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    Suggerimenti operativi per una pastorale dei giovani operai



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1972-06/07-70)

    Ad un gruppo di sacerdoti e di giovani impegnati a fondo in una pastorale del lavoro, abbiamo rivolto la domanda che ci sta a cuore: su quali linee operative è possibile impostare una evangelizzazione dei giovani operai? Come tradurre in pratica i metodi pastorali sopra descritti?
    Trascriviamo qualche battuta che arricchisce le istanze più generali e tecniche riportate alle pagine precedenti.

    ATTENZIONE Al FATTI CONCRETI DELLA VITA QUOTIDIANA

    La prima cosa da mettere in cantiere per una evangelizzazione dei giovani operai è spostare l'attenzione e la preoccupazione pastorale dalla «dottrina» da comunicare, alla vita.
    Non è un'affermazione nuova, originale. Anche per i giovani studenti l'evangelizzazione passa attraverso questa conversione.
    C'è però un elemento caratteristico.
    Per uno studente, anche il suo «libro» è una cosa concreta. Le notizie che legge sono fatti di vita.
    Il giovane operaio, invece, ha una concretezza più immediata e urgente: ciò che tocca con le mani, ciò che vive quotidianamente nell'ambiente di lavoro... questa è la vita concreta «sua». Di qui deve quindi «passare» l'annuncio.
    Molte volte egli ignora i grossi valori che sta vivendo. Spesso non è neppure sfiorato dai mille problemi che fanno il suo quotidiano, tanto è afferrato, ingoiato da una fame di vivenza spicciola...
    È necessario guidarlo ad avvertire gli interrogativi che la sua vita gli pone, guidarlo a scoprire il significato di gesti e di scelte (la solidarietà tra operai, l'amicizia di classe, uno sciopero, un'assemblea...) che lo affascinano.
    All'interno di questa scoperta c'è posto per l'annuncio. La metodologia è tutta da inventare: nell'esperienza che presentiamo nella terza parte di questo studio, qualcosa incomincia ad affiorare.
    È opportuno aggiungere un rilievo, forse ovvio... ma non sempre troppo! Questo «partire dalla vita»... non può assolutamente essere una «tattica», l'ultimo ritrovato pedagogico per rifarsi una credibilità, visto che no saltate le altre strade. È questione di autenticità: in questo contesto, rivive il ritmo di evangelizzazione del «povero»: il povero prende coscienza della sua situazione, cerca la salvezza, incontra Dio che lo vuole salvare, in Cristo, aderisce quindi a Cristo e, in questa piena immissione nel mistero della pasqua, si fa collaboratore di Cristo per salvare altri di una salvezza integrale.
    Alla base di questa sottolineatura sta un fatto che provoca gli operatori pastorali: non è pensabile un impegno di evangelizzazione del mondo operaio che non parta da una conoscenza profonda, vera, convissuta, del «mondo del lavoro» e del «movimento operaio».

    UN'EVANGELIZZAZIONE «COMPARTECIPATA»

    Stando così le cose, l'opera di evangelizzazione del mondo operaio non può essere assolutamente «monopolio» dei sacerdoti. Anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, i preti non sono neppure in grado di gestirla direttamente, visto che è possibile un'opera di evangelizzazione solo a partire da una vita convissuta.
    Il compito dei sacerdoti impegnati in questo settore (e tutti lo sono) c quindi quello di «formare» giovani che sappiano vivere il proprio cristianesimo con i fatti, all'interno della fabbrica.
    Lì non c'è posto per le prediche, ma per la vita. La vita vissuta in un certo modo è la predica più eloquente.
    A questa affermazione si collega un fatto molto importante. Per rendere possibile questa trama di evangelizzazione, è necessario rivedere un certo stile di educazione.
    Gli ambienti educativi possono guidare ad una visione della professione come arrampicatura sociale, come modo di evadere da un certo ambiente («non voglio che mio figlio sia come me») per lasciare magari altri ad annaspare nelle difficoltà. Si può trasmettere un'educazione fatta di atteggiamenti e contenuti molto lontani da una concezione di solidarietà con il mondo operaio, veramente cristiana e inizio di un'opera di evangelizzazione: una visione «capitalistica» della vita, del denaro, un acceso individualismo, una morale del «non impicciarti»... hanno la triste capacità di trasformare in piccoli «padroni-despoti» o in «crumiri» nei confronti dei futuri compagni di lavoro. Atteggiamenti che spesso sono sposati ad una formale intensa pratica religiosa.
    Evidentemente così non si sono create le premesse per una evangelizzazione del mondo del lavoro. Tutt'altro.
    Non tutti saranno in grado di esercitare un servizio attivo: ci sono doti naturali necessarie a questo scopo. Ma tutti dovranno comprendere e agire in clima di solidarietà. Non tutti saranno «operai». Ma tutti nella loro vita e nel loro stato sociale sapranno «rispettare e amare i poveri, mettersi dalla loro parte con una scelta preferenziale...
    Alla luce dell'insegnamento evangelico la scelta cristiana di classe deve consistere essenzialmente nella priorità e nella preferenza che i cristiani, per vocazione nativa e in vista del regno di Dio, sono tenuti a dare non solo a parole, ma in modo effettivo ed efficace, alle classi più povere nella loro azione pastorale e sociale, di evangelizzazione e di promozione umana» (Card. Pellegrino, Camminare insieme, 12).
    Si noti come questo è un discorso «religioso». Spesso si dice che l'ambiente di lavoro è «sporco», si parla male, ci si comporta male... Quindi il bravo cristiano... fugge, rifugiandosi magari nell'anodino e terso ambiente parrocchiale. «Vuoi salvarti da solo? Non è meglio cambiare la situazione?». L'abbé Cardijn diceva: «Se l'acqua è sporca e i pesci muoiono... è meglio cambiare l'acqua invece di togliere i pesci...».

    NON UNA FEDE PER IL TEMPO LIBERO

    Troppe volte i giovani che vengono all'interno delle strutture pastorali (parrocchia, centri giovanili...) sono utilizzati per attività «buone» ma da compiersi all'interno: catechesi ai più piccoli, animazione di attività - ricreative, sportive, impegno per il terzo mondo...
    Tutto questo è necessario, evidentemente. Ma c'è il rischio di far credere che la fede impegna nel «tempo libero»: la vita, quella vera, non c'entra, se non per riflesso.
    Una tentazione del genere è immanente nell'esperienza dei giovani operai. La fabbrica assorbe, schiaccia. Lì si vive gomito a gomito con altre persone, spesso ignorandole, o allacciando rapporti di cameratismo che finiscono con il suono della sirena. Come alternativa, come spazio «serio»... c'è l'attività in parrocchia.
    Una pastorale per i giovani operai deve capovolgere le prospettive. I primi - e forse unici - apostoli dei propri compagni di lavoro sono i giovani operai che hanno già scoperto il significato di Cristo, nella propria vita. Essi vanno decentrati. Proiettati in un servizio attivo nell'ambiente di fabbrica.
    Alle loro mani è affidato il duro compito di «evangelizzare», dopo avere scoperto che Cristo guida a prendere in mano la propria vita e a rendersi solidali con gli altri.
    Il primo passo sarà il convivere a fondo la vita (la solidarietà), per giungere ad una amicizia piena e quindi all'invito, all'annuncio.
    Ancora una volta: invito e annuncio per creare nuovi impegnati nell'ambiente normale di vita. E non nuove presenze da «utilizzare» al chiuso delle strutture pastorali.
    «Non una fede per il tempo libero» significa, per gli operatori pastorali, anche un'altra cosa: non è cristiano slittare sui problemi seri per correre a quelli marginali. Su alcuni argomenti ci si può anche trovare con i giovani operai: lo sport, la famiglia, la ragazza... sono una piattaforma di dialogo. Ma è un dialogo che porta all'evasione, alla alienazione. La vita, quella che brucia, è altrove; su questi toni va impostato l'incontro. «All'operaio... invece di chiedere come va la famiglia, è meglio chiedergli che cosa deve fare per mantenerla..., a quali fatiche, umiliazioni deve sottostare...».

    ATTENZIONE Al VALORI E ALLE PERSONE

    È necessario muoversi, anche in campo pastorale, partendo da un'attenta analisi della società e dell'ambiente in cui si vive.
    L'analisi strutturale, però, non basta. Da sola può portare solo alla lotta politica per il cambio delle strutture.
    È importante ma è poco. Il cristiano sa che il cambio strutturale non è sufficiente per operare una vera conversione della realtà.
    Nel mondo del lavoro è estremamente urgente centrare l'attenzione sulle persone e sui valori da esse vissuti per immedesimarsene, per inserire lì una esplicita esperienza di fede.
    Un gesto di amicizia in fabbrica è un fatto umano immenso. Molto più grande, oggettivamente, del sorriso donato... fuori, nella calma e tranquillità della vita. Una solidarietà sofferta, un'espressione di fraternità... Certamente nell'ambiente di lavoro (come altrove) i valori sono vissuti non allo stato puro; sono frammisti a tanti disvalori.
    L'accento e la scoperta del valore guida alla purificazione dal disvalore...
    Siamo già profondamente inseriti nel mistero della pasqua. Cristo è già all'opera. Forse c'è bisogno solo di avvertirlo, di toccarlo con mano.
    La scoperta sarà lenta, faticosa, graduale. Forse ci si arriverà solo dopo molto tempo. Forse non ci si arriverà mai, con toni totalmente espliciti. Ma, d'altra parte, non si può assolutamente avere fretta: la fretta, qui come altrove, è nemica dichiarata di ogni retta azione evangelizzatrice.

    GIOVANI OPERAI E STUDENTI

    Molti giovani operai hanno una innata ritrosia a «comunicare» con gli studenti. Questi ultimi, invece, sentono quasi una vocazione.... a collegarsi. Qualche volta l'ambiente parrocchiale è il punto di una felice (ma spesso superficiale) unione.
    È problema serio. C'è il rischio che la preoccupazione di un dialogo comunque e a tutti i costi faccia slittare verso quel qualunquismo già ricordato sopra. Per la voglia di stare assieme... si parla e si agisce solo all'interno delle «cosette», emarginando quindi la vita reale.
    Lo spazio dell'incontro devono essere invece le scelte trasformanti e le mete ultime. Qui, davvero, i due ruoli sono coessenziali e complementari. Per esemplificare, si può scegliere di lavorare per il terzo mondo come motivo di un'azione comune che mette tra parentisi i problemi seri della vita. O si può scegliere il terzo mondo perché l'operaio avverte che, là come nella sua fabbrica, c'è sfruttamento; anzi, lo sfruttamento condotto là affonda le sue radici in quello di cui è vittima e contemporaneamente causa. Lo studente sente che la cultura, che gli è passata da tutto un tipo di società, marcia su queste direttrici. Quindi opera per un cambio di «cultura» e contemporaneamente lavora, per non fare della retorica soltanto, anche per dare un piccolo concreto aiuto al terzo mondo.
    Nel primo caso l'unione studenti e operai è alienante: sono stati emarginati i problemi «seri» (quelli della vita quotidiana), spinti ad una preoccupazione di giustapposizione a tutti i costi.
    Nel secondo la coesione è veramente costruita su valori comuni e condivisi, anche se l'azione che li fonda si sviluppa in direzione diversa (nella scuola e nella fabbrica, ma a partire da uno stesso comune impegno di liberazione e con una stessa comune ansia di solidarietà).
    In questa luce vanno revisionate molte strutture educative e molti canoni pastorali.

    VERSO UNO «SBOCCO» Dl INSERIMENTO IN STRUTTURE POLITICHE

    Un fatto è determinante nella traduzione della fede alla vita quotidiana: l'assunzione esplicita di un impegno.
    Nella nostra realtà storica l'impegno passa attraverso strutture ben determinate (partiti, sindacati...). La fede si limita a chiedere un impegno, con alcuni «requisiti» all'interno. Il tipo di impegno-sbocco, invece, dipende dalle circostanze concrete.
    Un progetto di evangelizzazione dei giovani operai deve quindi prevedere queste direzioni di marcia. L'urgenza di assumere un impegno «politico» all'interno della fabbrica e della società necessariamente filigranerà ogni proposta, con l'esplicita preoccupazione del collegamento fede-azione. La scelta del «tipo» di impegno non fa parte del «progetto», direttamente: dipende dalle circostanze, dalle vocazioni e capacità personali, dal livello di età (ad un operaio quindicenne non si chiederà l'iscrizione ad un sindacato, ma la scelta di alcuni gesti concreti di «servizio»...). Dal punto di vista pastorale, in sintesi, sembra che non ci sia tanto il problema di «quale» sbocco concreto proporre, quanto invece la verifica se l'esperienza di fede apre o meno immediatamente alla scoperta della necessità di assumere impegni precisi.


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