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    Pastorale e dinamica di gruppo /2



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1972-04-40)

    Nella vita di ogni gruppo ci sono fenomeni di facile e immediata percezione e fenomeni che si sviluppano a livello sotterraneo.
    È abbastanza facile avvertire, per esempio, la presenza di tensioni all'interno del gruppo o scoprire invece di essere presi da un clima affettivo molto intenso. Anche la leadership è abbastanza facilmente individuabile.
    Non sempre ciò che appare può essere oggetto di immediate cure: il fenomeno, per essere compreso in tutta la sua densità, ha bisogno di essere ricondotto a dimensioni più vere, perché più profonde.
    Ma, tutto sommato, esiste una certa continuità tra superficie e profondo.
    Non tutto, nella esperienza del gruppo, è così «limpido».
    L'argomento di questa seconda parte di «appunti» centra l'attenzione su un fenomeno totalmente sotterraneo.
    All'esterno appaiono «alcune» emergenze, magari interessanti, della cui esistenza ci si può congratulare. Mentre, nel più profondo della vita del gruppo, ci sono elementi grippati assai pericolosi.
    * Perché alcuni gruppi tendono a emarginare chi va contro il progetto del gruppo?
    * Perché alcuni gruppi continuano a fare la stessa cosa?
    * Perché, all'interno del gruppo, è difficile raggiungere con oggettività e disponibilità, la «verità»? (se ne accorge bene chi è fuori...).
    * Perché molti leaders conservano il loro prestigio, nonostante gli scossoni che la loro autorità subisce e le affermate pretese di democraticità del gruppo?
    * Perché, nonostante i mille tentativi, e così difficile «accettare» nuovi nel gruppo?
    E gli interrogativi potrebbero continuare. Tutto questo articolo, se letto con attenzione e raffrontato con la quotidiana esperienza, ne e una rassegna abbondante. Il titolo offre già una prima linea di risposta: ogni gruppo è prigioniero di un fascio - latente - di «norme» (il termine è abbondantemente spiegato nel corso dello studio). Esse sono funzionali alla sua vita, al suo progresso; o invece sono la sua condanna a morte?

    Seconda parte

    LE «NORME»: VITA O MORTE DEL GRUPPO?


    LA PRESSIONE DI CONFORMITÀ

    Parlando delle caratteristiche dei gruppi primari è stato elencato, al secondo posto, l'«emergere di norme».
    Il fenomeno, si diceva allora, merita un'attenzione tutta particolare. Per questo lo facciamo oggetto di studio in un capitolo a parte.
    Ci troviamo in presenza di uno dei fatti più seri di cui il gruppo primario (soprattutto, ma non unicamente) è carico. Un fenomeno ambiguo. Costituisce la fonte della forza educativa del gruppo. E può ridurre il gruppo ad un processo di massificazione e spersonalizzazione molto più pericoloso di quello in atto nella nostra società, anche perché più viscido e insistente.
    Facciamo fatica a considerare il gruppo come un essere con una sua propria vita, con le sue opinioni, i suoi valori. I grandi fenomeni collettivi ci appaiono come eccezionali. Questa è una illusione.
    Non è possibile sfuggire all'influenza dei gruppi cui apparteniamo, se non attraverso un continuo sforzo critico: il «clima» di gruppo può mutare completamente la condotta di un individuo.
    Generalmente si afferma che l'appartenenza ad un determinato gruppo (quando l'appartenenza è intensa, quando cioè il gruppo è primario) conduce a questi atteggiamenti:
    - facilitazione a certi atti
    - livellamento dei comportamenti
    - suggestione e contagio nelle emozioni
    - emergenza di valori collettivi
    - attribuzione di prestigio a coloro che incarnano i modelli del gruppo. Interessanti esperimenti sul campo hanno condotto all'affermazione che quando due persone vivono in un rapporto di interdipendenza positivo (stima, affetto...), attraverso lo scambio di comunicazioni, tendono ad assumere atteggiamenti simili nei confronti delle entità sociali con cui sono in relazione. La persona A è in rapporto positivo con B ed è orientata favorevolmente verso X; qualora l'orientamento di B verso X sia sfavorevole, l'equilibrio può essere raggiunto:
    - o cambiando A il suo orientamento verso X
    - o agendo su B perché questi modifichi il suo orientamento verso X. Qualora non si verificasse né la prima né la seconda ipotesi, molto facilmente viene mutato l'orientamento di A verso B: da positivo diventa negativo.
    Questa tensione ad equilibrare i rapporti, descritta a proposito di due individui interagenti, è «normale» all'interno del gruppo.
    Su questa tensione si basa l'uniformità del comportamento di gruppo e quindi la forza di pressione del gruppo (una forza ambigua, come è stato accennato in apertura: può spingere alla massificazione o può permettere una più facile integrazione di valori. Ma il tema sarà ripreso a fondo).
    Perché questo fenomeno? Perché il gruppo, come «campo», esercita sui suoi membri una «pressione», tendente a conformare gli atteggiamenti: è quasi una esigenza del gruppo nei confronti di chi vi partecipa.

    I fattori che determinano la pressione di conformità

    La pressione di conformità è costituita da due fattori: il bisogno di approvazione e il bisogno di certezza, entrambi i quali sono in relazione con la ricerca di sicurezza, aspirazione umana basilare.
    * il bisogno di approvazione
    La ricerca dell'approvazione altrui è il criterio del nostro valore. Solo un pazzo può affermare il proprio valore, quando tutto il mondo lo rifiuta e lo contesta. Nessuno può resistere nell'affermare il proprio valore, se non vi è al mondo un'altra persona almeno, che gli dia ragione. Personalità molto forti si accontentano della approvazione di una ristretta cerchia di amici. La maggior parte della gente ha bisogno, per credere in sé, di essere riconosciuta e accettata da tutti coloro che le stanno attorno in quel momento. Da ciò la ricerca dell'accordo, a prezzo del sacrificio di tutto ciò che potrebbe farci respingere.
    * il bisogno di certezza
    Quando abbiamo informazioni sicure che ci permettono di giudicare, affermando o negando qualcosa, la nostra certezza è basata sul valore oggettivo dell'informazione. Ma la maggior parte delle volte non possediamo le informazioni oggettive necessarie per essere sicuri.
    L'accordo degli altri è il solo mezzo di cui disponiamo per uscire dal dubbio. Aderiamo alle opinioni generali quanto più siamo privi di criteri oggettivi accessibili.
    A questi due fatti, radicati in quel bisogno di sicurezza così centrale nella psiche umana, se ne deve aggiungere un terzo, di ordine culturale. La nostra «cultura» ci ha sempre raccomandato di coltivare come «valore» l'approvazione sociale. La morale del «non impicciarti», dell'autoritarismo giustificato con l'uso di grandi parole, gioca un ruolo notevole nel rendere il peso del bisogno di approvazione e di sicurezza determinante nelle valutazioni che avvengono in gruppo.
    Una serie di esperimenti (di cui i manuali di dinamica di gruppo parlano abbondantemente) dimostrano empiricamente il peso della pressione di conformità. Del resto, si è potuto giungere a queste «regole», proprio attraverso il processo di riflessione sulle costatazioni emerse dagli esperimenti.
    È interessante ricordare i canali attraverso cui filtra la pressione di conformità: il bisogno di approvazione-certezza gioca un ruolo diverso, sui diversi individui.
    * la distorsione dell'azione
    Si verifica in persone che, pur rimanendo intimamente convinte che la propria opinione è corretta, rispondono come gli altri (in un esperimento che preveda, per esempio, una risposta di gruppo) solo per «non sembrare uno stupido», per il timore di essere escluso.
    * la distorsione del giudizio
    Il fatto che tutti si trovino d'accordo su una affermazione induce a dubitare della esattezza della propria percezione: si vede la realtà in un certo modo, ma si teme di non vedere bene, visto che tutti gli altri «vedono» in modo diverso.
    * la distorsione della percezione La pressione del gruppo «fa» vedere realmente in modo diverso. Colui che dà un certo tipo di risposte è sincero; anzi non dubita neppure nel momento in cui fa le sue affermazioni.

    Conseguenze della pressione di conformità

    L'influenza della pressione di conformità, sui membri del gruppo, è duplice:
    * le norme
    La pressione di conformità produce, all'interno del gruppo, una batteria di idee collettive (standards) e di atteggiamenti sociali originati da concezioni rigide e semplicistiche di aspetti della realtà, persone, gruppi (stereotipi). L'insieme degli standards e degli stereotipi forma le «norme» del gruppo.
    * il filtro delle informazioni
    Il gruppo si costruisce un filtro attraverso cui far passare le informazioni che gli giungono, facendo accettare come sicuramente vera e sicuramente falsa una «notizia» in base alle linee di condotta «normali» del gruppo, quando sono assenti (o non cogenti) altri criteri di oggettività. Un gruppo di giovani impegnati in attività a carattere eversivo, per esempio, non dubiterà affatto che il torto era della polizia (una notizia sulla linea delle loro scelte), proprio perché la verità oggettiva è difficile da percepire e quella soggettiva è costruita all'interno delle norme del gruppo.
    Pensiamo alla difficoltà di impostare una revisione di vita, in un gruppo catturato da fenomeni del genere. Ci si può mettere, con tutta la miglior buona volontà di questo mondo, a cercare la vocazione che proviene da una determinata situazione, letta utilizzando la chiave della Parola di Dio... Si può impostare, al termine, una preghiera di ringraziamento sincerissima, grati di aver scoperto «che cosa fare»...
    Mentre la vocazione e la risposta è stata tranquillamente manipolata dalla pressione di gruppo: il gruppo cioè ha deciso che era sua vocazione... ciò che aveva già precedentemente deciso di progettare, ciò che rientrava nella linea ordinaria della sua attività. L'alienazione è più tragica proprio perché è sublimata con ascendenze religiose!

    Funzioni della norma

    A più riprese e in contesti diversi abbiamo sottolineato l'aspetto di ambiguità presente nel fenomeno descritto come «pressione di conformità». Vogliamo affrontare di petto questi elementi «ambigui», indicando con chiarezza gli aspetti positivi e quelli negativi delle «norme» (il frutto della pressione di conformità).
    Lo facciamo con una decisa scelta di «utilizzazione» pastorale: il parametro cioè è la crescita della persona e non la coesione in assoluto del gruppo.

    L'efficienza del gruppo

    Le norme stabiliscono e stabilizzano la struttura del gruppo per la dimensione di efficienza.
    È necessario spiegarsi.
    Partiamo da un dato di fatto. Quando il gruppo non riesce a raggiungere l'obiettivo che si era prefissato, entra in crisi. L'inefficienza, per un gruppo, è fattore di tensione e di frustrazioni.
    Inconsapevolmente quindi il gruppo tende a stabilire obiettivi raggiungibili o a decurtare, a ridimensionare, gli obiettivi avvertiti non raggiungibili in rapporto alla propria capacità concreta di realizzarli.
    Sembrerebbe trattarsi di un processo positivo di realismo. Purtroppo c'è un punto che fa problema.
    All'interno di questo fatto è incombente una tentazione di «tranquillismo», di disimpegno. Non solo si ridimensionano gli obiettivi per renderli raggiungibili. Ma il ridimensionamento risponde anche ad una legge di tranquillità... di non troppo lavoro. Per questo il lavoro di gruppo «può» diventare di meno elevato rendimento del lavoro individuale (si noti il verbo utilizzato: «può». Di fatto, in ordinaria amministrazione, se cioè è presente un animatore capace, il lavoro di gruppo è altamente più significativo del lavoro individuale. Ma non di spinta spontanea, se è necessaria la continua presenza di stimolo dell'animatore...).
    E c'è di più.
    Ci sono «lavori» per i quali un determinato gruppo si sente preparato, capace. Sa di riuscire a combinare qualcosa, se intraprende una certa strada. E perciò, analizzando la realtà, per ascoltare la «vocazione» che da essa gli proviene, spontaneamente e inconsapevolmente tende verso il lavoro per cui si sente esperto.
    Da qui l'affermazione: le norme stabilizzano la struttura di efficienza di gruppo.
    Un gruppo di impegno sociale vede la realtà secondo il suo angolo prospettico ed ha coscienza (erronea, talvolta!) che l'unico modo di rispondere al servizio cui si sente chiamato sia di... raccogliere carta (o fare il doposcuola, o...) solo perché è «esperto» di raccolta carta (o di doposcuola, o di altro). Fino alla logica estrema di «scomunicare» chi opera una scelta diversa, tanto è pensata oggettivamente unica e funzionale la propria linea.
    Il servizio non risponde a dimensioni oggettive, non ci si incarna nelle reali attese degli altri. Ma si «vende» la propria sicurezza, con la convinzione di essere a totale disponibilità.
    D'altra parte non c'è solo questo aspetto negativo. L'esperienza, lo slittamento verso la propria competenza, hanno anche un valore positivo. Il gruppo acquista quella manicatura tecnica che gli permette di aver un peso concreto nella realtà. Le norme, anche a livello latente, costruiscono lentamente questa manicatura.

    Il rapporto dominanza/sudditanza

    È leader, in un gruppo, colui che incarna meglio i moduli di comportamento del gruppo, colui cioè che incarna meglio le «norme». Perciò le norme stabiliscono e stabilizzano pure la leadership del gruppo.
    L'autorità gratifica chi la detiene. È difficile che colui che possiede l'autorità la ceda spontaneamente...
    Se la sua autorità è legata alla conservazione del gruppo all'interno delle norme (perché questi è leader del gruppo, proprio perché ne incarna meglio di altri il portato), più le norme sono rigide, più il suo posto di leader è al sicuro...
    Le norme, di natura loro, diventano spontaneamente rigide. L'autorità collabora a questo irrigidimento, proprio per conservare il suo stato sociale. Siamo di fronte ad un circolo vizioso... di difficile sbocco.
    Lo sbocco è reso più difficile da un ulteriore fatto. Il leader, quando sa esercitare il suo ruolo con «delicatezza», dà sicurezza al gruppo. Nonostante un ripetuto appello alla democrazia... ogni gruppo è gratificato dalla presenza di un leader deciso e capace. Il gruppo stesso, quindi, collabora al mantenimento del suo leader. Questo processo è valido soprattutto nella strutturazione attuale dei gruppi giovanili. Può sembrare strano.
    Oggi si è rifiutata una leadership istituzionale, per sceglierne una funzionale. Nel gruppo è leader colui che esprime meglio ciò che passa qui-ora nel gruppo...
    Basta questa semplice sottolineatura per comprendere la validità della affermazione precedente.
    Anche oggi, l'autorità gratifica chi la possiede. Colui che è leader funzionale del gruppo tende a continuare ad esserlo. La strada non è... il colpo di stato. Sarebbe detronizzato immediatamente. Ma la conservazione del gruppo in un contesto «normale» (dentro le norme). Più il gruppo è «normale», più il suo «potere» è al sicuro.
    I risvolti pastorali di queste annotazioni sono rilevanti. Una sola battuta, tra le tante possibili: la leadership funzionale-pastorale nel gruppo è abbastanza permanente. Quindi... un buon leader è un investimento sicuro. Vale la spesa dedicare molto tempo per la sua formazione...

    Lo sviluppo culturale del gruppo

    Le norme sono alla base dello sviluppo culturale del gruppo. Questo è l'aspetto più positivo, l'elemento che dà al gruppo tutta quella forza e carica educativa di cui tante volte si è parlato.
    I valori che circolano all'interno del gruppo sono facilmente integrabili, sono alla portata di tutti. Sono l'aria che si respira.
    Se il gruppo macina contenuti «formativi», i leaders li incarnano nella loro persona, essi ne diventano i modelli viventi... e quindi tutti sono presi da questa proposta, tutt'altro che verbale. Ci si sente trascinati da un'onda.
    Resta il pericolo della interiorizzazione a livello del semplice entusiasmo. Toccherà all'animatore guidare un processo di razionalizzazione delle proposte del gruppo, per permetterne un'interiorizzazione a livello motivazionale È l'esperienza di tutti i giorni.
    Basterebbe questo fatto per giocare tutte le carte a favore del gruppo.
    Per queste ragioni, oggi il gruppo è una delle poche strade ancora aperte per permettere una vera integrazione tra fede e vita, senza dover fuggire dall'attuale contesto socioculturale scristianizzato e secolarizzato (se è vero che da molti giovani la secolarizzazione è avvertita come la riduzione di valori di natura loro «totalizzanti», al rango dei «valori che non contano»).

    La conservazione culturale del gruppo

    La medaglia, come sempre, ha un risvolto. Le norme stanno alla base dello sviluppo culturale del gruppo. Ma stanno all'origine della sua conservazione culturale.
    Le norme fanno la cultura del gruppo. In esse il gruppo ritrova la sicurezza che gli proviene dall'efficienza e dalla autorità (si vedano i paragrafi precedenti). Una proposta nuova cozza contro questo muro, spesso impenetrabile. Il «nuovo» fa paura al gruppo, perché lo contesta nei due valori cui tiene di più, per la sua conservazione: autorità ed efficienza. L'esperienza di molti gruppi lo conferma.
    Tentare una strada nuova è un'impresa disperata. Chi la propone... viene spesso emarginato, con tutti i mezzi.
    Il fatto diventa più tragico quando queste prospettive di ordine strettamente psicologico sono mescolate a valutazioni di coscienza, a motivazioni di fede. Operare un cambio, all'interno della struttura ecclesiale significa andare «contro» la cultura di gruppo: a proibircelo intervengono da una parte remore di ordine psicologico (quelle di cui si è parlato sopra), ove la fede non c'entra nulla, e problemi di fede e di coscienza chiamata in causa nel discriminare ciò che di essenziale e di marginale c'è in quel determinato comportamento.
    La «confusione» di motivazioni tende a fare di ogni erba un fascio, potenziando le une e le altre contemporaneamente. Il dissenziente legge tutto in una prospettiva (forse quella psicologica). Chi difende la norma tutto nell'altra (tutto è problema di fede!).

    La costituzione dei limiti di tolleranza

    Le norme hanno infine la funzione di costituire una batteria di confini discriminanti il gruppo nei confronti con l'esterno, a partire dalle scelte interne.
    Solo chi accetta le norme può far parte del gruppo. Chi le rifiuta, o viene normalizzato o viene escluso...
    Il gruppo, inconsapevolmente, traccia il solco della propria tolleranza: fino a questo limite tutto è lecito... oltre questo limite il gruppo non si riconosce.
    Anche questo, come i precedenti, è un fenomeno ambiguo: positivo e negativo.
    Positivo perché permette una sicurezza di gruppo, una precisione di servizio, una tensione a conservare quella cultura che sarà poi diffusa capillarmente tra i suoi membri. Senza precisi «limiti di tolleranza» sarebbe il caos o il disservizio. Il gruppo non sarebbe più una forza educativa.
    L'aspetto positivo non può far dimenticare gli aspetti negativi. Praticamente, attraverso la costituzione di questi limiti, il gruppo si priva del contributo stimolatore, critico, graffiante, del dissenziente.
    Chi dissente:
    * È prima di tutto fatto oggetto di ripetute interazioni, cariche di «zelo» e buona volontà... tendenti a far rientrare il suo dissenso all'interno delle norme. Tendono alla sua conversione, almeno apparentemente. Troppo spesso però sono dettate da un preciso egoismo di gruppo (certo inconsapevole): il dissenziente critica le norme (e quindi la sicurezza) del gruppo; la conservazione dello status quo chiede di far rientrare la sua contestazione. Lo... zelo diventa solo complesso di sopravvivenza, equipaggiato di apparente buona volontà.
    Il discorso è importante, in contesto pastorale, per valutare certi non infrequenti atteggiamenti, troppo facilmente etichettati di parole altosonanti...
    * Il gruppo costruisce un ruolo al dissenziente: lo accetta di fatto, ma non tiene in nessun conto i suoi contributi. Lo istituzionalizza come «bastiancontrario»...: lui ha diritto di criticare... è il suo mestiere. Si tratta di emarginazione reale, anche se la sua presenza all'interno del gruppo non è stata cancellata.
    * Fallito il tentativo di conversione (fare rientrare nelle norme) e in assenza di un ruolo accettato di dissenziente, il gruppo emargina decisamente chi rifiuta le norme, con un calore spesso proporzionato al ruolo che il membro aveva prima nel gruppo. Se il dissenziente era un leader, l'emarginazione è accompagnata da un ricco corteo di fulmini: con lui si rompono i ponti totalmente. È un'inconscia aggressività attraverso cui il gruppo esprime il suo rammarico e la sua delusione.
    Tocca all'animatore far sì che il gruppo utilizzi la forza profetica del dissenziente (per stare all'interno del discorso fatto finora; si potrebbe dire anche del «nuovo», ecc.), per allargare continuamente i limiti di tolleranza.
    «Limiti» sono necessari. Ma devono continuamente essere allargati conservati elastici, anche perché spontaneamente tendono a irrigidirsi e a restringersi.
    Questo soprattutto se la preoccupazione principe è la maturazione delle persone che compongono il gruppo e non la sopravvivenza «comunque» del gruppo. E se il gruppo desidera efficacemente situarsi in un contesto ecclesiale.

    La redifinizione dei limiti

    Dopo una crisi, il gruppo tende a ridefinire i propri limiti di tolleranza. Le norme, che formano la piattaforma di sicurezza del gruppo, apparentemente non hanno retto all'urto. O, almeno, serpeggia un diffuso senso di sfiducia. Emarginare qualche membro... non è un'operazione indolore. Il gruppo si ferma, blocca tutte le attività, per chiedersi:
    - qualche altro membro vuole andarsene?
    - che cosa non ha funzionato, negli ingranaggi della vita del gruppo?
    - sono ancora validi gli obiettivi del gruppo?
    Iniziano così quelle interminabili sedute, di cui ogni gruppo ha una storia ricca.
    Se il processo è funzionale al gruppo, alla sua coesione, non sempre - o non spontaneamente - lo è alla maturazione delle persone. Le norme possono, giocare un ruolo negativo.
    Nel pericolo ci si arrocca. La crisi (e il tentativo di uscirne, fatto a caldo) conduce all'integrismo e alla regressione: una involuzione ben pericolosa perché coltivata-accettata dal gruppo stesso, per un male inteso principio di sopravvivenza. Come uscirne?
    Certo non è possibile ignorare l'esigenza di una verifica, dopo la crisi. Si richiede però:
    * l'impegno di continuare ogni attività: la crisi si supera meglio facendo coesione su obiettivi operativi;
    * il coraggio di attendere che la crisi sia passata dalla sfera emotiva a quella razionale;
    * di avere in pronto motivazioni che offrano elementi per superare la crisi senza rimuoverla, e senza lasciarsi catturare dalla spirale chiusa delle norme;
    * l'attenta, disponibile mano dell'animatore, il «regista» di tutto questo processo.

    LA POLITICA DEI NUOVI

    Un po' tutti i gruppi che si situano in un contesto ecclesiale - e non solo questi - hanno un paragrafo dello statuto di gruppo (scritto o tramandato a viva voce) che parla della «politica dei nuovi». Istintivamente si avverte che senza il ricambio dei «nuovi», ci si condanna a morte, per inedia. O si avverte una vocazione più o meno accentuata al proselitismo. O si cozza contro il dato di fatto di individui che aspirano ad entrare nel gruppo, per i motivi i più disparati. Qui, come altrove, non basta la buona volontà.
    Il rapporto gruppo-nuovo può essere un rapporto solo a parole, di facile demagogia. Si spendono tante parole per impostare una «politica dei nuovi», mentre i fatti sono contrari alla possibilità di integrare nuovi nel gruppo.
    Le norme sono la corteccia psicologica del gruppo: attraverso ad esse passa la vita del gruppo, si costruisce e conserva quel tono di equilibrio così essenziale per la realizzazione di buone interazioni tra i membri; attraverso le norme, il gruppo ritrova anche un punto dinamico di equilibrio con il mondo esterno; ritrova una sua vocazione; assume un senso di «servizio» anche la leadership.
    Il nuovo cozza contro le norme del gruppo. Chi è nuovo, per definizione ignora le norme del gruppo. Quindi è come se venisse da «un altro mondo».
    Spontaneamente il gruppo reagisce alla contestazione pratica di questa «novità». O egli viene fagocitato dal gruppo (come un microbo circondato e distrutto dai globuli bianchi) o viene rigettato dal gruppo.
    Ambedue le soluzioni sono cariche di preoccupazione, in contesto pastorale.
    Per il nuovo, il gruppo rappresenta quell'esperienza ecclesiale di cui ha bisogno, nel processo di maturazione della sua fede. Se viene rifiutato dal gruppo, perde lo spazio di appoggio: torna un individuo isolato, sbattuto dalle onde in tempesta del contesto socio-culturale in cui vive. Ma anche il gruppo ha bisogno del nuovo. Gli fa un ampio servizio. Abbiamo già sottolineato come le norme tendano a «chiudere» il gruppo: è una spirale che va sempre più stringendosi, fino a soffocare (massificare) coloro che la gestiscono. La rottura non avviene spontaneamente, dall'interno. Il nuovo porta un soffio di aria pulita, «nuova», al gruppo, offrendo un contributo validissimo per una ricarica, per un punto di confronto, un antidoto efficace contro il facile integrismo.
    Se il gruppo lo accetta a patto di fagocitarlo, di «digerirlo»... il suo contributo innovatore è annullato.
    Questi due motivi non sono certo di poco peso, se ci poniamo dall'angolo prospettico che ci sta a cuore: la maturità delle persone, la loro educazione umana e cristiana; e non la coesione del gruppo a tutti i costi. Segnare sui documenti una buona «politica dei nuovi» significa non tanto moltiplicare le parole, quanto mettersi in atteggiamento di reale accettazione, evidenziando gli elementi tecnici, di dinamica di gruppo, che entrano in gioco nel rapporto nuovo-gruppo.
    Si può parlare, in questo impatto, di un fascio di elementi variabili (non sempre presenti, o almeno non in egual misura) ed uno di elementi costanti (che caratterizzano cioè sempre la situazione sociale che si determina).

    Elementi variabili

    * La condizione del gruppo nel momento in cui arriva il nuovo: la più o meno intensa coesione di gruppo gioca ruoli diversi nei rapporti con il nuovo. E così la rigidità o meno delle norme; la durata di vita del gruppo; la capacità dell'animatore; l'esperienza del gruppo in rapporto ai nuovi; il «desiderio» più o meno efficace che il gruppo ha di avere dei nuovi...
    * Il grado di discordanza a priori tra gli eventuali anteriori gruppi di appartenenza del nuovo e l'attuale. Se ogni gruppo induce un fascio di norme nei suoi membri, in concreto, quindi, la discordanza più o meno ampia tra le norme che il nuovo ha introiettato dai suoi anteriori gruppi di appartenenza e quelle che circolano nell'attuale. Diversa è la situazione di un giovane di A.C. che cambi residenza e chieda di far parte del gruppo di A.C., nella sua nuova sede; da quella di un giovane che passi dall'appartenenza a gruppi della sinistra extraparlamentare a movimenti di impegno cristiano «emotivo».
    * Il grado di ignoranza degli standards e stereotipi del nuovo gruppo. Ignorare gli standards di gruppo significa incorrere in una serie di gaffes: una battuta, ben cullata dentro, non sortisce alcun effetto, proprio perché lontana dagli standards del nuovo gruppo (e questo produce frustrazioni); una battuta appena accennata scatena una forte reazione, perché decisamente contraria agli standards del gruppo (con nuove frustrazioni). Diventa importante, perciò, educare il nuovo a «conoscere» in anticipo gli standards più rilevanti del gruppo, non tanto, forse, per integrarvisi di primo acchito, quanto per non agire, ignorandoli.
    * Il carattere, l'apertura, la disponibilità psicologica del nuovo.
    * Ciò che il nuovo aspetta dal gruppo: le sue attese nei confronti del gruppo. Più il gruppo esercita «fascino» in lui, più il nuovo è disposto a trangugiare amaro, pur di non perdere il posto. Se invece ha già un'idea molto poco entusiasmante del gruppo a cui, per esempio, è stato condotto attraverso «dolci pressioni», la sua reazione alle prime gaffes sarà decisamente l'uscire sbattendo la porta.

    Elementi costanti

    L'elenco precedente portava una serie di atteggiamenti di ordine «variabile»: la sintesi dei vari indici «dice» quale sarà il tipo di impatto nuovo-gruppo.
    Esistono però altri elementi di fatto sempre presenti, quando un nuovo entra in contatto con un gruppo. Dipendono non tanto dal livello psicologico del nuovo e del gruppo, quanto dalla realtà in sé, dal fatto che un nuovo chiede l'accettazione in un gruppo.
    * Il nuovo entra nel gruppo con una notevole dose di insicurezza psicologica. L'insicurezza nasce dalla novità della situazione (il trovarsi per la prima volta in questa determinata situazione sociale) e dallo stato di attesa (non è una situazione sociale che lasci il nuovo indifferente. Tutt'altro. La novità è acuita dall'interrogativo che gli martella dentro: sarò accettato o meno?).
    * Il nuovo si pone nei confronti del gruppo con uno schema di valutazione estremamente rigido. Non conosce i mezzi termini. Le reazioni del gruppo nei suoi confronti vengono catalogate secondo le sole categorie di accettazione o rifiuto. Inoltre, le reazioni difficilmente sono percepite nella loro portata oggettiva, ma sono filtrate attraverso la categoria che sta prendendo il sopravvento in lui. Se il nuovo avverte di essere quasi alla soglia dell'accettazione (o del rifiuto) tutti gli atteggiamenti del gruppo sono facilmente letti attraverso questa chiave di lettura.
    * Il nuovo reagisce allo stato di insicurezza assumendo una maschera sociale, dietro cui trincerarsi ritrovando uno stato soggettivo di difesa-sicurezza. La maschera sociale, a secondo degli individui o degli stati d'animo dello stesso individuo, porta ad atteggiamenti di totale remissività o di aggressività; o conduce ad assumere ruoli innaturali, nel tentativo di conquistare fiducia attraverso un non-spontaneo strafare, una disponibilità a tutti i costi... Il volto più vero del nuovo non appare certo alle prime battute della sua esperienza di gruppo. Da qui i disincantamenti del gruppo nei suoi confronti, quando la maschera sociale è stata deposta e la relativa successiva aggressività nei suoi confronti.
    Il lungo elenco di atteggiamenti tende soprattutto a sottolineare la estrema delicatezza del momento. Se il gruppo crede, con i fatti, alla «politica dei nuovi» è chiamato in causa, decisamente.
    Il gruppo deve controllare con una attenzione tutta particolare le sue reazioni, deve muoversi «in punta di piedi», deve essere disposto a piegarsi tutto al servizio del nuovo (abbassando magari la sua vita e la sua coesione. È un abbassamento solo apparente; se è vera la prospettiva di fondo che illumina la nostra quotidiana esistenza: la morte è la strada per la vita...).
    Una strategia sbagliata può portare a tensioni all'interno del gruppo, ad una vita affettiva grippata nel nuovo verso il gruppo (il nuovo sarà tutto attento a quei due o tre membri del gruppo che gli hanno mostrato simpatia; e rifiuterà gli altri, visceralmente, perché non ha sentito la loro mano vicina in un momento difficile come quello che ha appena trascorso...). Oppure, come purtroppo avviene in molti casi, il gruppo rifiuterà il nuovo o viceversa. E così il gruppo si priverà del contributo vitale dei nuovi; e i «nuovi» saranno costretti ad esulare, randagi, alla ricerca di chi dia loro una mano.


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