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    Valutiamo insieme la vita del nostro gruppo


    Riccardo Tonelli

    (NPG 1978-09-52)


    I gruppi più maturi e gli educatori più attenti sono ormai giunti ad una consapevolezza irrinunciabile, un punto fermo da cui non si può tornare indietro: la vita del gruppo è «affare» di tutti, non può essere delegato a qualcuno (educatore, animatore, leaders...), ma va condiviso corresponsabilmente da tutti. Questo non significa rinunciare alla funzione educativa né, tanto meno, al servizio di animazione, come se i problemi della crescita personale e di gruppo potessero risolversi nello spontaneismo e nella soggettivizzazione. Significa scoprire invece l'urgenza di un'animazione distribuita: di un servizio educativo che si realizza aiutando ciascuno a prendersi in carico la propria e l'altrui crescita.
    Quando il gruppo giovanile vuole «valutare» il suo indice di crescita, i problemi che attraversa o le difficoltà che lo inquietano, il processo non va vissuto da pochi, nel chiuso degli «addetti ai lavori». Va «convissuto». La valutazione va fatta da tutti, corresponsabilmente, arricchendo la ricerca comune con il contributo delle diverse competenze, esperienze, sensibilità. Per evitare, però, che questo lavoro degeneri in un vuoto pressappochismo, sono preziosi «strumenti» di analisi. In questa direzione va interpretata la «griglia di valutazione» che offriamo: uno strumento per il gruppo, per orientare in modo serio la comune ricerca. Questa griglia è stata costruita mediante un confronto con molti gruppi giovanili. Ma non per questo può pretendersi perfetta o completa. Prima di «applicarsela», il gruppo dovrà verificarne l'adeguatezza e la completezza, per aggiustarla un po' meglio sulla propria taglia.
    Aggiungiamo qualche altro rilievo metodologico.
    Abbiamo evidenziato sette «punti nodali» per la vita dei gruppi giovanili ecclesiali di oggi. Ci si accorge presto che l'uno richiama facilmente l'altro, come gli ingranaggi di una macchina. E si tratta di una macchina complessa e articolata come è la vita. Smontare gli ingranaggi non è né semplice né indolore; ma è necessario, quando si vuole operare una verifica generale del sistema.
    L'ordine dei punti di verifica è solo funzionale: tanto per incominciare con qualcuno tra i possibili approcci. Nel concreto della vita di un gruppo, invece, molto facilmente si può avvertire che esiste un preciso ordine di priorità, una causalità (anche se sicuramente circolare) tra un aspetto e l'altro.
    Per fare una valutazione, si richiedono almeno due dati: il «che cosa» valutare e il «criterio» con cui valutare. Il «che cosa» è la vita di ogni gruppo. Il criterio è suggerito dai punti nodali e dal loro sviluppo. Sicuramente gli interrogativi ne aprono di ulteriori, perché un modo di vedere le cose corrisponde a precisi riferimenti culturali e ambientali. Quando il gruppo si trova in panne, perché non riesce ad avvertire cosa stia sotto all'interrogativo e il mondo culturale a cui si fa riferimento, i suggerimenti bibliografici annotati possono favorire il rimando e l'approfondimento.
    Qualche volta, i titoli o le domande possono apparire un po' provocatorie. Lo si è fatto apposta, per evidenziare il problema con uno slogan e, soprattutto, per evitare la pericolosa abitudine mentale di risolvere i conflitti, affermando che ci vuole l'una cosa e l'altra, un po' dell'una e un po' dell'altra, ricorrendo così, più o meno inconsapevolmente, al «luogo comune».

    STARE ASSlEME O IMPEGNARSI?

    Dove sta il problema?

    Rendendo i toni forse un po' più marcati di quanto lo siano nella realtà, oggi ci troviamo di fronte a due modelli di gruppo: il gruppo per impegnarsi – il gruppo per «stare assieme». Negli anni della contestazione, l'obiettivo fondamentale del gruppo era l'impegno, il «fare qualcosa per gli altri» mentre lo stare assieme diventava quasi la condizione per l'impegno. Oggi, molti adolescenti hanno capovolto le prospettive: stanno in gruppo per stare insieme.
    Gli educatori che hanno assimilato la mentalità del '68, sono preoccupati: dove si va a finire? non siamo in presenza di una pericolosa involuzione intimistica?

    Gli interrogativi

    Come si orienta prevalentemente il gruppo: verso l'efficienza (l'impegno) o verso la gratificazione (lo stare assieme)? Esiste una consapevolezza riflessa sulla scelta e sui motivi che la giustificano, oppure si tratta solo di un modo di fare non ben motivato, un seguire la corrente in modo solo epidermico? Una scelta o l'altra produce tensioni e conflitti nel gruppo oppure tutti l'accettano tranquillamente? Quali sono i «fatti» concreti che possono far comprendere la scelta operata (anche inconsapevolmente) dal gruppo?
    Certo, gratificazione e efficienza sono due dimensioni importanti dello stare in gruppo. Come armonizzare queste due esigenze? Esiste, nel gruppo, la consapevolezza che si possono salvare tutte e due le esigenze, inventando un modello alternativo? E quale?

    Per approfondire il discorso
    - J.F. Six, I giovani, l'avvenire e la fede, LDC.
    - Umanesimi, giovani e fede, in NPG 1978/2.

    QUALE «RELAZIONE EDUCATIVA»

    Dove sta il problema?

    Viviamo in un tempo in cui sono in crisi i rapporti formativi. Anzi, da qualche parte si afferma la piena soggettivizzazione («è valore, è importante, quello che lo è per me, per noi, qui-ora»). Non mancano rigurgiti di autoritarismo, che cercano di riportare le cose a vent'anni indietro, instaurando modelli fissistici e deduttivi («questo è il bene o il male: devi fare così»).
    Questi fatti mettono in crisi il confronto con i valori, all'interno del gruppo e non aiutano certamente a definire in modo corretto la funzione dell'animatore.

    Gli interrogativi

    Che confronto si instaura nel gruppo con i valori? E cosa sono «valori» per il gruppo? Basta, in altre parole, far circolare le esperienze dei membri del gruppo, per crescere e maturare; oppure esiste la consapevolezza di doversi verificare su qualcosa di «esterno» alla vita di gruppo, qualcosa di oggettivo e normativo? Quando, in gruppo, si parla di «maturità», di Chiesa, di Gesù Cristo... tutto viene deciso «dentro» il gruppo, oppure esiste il bisogno di accogliere gioiosamente qualcosa che supera il gruppo stesso, che ci è donato, che messo a confronto con le singole esperienze possa giudicarle in modo più completo? Qual è la funzione dell'animatore, nel gruppo? E dell'adulto? Ha dei compiti precisi, irrinunciabili? E quali? Questi eventuali compiti si riferiscono alle problematiche educative, oppure sono soltanto sul piano tecnico, burocratico, funzionale?
    Il gruppo sta cercando di inventare un modello alternativo di «relazione educativa» (di rapporto giovani-adulti-valori), oppure ripete solo quelli di moda?

    Per approfondire il discorso
    - V. CESAREO, Processi educativi e situazione attuale, in NPG 1978/5.
    - R. TONELLI, Educazione all'impegno politico, LDC, pp. 42-43.
    - Responsabilità in tempo di soggettivismo, in NPG 1977/3.

    QUALE ECCLESIALITÀ

    Dove sta il problema?

    - Parliamo di gruppi giovanili «ecclesiali». L'interrogativo sulla ecclesialità e quindi qualificante. Certamente non si tratta di una cosa pacifica, perché le tensioni che attraversano oggi l'esperienza ecclesiale e la sua crisi di identità, segnano profondamente anche la vita dei gruppi ecclesiali.
    Vediamo soprattutto due ordini di problemi, che si intersecano reciprocamente. Il primo mette l'accento sulle condizioni «interne» per definire quando un gruppo è ecclesiale (o non lo è). Il secondo nasce dalla necessità di instaurare un rapporto con l'istituzione più vasta (parrocchia, diocesi, chiesa universale, altri gruppi ecclesiali): nell'attuale pluralismo antropologico ed ecclesiologico non è facile definire quale rapporto va realizzato.

    Gli interrogativi

    Il gruppo si è posto qualche volta, in modo riflesso, il problema della sua ecclesialità? Quali ragioni lo hanno spinto a porre il problema oppure ad evitarlo? Che risposte sono emerse? A che livello reale sono condivise: da tutti, da pochi, dall'animatore soltanto...
    Dove sta, per il gruppo, il criterio per definire la sua ecclesialità? Si tratta di cose da fare, di atteggiamenti da assumere, di rapporti da conservare, di scelte da operare ? Quali ?
    Esiste, nel gruppo, la consapevolezza che per definire l'ecclesialità ci si deve interrogare anche sul modo quotidiano di vivere la propria vita, perché un «cristiano» è tale prima di tutto sul modo di essere «uomo»?
    Ogni gruppo ecclesiale è in rapporto con altre istituzioni ecclesiali: come viene vissuto questo rapporto? La decisione sul modello ecclesiologico da instaurare (un rapporto integrativo o conflittuale o critico...) è legata a fatti contingenti oppure è costruita su motivazioni teologiche, antropologiche, politiche? Sono date facilmente per scontate e acquisite oppure di tanto in tanto il gruppo si rimette in questione?
    Nel gruppo esistono momenti espliciti di vita ecclesiale (celebrazioni eucaristiche, riflessione sulla parola di Dio, preghiera...) ? Come si integrano con il resto dell'esperienza di gruppo? Che livello di partecipazione richiedono? Fanno problema per coloro che si professano «non-credenti»?

    Per approfondire il discorso
    - Evangelii nuntiandi, n. 58.
    - R. TONELLI, La vita dei gruppi ecclesiali, LDC (3a ed.), pp. 11-25.

    GIOVANI E ADULTI NELLO STESSO GRUPPO?

    Dove sta il problema?

    Sembra ormai finito (per fortuna!) il tempo del giovanilismo sfrenato: il tempo in cui un adulto, nel gruppo, era visto come fumo negli occhi, come una minaccia alla creatività e libertà del gruppo stesso.
    Molti gruppi giovanili, per essere autenticamente giovanili, sentono il bisogno di accogliere anche adulti, di instaurare rapporti nuovi, che facilitano la crescita reciproca. Certamente non è una cosa troppo facile, perché viviamo in un tempo di forte segregazione generazionale e i gruppi non sono mai «oasi verde», protetta dalle tensioni che attraversano il sistema di cui sono parte.
    Anche l'approfondimento dell'esigenza di ecclesialità, spinge il gruppo ad accogliere gli adulti.

    Gli interrogativi

    Il gruppo è formato di soli giovani oppure ci sono, a pieno titolo, anche degli adulti? Quali, concretamente? Con quali compiti? Come si sono inseriti in gruppo? Si tratta di giovani cresciuti in gruppo e rimasti, anche dopo essersi sposati? Oppure di nuove leve? Come viene valutata la situazione in caso di presenza di adulti o di assenza? Quali motivi sono portati per «giustificare» (o per cambiare) la situazione di fatto?
    Quale peso hanno gli adulti nel gruppo? Che funzioni esercitano? Si sono verificati casi di «infantilismo di ritorno» (adulti che giocano a fare i bambini, per farsi accettare) o di «adultismo» (giovani che fanno finta di essere adulti, per farsi apprezzare)? Come reagisce normalmente il gruppo a questi disguidi? Al di là delle difficoltà contingenti, esiste in gruppo la coscienza di dover diventare «comunità», cioè luogo in cui le presenze tendano a coincidere con la vita reale (ragazzi-giovani-adulti nel pluralismo) ?

    Per approfondire il discorso
    - V. CESAREO, Processi educativi e situazione attuale, in NPG 1978/5.

    COLLEGAMENTO O ISOLAMENTO?

    Dove sta il problema?

    Ci sono gruppi che si riconoscono in movimenti o associazioni; altri hanno riferimento con centri, «santuari», persone; altri invece vivono isolati e rinchiusi nella propria esperienza. Una cosa non vale l'altra: ciascuna ha pregi e difetti. La svolta istituzionale e politica attuale sta facendo cambiare rotta a molti gruppi, aprendo verso prospettive associazionistiche nuove.

    Gli interrogativi

    Qual è la situazione del gruppo: è parte di un movimento, cerca collegamenti culturali con centri, gruppi simili, oppure preferisce vivere isolato? Perché si è perseguita «questa» scelta? Che vantaggi comporta e quali limiti produce?
    Nel gruppo ci si interroga su questi problemi? Quali prospettive emergono? Come reagiscono i membri?
    In ogni caso, si ha l'impressione che il gruppo sia al centro, in modo tale che tutte le esperienze e le informazioni confluiscano nel suo cuore, da canali diversi; oppure c'è dispersione, adattamento passivo agli ordini dall'alto; oppure, al contrario, il troppo isolamento produce asfissia?
    Quando si deve collaborare con altri gruppi, per operare sullo stesso territorio (centro giovanile, istituzione, quartiere...), il collegamento è solo funzionale oppure esiste una coscienza di reciproco arricchimento? Il «confronto» con i diversi fa ancora paura? La vita dei membri del gruppo è tutta spesa dentro il gruppo, oppure ciascuno fa altre esperienze, partecipa ad incontri diversi, va in giro a contattare esperienze?

    Per approfondire il discorso
    - R. TONELLI, La vita dei gruppi ecclesiali, LDC (3a ed.), pp. 173-184.
    - F. GARELLI, Gruppi giovanili ecclesiali: tra personale e politico, tra funzione educativa e azione sociale, in «Quaderni di sociologia» 26 (1977) 275-320.

    IL GRUPPO SERVE ALLA MATURAZIONE DELLE PERSONE O AL CAMBIO SOCIALE?

    Dove sta il problema?

    A prima vista la formulazione sembra troppo rigida. Non si tratta di porre alternative, ma di sostenere che ci vogliono tutte e due le cose (formazione personale e impegno sociale). La vita di molti gruppi fa invece costatare che non è facile, nella pratica, armonizzare bene queste due esigenze. C'è sempre il rischio che una prenda il sopravvento sull'altra. E questo, non a caso. Sotto sotto, ci sono modelli antropologici diversi: entrano in campo i problemi del rapporto tra riflessione e prassi, tra azione e formazione, tra personale e politico... e cioè i grossi nodi del nostro momento culturale e giovanile.

    Gli interrogativi

    Questo problema va affrontato nel concreto, per evitare di trincerarsi dietro gli slogans. Il gruppo provi ad elencare fatti concreti vissuti negli ultimi tempi, per vedere se le scelte sono state orientate dalla preoccupazione «formativa» o da quella «politico-pragmatica».
    Come è stata maturata la decisione? Che livello di corresponsabilizzazione si è voluto raggiungere?
    Come è stata verificata l'azione?
    I gesti compiuti erano «sopportabili» dalle persone o invece non si trattava di problemi troppo grossi rispetto alla maturità oggettiva dei membri del gruppo? E capitato di non fare nulla, con la scusa che prima ci si deve formare e poi si agirà? Gli interventi dell'animatore verso quale direzione hanno spinto? Come viene vissuta, nel gruppo, la relazione persona-gruppo? Le persone sono più importanti del gruppo o viceversa?
    Contano i risultati o conta la gratificazione, lo stare assieme, la persona, gli ideali i proclami?
    Se una scelta non vale l'altra, perché si è preferita una direzione all'altra? Quali presupposti antropologici, teologici, politici hanno orientato (magari inconsapevolmente) le scelte?

    Per approfondire il discorso
    - R. TONELLI, Educazione all'impegno politico, LDC, pp. 63-68.
    - F. GARELLI, art. cit.

    OPERAZIONE SBOCCO

    Dove sta il problema?

    Così come è, il gruppo non può vivere in eterno. Si condannerebbe alla morte per insignificanza o per inedia. Nasce il problema dello «sbocco»: del dopo. È un evidente problema di crescita: il ragazzo che, facendosi adulto, smette le abitudini giovanili, per assumere responsabilità precise e impegnative.

    Gli interrogativi

    Il gruppo si e posto qualche volta il problema dello «sbocco»? In teoria oppure praticamente? Che prospettive sono venute fuori?
    Esiste un desiderio nel sottobosco di continuare così, perché va molto bene e ci si gratifica moltissimo? Oppure si ha voglia di crescere, spaccando la prima pelle? Come crescere?
    Sono chiare le possibilità aperte alla crescita?
    Ci si è guardati attorno, per vedere cosa fanno gli altri?
    La crescita e lo sbocco diventano una cosa naturale e spontanea, perché si vive dentro un movimento che fa spazio anche agli adulti; oppure la crescita diventa coraggiosa inversione di rotta?
    Oggi si parla molto di «comunità» e di necessità di passare dal gruppo alla comunità. Che senso hanno oggettivamente queste affermazioni? Il gruppo usa queste parole in modo riflesso oppure sono soltanto palliativi esterni, etichette che si cambiano senza mutare la sostanza? La «comunità» verso cui si vuole crescere deve essere «comunità ecclesiale»: quali sono le esigenze concrete di ecclesialità (in rapporto, per esempio, agli obiettivi di gruppo, all'incidenza sul territorio, ai livelli di presenza e di partecipazione...)?
    Questa comunità come si colloca «dentro» l'unica comunità della Chiesa particolare e locale?
    Che rapporto essa intende realizzare con le altre comunità, con l'istituzione più vasta, con i responsabili gerarchici?
    Sono chiari i termini del rapporto Chiesa-mondo, fede-storia? della presenza del cristiano in politica? della necessità di celebrare la vita, nelle celebrazioni della fede? Questi temi sono avvertiti pregiudiziali nel momento in cui ci si interroga sullo sbocco?

    Per approfondire il discorso
    - R. TONELLI, La vita dei gruppi ecclesiali, LDC (3a ed.), pp. 163-171.
    - G. PIANA, Integrismo e radicalità cristiana, in NPG 1977/1.
    - GC. MILANESI, Ipotesi sulla religiosità dei giovani, in «Orientamenti pedagogici» 1978/1.


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