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    Riccardo Tonelli

    (NPG 1971-04-04)

    Seconda parte

    UNA LINEA DI SVILUPPO DEL METODO PASTORALE


    Decisi ad impostare un progetto pastorale chiaramente fedele a Dio e all'uomo, potevamo, in astratto, accettare un metodo a carattere deduttivo (Dio parla e l'uomo risponde) o uno a carattere induttivo (l'uomo interroga la vita e Dio gli si fa risposta in Cristo). Per essere fedeli all'Incarnazione (metodo come risposta al contenuto), per impostare una pastorale davvero adatta alla stragrande maggioranza dei giovani abbiamo deciso di camminare sulla strada che il giovane, spontaneamente, percorre. chiaro il punto di arrivo: «amare Dio significa trovare e servire l'uomo, l'uomo vero, l'uomo integrale; amare l'uomo e fare il cammino con lui significa trovare Dio» (RdC, 161). L'esperienza ci conferma però che, a livello di attese superficiali, è difficile realizzare questo innesto. L'uomo superficiale, il giovane della città della tecnica e dei consumi, sta bene anche senza Dio. necessario quindi approfondire il metodo: per ritrovare una linea di continuità tra attese spontanee e attese profonde, e innestare, in questa densità, la proposta di fede. Pur conservando sempre un atteggiamento di umile servizio: è troppo facile strumentalizzare l'uomo, per «catturarlo», in buona o cattiva fede, a Dio.
    Si noti come in questa prospettiva l'uomo diventa fine e non strumento della pastorale: «amare l'uomo non come strumento ma come primo termine verso il supremo termine trascendente» (Paolo VI, 7 dic. 1965). E inoltre, dopo l'incarnazione, l'umano viene assunto come «contenuto» della pastorale, contenuto da unire, da innestare al contenuto divino, per costruire un cristiano come è Cristo, cioè un'unità di umano e divino. L'integrazione tra fede e vita esige questo, fino a giungere a tradurre nella prassi quotidiana lo slogan di Congar che condensa molto bene questo cammino di fede: «la vita è creduta e la fede è vissuta».
    Per non incorrere in pericolosi equivoci va immediatamente sottolineata (e sarà un discorso da riprendere) la distinzione tra il punto di partenza (l'uomo fenomenico: quello che è descritto dalla psicologia e dalla sociologia, che vive le singole situazioni di vita) e il punto di arrivo (L'uomo soprannaturalizzato, di fatto vivente la sua umanità e il suo processo continuo di umanizzazione all'interno del mistero di Dio inabitante immediatamente in lui).
    Le note che seguono delineano una sintesi del metodo induttivo scelto per la nostra pastorale giovanile. Purtroppo hanno il rischio di ridurre a freddo schematismo un procedimento che dovrebbe invece conservare sempre il sapore della vita e la freschezza dell'amore.[1]

    IL METODO IN SINTESI

    Primo momento: l'uomo interroga se stesso, la vita, è sfidato dalle situazioni quotidiane, si scopre problematico e cerca una risposta.

    Punto di partenza

    La reale situazione del giovane, le sue attese spontanee, il quotidiano, piccolo o grande, che lui vive, i suoi interessi:
    - il suo modo di vedere la realtà
    - le scelte culturali in cui ha deciso di realizzare la propria autenticità
    - le tipiche situazioni di vita che fanno il suo quotidiano
    - i naturali e spontanei punti di attenzione

    Intervento pastorale

    In questo universo interviene l'educatore come sacramento di Cristo (per far fare pasqua all'umano):[2]
    * Incarnandosi davvero nella situazione che il giovane di fatto sta vivendo. Il primo passo della storia della salvezza è l'incarnazione. Il docetismo (una incarnazione per burla) vanifica la salvezza.
    Il docetismo educativo - un entrare nelle situazioni giovanili a titolo di benigna concessione, quel tanto che basta per catturarli - annulla in partenza ogni possibilità pastorale: si ripropone il vecchio rapporto, anche se in termini nuovi (e questo è più grave) maestro che fa proposte dall'alto - allievo che deve recepire. Significativa, a questo proposito, una delle istanze con cui la Congregazione Salesiana si presenta al suo Capitolo Speciale:
    «La Congregazione è tutta relativa ai giovani, così come sono. Il cuore della Congregazione deve battere là dove batte il cuore dei giovani. Essa esiste per essi, così come essi sono nel mondo attuale, necessariamente e profondamente inseriti in esso (anche se lo contestano su questo o quel punto), per essi così come vivono in questo mondo secondo tutte le dimensioni della loro vita concreta, con tutti i loro problemi. Essa sente di avere la doppia missione di umanizzarli e di divinizzarli, nel Cristo».
    * La presenza dell'educatore non è mai una presenza acritica, l'incarnazione è per la morte-risurrezione. L'educatore è dentro le situazioni giovanili, per guidare i giovani (lui con loro: mano nella mano. L'amore è il presupposto dell'empatia) a:
    - sviluppare i punti di convergenza
    - adattare e correggere i punti di divergenza verso la realizzazione di una prima linea di organizzazione.
    * Far passare le attese spontanee in attese profonde, guidando ad una presa di coscienza interiore quanto uno vive a livello superficiale. Si tratta di rivelare il proprio vero volto a se stessi.
    Questo passaggio dal superficiale al profondo è il primo passo, indispensabile, di umanizzazione.[3] Solo quando lo spontaneo è vissuto a livello di profondità consapevole, l'uomo è umano.
    Un processo del genere è naturale ma non spontaneo. Quindi l'intervento educativo percorrerà una doppia direttrice:
    - guida a tu per tu (a livello individuale) per rivelare l'uomo a se stesso,
    - intervento a livello di strutture, per creare un clima generale di umanizzazione, in cui ciascuno possa facilmente «scendere» dal superficiale al profondo (il gruppo primario diventa così spazio di questo processo e luogo di sostegno per la sua possibilità).
    * Il metodo dell'intervento educativo-pastorale è quello del «dialogo»: un dialogo esistenziale, fatto di parole parlate-celebrate-testimoniate.
    Cristo è modello di dialogo costruttivo:
    - è il rivelatore del Padre: guida cioè gli uomini alla comprensione di ciò che stanno vivendo, fino alla scoperta sconvolgente di un Padre che sta nei cieli e che ama;
    - ma il culmine della sua rivelazione è nel dare la sua vita per i fratelli: le cose che ha detto sono state inverate dalla vita che ha donato. Anzi ha rivelato molto di più dando la vita, che durante il periodo della vita pubblica. Il dare la vita non è stato un gesto isolato, ma il punto di cristallizzazione di tutta una vita di servizio.
    In questo, veramente ci ha rivelato il Padre: colui che ama, gratuitamente e per primo.
    Il dialogo pastorale minaccia di diventare di estrazione psicanalista, se l'educatore non sa quotidianamente morire, per rivelare.
    Le sue parole sono vere se danno significazione e comprensibilità a quella vita di servizio, attraverso cui rivela a ciascuno il proprio vero volto.
    L'efficacia sta solo in questo: è la persona che rivela, non le parole che essa dice. Chi sa amare, davvero, coi fatti, costringe ad interrogarsi: rivela veramente il dramma interiore che ciascuno vive a livello inconsapevole. Questo è tanto più urgente oggi, in un'epoca in cui i cristiani vivono in stato di diaspora. Non c'è tempo, non c'è ascolto per le parole. La vita, vissuta in una certa prospettiva, fa le battute di un dialogo rivelatore. Stare assieme, senza dir nulla, ma con una fede interiore che costringe a [are in modo nuovo, «strano», le cose di tutti: è una «provocazione» a cui nessuno riesce a restare indifferente. Mentre tranquillamente si resta indifferenti all'onda delle parole. Alla vita, alla rivelazione coi fatti, si aggiunge la tecnica: «le quattro funzioni del dialogo pastorale».[4]
    * Il punto d'arrivo di questo processo verso il volto profondo di ogni persona è la scoperta del suo volto «divino», del suo essere in situazione con Dio.
    Siamo nel cuore del metodo pastorale: solo giungendo a queste soglie, il servizio all'uomo è vero e ciascuno si sentirà in autentica vibrazione con Dio, protagonista all'opera, nel profondo di se stesso, alleato con se stesso, più intimo di quanto ciascuno lo sia per se stesso.
    Scrive, a questo proposito, G. Negri: «Ma che cos'è in fondo la persona? Che cosa troviamo di immenso e di sacro in ogni individuo? Gli atei tirano fuori la vita, il pianto, i diritti a vivere, i desideri di un bimbo. Sono cose giuste, ma mal dette e soprattutto superficiali finché viste da vicino non rivelano l'immagine viva di Dio quale radice di tutti i pianti, di tutti i desideri, di tutti i diritti. Guardato "sacramentalmente", l'uomo che rivela ogni suo desiderio, pur coinvolgendo anche esigenze fisiche o istintuali, comprende sempre anche una parte centrale e nascosta che proviene invece da un desiderio di fondo, che è il desiderio di Dio, desiderio di possedere Dio e di essere posseduti da Dio. Ogni "libido", per parlare in termini freudiani, proviene da una "Urlibido" o aspirazione primordiale e radicale, che muove e dà vigore a tutti gli altri desideri.
    Per il fatto di coinvolgere anche esigenze istintuali, i nostri desideri non appaiono alla superficie chiaramente e intenzionalmente diretti a Dio, sono segni non immediatamente rivelativi della loro centrale direzione e intenzione verso il Bene supremo, ma appunto per questo si aggiunge una riflessione particolare che aiuta a leggere in ogni nostro desiderio manifesto il segno del desiderio verso Dio. Questa riflessione coglie la nostra continua "gravitazione ascendente" (Pio XII, disc. 15 aprile 1953) soprattutto come somiglianza a Dio, come partecipazione alle sue perfezioni infinite. Una volta raggiunte le nostre profonde aspirazioni che tutto muovono, noi ricordiamo che "in Lui abbiamo il nostro vivere muoversi, esistere" (Atti 17,25), e vediamo allora ogni nostra qualità desiderata come partecipazione a divine perfezioni: guardiamo le nostre tendenze in quanto escono dalle mani di Dio, come ci raccomanda la Gaudium et Spes (n. 37).
    Ogni nostro bene, che a quelle profondità è desiderato, è in noi impulso perché ci viene partecipato da Dio, che ha pure l'impulso a quel bene in grado infinito. È come cogliere i tratti della nostra somiglianza a Dio.
    Il desiderio di possedere la bellezza è dato da Dio, bellezza suprema; il desiderio di possedere la forza e la potenza da Dio onnipotente, il desiderio della felicità da Dio perfettamente felice; il desiderio di dominare le cose da Dio signore; il desiderio di essere liberi da Dio infinitamente libero; il desiderio di stare con altri e di scambiare con altri la vita, da Dio che è Trinità; il desiderio di vendicarci, da Dio giustizia infinita, il desiderio di dare, la simpatia per chi ha qualità viene pure da Dio. D'altra parte ogni desiderio di essere posseduti, di essere protetti, di essere importanti per qualcuno proviene da Dio non per via di somiglianza ma per il nostro essere stati da Lui creati costituzionalmente "figli" suoi inclinati a cercare fuori di noi, in Lui, sicurezza, garanzia, appoggio, protezione.
    In questo continuo desiderare, e proprio per questo continuo desiderare che fa l'uomo quotidiano, noi siamo in situazione con Dio continuamente. E si capiscono gli altri lati del nostro essere situati nella vita se si raggiunge questo lato profondo: in ogni nostro desiderare vi è il desiderare Dio. Noi ritroviamo la nostra verità, quella di ogni nostro desiderio, che viene perciò ridimensionato e precisato».[5]

    Secondo momento: Dio si fa risposta in Cristo.

    All'uomo problematizzato, in stato di ricerca per la sua autenticità, Dio si fa risposta, a livello esistenziale, in Cristo.
    Tutto ciò connota alcuni passaggi:
    * «La chiesa non proclama una astratta ideologia, ma la parola che si è fatta carne in Cristo, Figlio di Dio, Maestro e Redentore di tutti gli uomini» (RdC, 16).
    «Il centro vivo della fede è Gesù Cristo» (RdC, 57).
    La presentazione della fede non può più essere fatta a livello illuministico ma in termini personalistici.
    «Cristiano è chi ha scelto Cristo e lo segue» (RdC, 57).
    * «Evangelizzare Gesù significa anzitutto presentarlo nella sua esistenza concreta e nel suo messaggio, quale fu trasmesso dagli apostoli e dalle prime comunità cristiane. Egli appare come l'Uomo perfetto, che ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. "Nessun uomo ha mai parlato come parla costui", con autorità e dolcezza, indicando le vie dell'amore, della giustizia, della sincerità» (RdC, 59).
    Cristo si presenta come il modo più autentico di realizzare il proprio essere uomini. Non è un nuovo valore. Ma il modo autentico di vivere tutti i valori.
    In un pluralismo di scelte possibili, Cristo è la scelta preferenziale. A chi ha scoperto l'inautenticità della propria voglia di amare, della propria fame di giustizia, ecc. e non sa dove battere la testa per capirci chiaro, Cristo si presenta come l'amore, la giustizia, realizzata fino ad essere persona. A chi assapora la gioia di una riuscita, dell'amore, della spinta a procedere, Cristo si presenta come origine, come autenticità, come apertura di questi valori.
    * L'educatore della fede dovrà possedere una precisa conoscenza del dato rivelato, per presentarlo, organicamente, ma in linea di continuità con le esigenze spontanee e profonde dei giovani con cui si dialoga (cf RdC, 75, 97, 169). Si tratta di ripensare tutto il dato teologico, per saperlo organizzare in chiave di innesto (RdC, 176).
    «La catechesi deve introdurre i credenti nella pienezza della umanità di Cristo, per farli entrare nella pienezza della sua divinità... Sempre si dia risalto agli inquietanti interrogativi che hanno una risposta esauriente solo nella scoperta e nell'accoglimento della sua divinità» (RdC, 60).
    RdC 52 propone una linea entro cui catalogare la «risposta» di Dio all'uomo, in Cristo:
    - apertura ai propri problemi
    - risposta alle proprie domande
    - allargamento ai propri valori
    - soddisfazione alle proprie aspirazioni.
    Apertura: l'incarnazione come autenticità della propria realizzazione umana, anche in quegli aspetti che sembrano senza via d'uscita. Le attese dei giovani sono «salvate» perché assunte come attuale modo di esistere del Figlio di Dio.
    Risposta: il mistero di Dio chiarifica i problemi insolubili che angosciano l'uomo, La sua Parola è luce al dolore, alla morte, alla fame di libertà, di giustizia, ecc.
    Allargamento: la novità di Dio in Cristo. L'uomo, nel suo desiderio di autenticità, è condotto entro spazi di vita inimmaginabili.
    Soddisfazione: l'amore di Dio che costruisce la comunione tra Dio e l'uomo. L'amore è la chiave di lettura degli atteggiamenti sopra ricordati e la linea del Regno.
    All'interno di questi fatti si situano tutti i contenuti della fede, chiaramente non più come «cose» da conoscere, ma come una Persona viva, come «evento salvifico presente nelle vicende quotidiane degli uomini» (RdC, 55).
    In altri termini:
    - Cristo è visto soprattutto come il salvatore dell'uomo;
    - la sua salvezza è rivolta a far nuovo tutto l'uomo, in una novità che non solo ha «cieli nuovi», ma anche «mondi nuovi», con i corpi risorti e glorificati;
    - la novità non avviene per sostituzione di un'altra vita a quella quotidiana, ma è la nostra stessa vita quotidiana di aspirazioni e di soddisfazioni, che viene fatta nuova, salvata e glorificata dall'unione con Dio.
    - Cristo è il «rivelatore del Padre»: la scoperta che Cristo è alleato alla propria realizzazione porta spontaneamente l'interesse a tutto quello che Egli rivela, l'accettazione, cioè, del mistero come realtà amorosa che trascende la nostra capacità conoscitiva, e il desiderio di un approfondimento sempre maggiore, alla ricerca della Verità totale.
    * Cristo non solo si propone come modello di autenticità umana, ma è all'opera per realizzare questa autenticità. La proposta di Cristo è sempre in una dimensione di dinamicità. Ed è una vocazione in due direzioni:
    - il lavoro con Cristo, per realizzare in sé e negli altri questa pienezza totale di umanità che qualifica, ontologicamente, nella grazia, i figli di Dio;
    - la certezza della presenza di Cristo a sostegno della nostra debolezza, contro ogni scoraggiamento.

    Terzo momento: l'uomo dà la sua adesione a Cristo.

    Colui che ha scoperto, nel profondo della sua esperienza, come non sia possibile realizzare pienamente la fame di autenticità che ora avverte in se stesso, al di fuori di Cristo (in modo diverso dalla sua esemplarità, e senza la sua grazia), dà la sua adesione a Lui.
    Gli interessa: quindi ci sta. È disposto a compromettersi, per Lui. La sua fede diventa un fatto della sua vita.
    Da questo primo approccio, nascerà (ed è necessario che sorga) un desiderio di approfondimento sempre maggiore e quindi una apertura ad una riflessione sistematica (catechesi). Si ritroverà il gusto della preghiera, della partecipazione ai sacramenti, come momento-forza del proprio processo di realizzazione, in Cristo e per gli altri.
    Il «meccanismo» psicologico e teologico del rapporto tra dono delle virtù teologali e atti salvifici, sarà approfondito più avanti.
    In questo momento, proprio per restare nel tema del metodo pastorale, ci pare importante sottolineare invece le caratteristiche che la risposta di fede del giovane deve assumere (e su cui andrà «coltivato»), per essere fede adulta di un giovane che vive in un contesto di tecnicismo e di secolarizzazione.
    Il modo di vivere la propria fede oggi può avere queste dimensioni:[6]
    - una novità continua: il rapporto tra l'uomo e la storia, nel piano di Dio, è segnato dalla dialettica dono-risposta, quindi è sempre una cosa nuova
    - una novità conformata: il progetto di Dio è il modo più autentico di realizzazione e questo progetto ci trascende
    - nella comunità: la costruzione di un progetto in linea con quello di Dio, è nelle mani di tutti gli uomini. Impegno quindi in dimensione comunitaria (tutti sono coinvolti) e in dimensione sociale-politica (la liberazione nelle attuali strutture)
    - superando continuamente i limiti del peccato che è: tensione a fermarsi, a prevalere sugli altri, a fare a meno del piano di Dio. a fare a meno degli altri.

    LE DUE DIRETTRICI DEL METODO

    Una lettura anche affrettata del metodo pastorale proposto, ha messo in evidenza, facilmente, che ci si muove attorno a due assi: esiste un movimento di tipo verticale, un passaggio dalla superficialità al profondo, all'interno della persona; e una spirale a cerchi concentrici, per avanzare proposte che abbiano il medesimo centro (in collegamento con gli interessi) e contemporaneamente un raggio più largo (per la maturazione della persona).
    Il principio di approfondimento e quello di concentrazione sono il perno su cui ruota la nostra pastorale giovanile.
    È interessante notare che si tratta di due rotazioni contemporanee: una di servizio all'altra.
    Il principio di approfondimento fa scoprire sempre meglio il vero volto degli interessi; quindi permette un allargamento di prospettive, impossibile quando l'angolo visuale dell'interesse è limitato. D'altra parte, le nuove suggestioni connotano un nuovo processo di approfondimento per farle avvertire da ciascuno come una «cosa interessante», mentre con la nuova sensibilità acquisita si è in grado di procedere oltre, verso il più profondo di se stessi.
    Si può quasi parlare di una doppia concentrazione:
    - una concentrazione antropologica con cui si passa dagli innumerevoli interessi e problemi periferici dell'uomo e della società ai problemi e alle ispirazioni centrali e unitarie, nel profondo della realtà umana (ed è quanto svilupperemo sotto la voce «approfondimento»);
    - una concentrazione teologica come è indicata nei capitoli IV-V del RdC, come ricapitolazione di tutta la realtà ad un nucleo centrale e unitario: il mistero di Cristo (nello sviluppo, aggiungeremo qualche annotazione a carattere più strettamente metodologico).

    PRINCIPIO DI APPROFONDIMENTO

    Sono possibili due linee. Si può partire dalla realtà, per scoprire in essa tutto ciò che sfugge, a prima vista, perché non registrabile fotograficamente: per scoprire la sacramentalità degli avvenimenti. E si può partire dall'intenzionalità di ogni uomo, per avvertire il fascio di motivazioni da cui è scaturito il gesto esteriore compiuto. In ogni avvenimento è possibile, in altre parole, ritrovarvi una densità di umanità (processo di umanizzazione) e ritrovarvi l'intenzionalità dell'agente (sistema motivazionale).

    * Le cose hanno un profondo: ogni fatto rivela un mondo interiore, dalla cui scoperta nasce la conversione «alla verità delle cose». Chi si accontenta dell'aspetto fenomenico della realtà, non potrà mai ritrovarvi i punti d'innesto per una proposta di fede, e sarà contemporaneamente escluso da una vita a misura umana. Il processo è lo stesso che caratterizza la revisione di vita.[7]
    Primo passaggio: dal fatto tecnico al fatto umano (= umanizzazione).
    La prima ricerca ha per oggetto il superamento di tutti gli aspetti tecnici di un dato fatto, per giungere alla dimensione umana presente nell'avvenimento (atteggiamenti, motivazioni, desideri...; la persona in primo piano).

    Secondo passaggio: dai comportamenti alle cause
    L'impegno di interiorizzare le situazioni richiede il processo difficile e faticoso di procedere dall'esterno all'interno, dai modi di fare ai perché che ne sono sottesi. Tutto ciò mette veramente il dito sulla piaga.

    Terzo passaggio: dall'uomo all'umanità
    Si ricollega il problema a quello molto più vasto di tutta l'umanità, per scoprire che non è «affare privato», ma che, tutto sommato, ci sono dentro tutti gli uomini come protagonisti.

    Quarto passaggio: dall'umanità ai «me» attuali e reali
    Anche dopo aver scoperto che è in causa una persona, anzi l'umanità intera, è facile giocare a rimpiattino con la realtà, sfuggendo nell'atmosfera tersa dell'impersonale, riempiendo lo spazio di elucubrazioni qualunquiste, che non toccano sul vivo. Quando invece ci si sente dentro fino al collo, chiamati in questione personalmente, perché un certo fatto e stato scoperto come un «mio» problema, la valutazione diventa molto diversa, più qualificante e compromettente.

    Quinto passaggio: dall'umano al divino
    L'analisi del fatto non è ancora completa. Ogni realtà contiene aspetti positivi e aspetti negativi. Non è possibile fare di ogni erba un fascio.
    Come distinguere ciò che è sovrastruttura deformante da ciò che è originario e autentico, in ogni gesto umano? Come riconoscere la presenza di Dio creatore dall'urgenza di Dio redentore, per togliere le ombre del peccato?

    Sesto passaggio: Dio all'opera per far fare pasqua a tutte le cose
    Vista la realtà, si tratta di capirla nel suo profondo mistero, per poi intervenire. La ragione stessa ci ha fatto scoprire che Dio vi è coinvolto come protagonista. Quindi bisogna interrogare lui: avvertire, mettendosi in sintonia con il mistero, quali sono le intenzioni di Dio, i suoi piani e le sue realizzazioni (i grandi fatti della storia della salvezza e gli interventi attuali, nell'oggi di ogni giorno).

    Settimo passaggio: la fede come collaborazione a Dio
    Da tutto questo nasce, con la grazia dello Spirito, la fede come accettazione dei progetti di Dio nella storia personale e come impegno di collaborazione con lui, nella quotidianità della propria esistenza, a «far nuove tutte le cose».
    Questo modo di «leggere» la realtà conduce ad un capovolgimento di piani, dove la fede è veramente integrata nella vita. E il tutto attraverso una conversione alla realtà delle cose.

    * Ogni uomo ha una profonda intenzionalità: ogni fatto nasce dal mistero interiore.[8]
    - Alla superficie abbiamo la percezione delle situazioni che ci sfidano a dare una risposta: è come alzare la cornetta del telefono: si è in linea le chiamate incalzanti e svariatissime sono avvertite, ma non hanno ancora un significato per l'io.
    - Nel profondo (o nel centro) si fanno due movimenti, centripeto e poi centrifugo:
    I. Si riconosce nelle cose un significato per il proprio io: le varie situazioni (proposte eccitanti, brutte e belle figure, rimorsi, responsabilità) sono collegate con un io profondo: nucleo di scelte costanti, rispetto al quale la «chiamata» esterna ha un significato positivo o negativo. Esempio: decido di dire «sì» ad un certo invito, perché nel profondo avevo scelto una volta per tutte di volermi divertire nella vita.
    II. Riconosciuto così il significato della situazione, lo si adopera come spinta e motivo per reagire, con una decisione e un comportamento coerente con il proprio io profondo.

    PRINCIPIO Dl CONCENTRAZIONE (RdC, 174)

    Per evitare il settorialismo o la sovranutrizione sproporzionata alla persona, vanno tenute in considerazione le seguenti norme:
    - ogni gesto pastorale sia inserito in un quadro di completezza progressiva e continua, per evitare il difetto di un procedere a singhiozzo, o smantellando quanto altri hanno in precedenza costruito;
    - poiché «principio fondamentale che ispira il coordinamento della pastorale è l'unità interiore della persona» (RdC, 159), ogni ambiente educativo dovrà studiare una programmazione d'insieme che eviti i difetti dei doppioni, delle lacune, delle pressioni non coordinate (ci ritorneremo, parlando delle tre dimensioni della pastorale);
    - ogni fascio di proposte pastorali richiede un punto di concentrazione in un nucleo centrale, da sviluppare poi progressivamente (il RdC propone Cristo come centro della catechesi-pastorale) (il discorso va sviluppato soprattutto a livello di catechesi);
    - per superare la frattura tra uomo fenomenico, che vive dei fatti della cronaca e il mistero di Cristo, che viene annunciato in modo tanto programmato da risultare assente dai fatti del giorno, è necessario trovare un coordinamento tra occasione e sistema.
    È necessario fondare il punto di concentrazione non nella sistematicità scientifica (astratta e fuori dalla persona, nelle cose), ma nella sistematicità personale (dove ogni persona fonde insieme la perennità dell'io e della verità con il variare degli eventi).

    NOTE

    [1] Van Caster, Pour un éclairage chrétien de l'experience, in «Lumen Vitae» 1970/3 presenta uno schema di procedimento molto vicino a quello qui offerto: i collegamenti, però, tra i passaggi sono molto estrinseci. Vedi anche Maggioni, Alcune indicazioni per la lettura della Bibbia, in «Parole di Vita», 1971/1 pp. 68-69.
    [2] Cf gli articoli apparsi in «Catechesi»: Catechesi antropocentrica per un uomo cristocentrico (1969 ott.); Al di là o al di dentro delle cose? (1969 dic.); Perché meno religione e più religiosità (1970 marzo); Brien, Scuola cattolica ed educazione alla fede in un mondo secolarizzato, LDC, pp. 77-86.
    [3] Cf «Note di Pastorale Giovanile», 1969/8-9, pp. 71 ss.
    [4] Pastorale e dinamica di gruppo, LDC, pp. 89 ss.; Negri, Formazione al dialogo, in «Città di Vita», 1970/4.
    [5] Negri, I punti fermi per una teologia della RdV, in «Note di Pastorale Giovanile», 1970/11.
    [6] Per un approfondimento, cf Ramos-Regidor, Aspetti nuovi nella presentazione della fede, in Pastorale giovanile in un mondo secolarizzato, LDC.
    [7] Negri-Tonelli, Linee per la Revisione di Vita, LDC.
    [8] Per una comprensione più piena, cf Cieli nuovi e mondi nuovi, vol. V, LDC, sesta ricerca.

     


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