che stordiscono invece di arricchire:
    una sola idea-forza, martellata da tutti i settori, in modo che il clima stesso della giornata, la ripetizione, diversa nei modi, ma unificata nel contenuto, non lasci spazio all'incomprensione, al tentennamento, all'indecisione.
    Al termine di ogni giornata di esercizi, il giovane dovrebbe essere stato posto nell'impossibilità di non aver preso una decisione: o accettazione o rifiuto.
    I momenti di sviluppo dell'idea-forza possono essere:
    - presentazione attraverso una o due conferenze
    - personalizzazione mediante la ricerca e la riflessione personale
    - inserimento nel piano di fede attraverso la preghiera personale e comunitaria.
    Il passaggio va fatto completo: dalla conoscenza alla interiorizzazione, alla presa di coscienza esistenziale, sul piano dell'essere e dell'agire. Solo così, può dirsi raggiunto lo scopo essenziale degli esercizi quello di formare una «mentalità di fede», una fede vissuta 24 ore su 24, nel lento svolgersi quotidiano.
    Il predicatore sa che lavora gomito a gomito con il Signore: è Lui che opera la decisione ultima, ma chiede il massimo di collaborazione per determinare una decisione ultima.
    Più la parola donata all'uditorio risuona di accenti personali, più facile sarà la riflessione del singolo.
    Più il clima della comunità - nelle sue manifestazioni soprattutto - sarà di fede, speranza e carità, più immediata sarà nel singolo la decisione di fede.

    Gli esercizi spirituali, impegno dell'équipe educativa

    Nasce evidente la necessità che gli esercizi spirituali siano sentiti e sostenuti - nella preparazione, nello sviluppo, nella prospettiva di apertura - da tutta l'équipe educativa. Non possono essere lasciati, con un respiro di sollievo per qualche giorno di vacanza scolastica, all'affannoso lavoro dell'incaricato delle cose spirituali, cui magari qualche volonteroso dà una mano per aiutare a tener la disciplina...
    La presenza degli educatori abituali degli esercitanti è essenziale nella scelta degli argomenti, nella stesura del piano di lavoro. Continua ad essere essenziale per guidare la serie dei gruppi, in cui, per elezione spontanea, è stata divisa la massa (anche piccola, ridotta forse ad una classe... ma sempre massa amorfa, il più delle volte), per vivere gli esercizi, momento per momento, con gli esercitanti, per farli con loro (anche se poi, per esigenze di un tempo personale e di un silenzio che nessuno ci toglierà... andranno ripetuti).
    Ad ogni collaboratore si chiede:

    1. accettare, con libera presa di coscienza, la propria missione particolare, per porsi, con il gruppo affidatogli:
    - in ascolto di Dio,
    - in contatto continuo con Lui,
    - in clima di gioiosa carità, di fraterna comunione con tutti;

    2. conoscere con chiarezza il proprio impegno specifico. Se ogni dettaglio è stato studiato a fondo con il responsabile del corso, il collaboratore sa con precisione che cosa deve fare.
    Conosce quindi in anticipo:
    - l'orario,
    - le modalità dell'organizzazione,
    - i temi della predicazione,
    - i termini dell'attività di gruppo,
    - le concrete finalità e mete educative previste;

    3. attrezzarsi di tutto il materiale necessario e utile per condurre avanti con profitto il suo gruppo, in modo da rendere viva la sua presenza:
    - nei lavori di gruppo,
    - nei momenti di silenzio e di riflessione,
    - nella preparazione degli incontri e delle celebrazioni di preghiera;

    4. per non rendere generica la presenza del collaboratore, a ciascuno viene affidato un piccolo gruppo: con essi è tutto. Pur sempre nella prospettiva educativa dello strumento al raggiungimento di un fine, non del termine finale che convoglia e ferma a sé.
    La scelta dei collaboratori non ci pare di quelle da determinarsi dall'alto, con un impulso d'autorità. È troppo grande la loro responsabilità per suscitarla solo con un intervento autoritativo.
    «Il collaboratore è un vero animatore-responsabile degli esercizi.
    Il gruppo a lui affidato gli grava totalmente sulle spalle. Non lo può abbandonare, per nessun motivo, pena il progresso spirituale dei suoi ragazzi.
    Egli non esercita una funzione di semplice sorvegliante né di assistente, deve essere continuamente con i suoi ragazzi, per fare quello che essi fanno: riflettere, giocare, pregare. Deve sostenere la riflessione dei suoi ragazzi, incoraggiarne lo sforzo, guidarne il raggiungimento del fine. Il collaboratore ascolta i suoi ragazzi, permette loro di esprimersi, li aiuta ad incontrare il Signore secondo le loro possibilità ed a prendere dei propositi proporzionati ai loro bisogni» (Christin, op, cit., pg. 48). la realizzazione più vera dell'assistente secondo l'ideale sognato da Don Bosco.
    La strada può diventare faticosa ed impegnativa.
    Ma è l'unica che possiamo percorrere, con la coscienza di aver posto tutto il peso del nostro contributo umano all'agire di Cristo.
    Ed è quella, del resto, che il Capitolo Generale XIX ha tracciato per i salesiani:
    «Gli esercizi devono essere un'autentica iniziazione alla preghiera, una esperienza di Dio e delle sue realtà, una ricerca della propria vocazione cristiana, una revisione ed impostazione della vita.
    Per la felice riuscita degli esercizi spirituali degli adolescenti si tengano presenti due esigenze: evitare di fare gli esercizi contemporaneamente per gruppi troppo numerosi, sollecitare in tutti i modi la presenza e collaborazione degli insegnanti».


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