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    Una proposta di spiritualità per i giovani d'oggi



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1979-7-31)

     

    0. SPIRITUALITÀ COME IDENTITÀ CRISTIANA

    1. CI PUÒ ESSERE UNA SPIRITUALITÀ «GIOVANILE»?
    1.1. La nostra scelta: una spiritualità-in-situazione
    1.2. L'ambito della riformulazione: il «che cosa e il «come»
    1.3. Un progetto unitario?
    1.3.1. Le costanti della condizione giovanile
    1.3.2. Per superare l'eclettismo pastorale
    1.3.3. Un progetto per tutti i giovani

    2. LE «DOMANDE RELIGIOSE» DEI GIOVANI D'OGGI
    2.1. Il senso: quando una domanda esistenziale è religiosa
    2.2. L'ambito privilegiato delle domande religiose
    2.3. Quali in concreto?
    2.4. Una risposta capace di salvare esigenze fondamentali

    3. QUALE SPIRITUALITÀ
    3.1. Il punto centrale della proposta
    3.1.1. Gesù Cristo è risposta nella sua vita
    3.1.2. Gesù Cristo ci fa essere quello che ci propone
    3.1.3. Gesù Cristo è risposta che responsabilizza
    3.1.4. Gesù Cristo è risposta che fa unità interiore
    3.2. Le grandi tappe di un itinerario di spiritualità
    3.2.1. Una spiritualità del presente
    3.2.2. L'incontro con Gesù Cristo nella comunità ecclesiale
    3.2.3. La «sacramentalità» dell'esistenza quotidiana
    3.2.4. La vita quotidiana come lode al Padre
    3.2.5. Verso l'oltre della casa del Padre
    3.3. La radice teologica della proposta: la salvezza

    4. L'ESISTENZA DEL GIOVANE CRISTIANO
    4.1. La nuova identità: l'integrazione fede-vita
    4.2. Identificarsi con la causa di Gesù Cristo: l'ansia per il Regno
    4.2.1. Il Regno di Dio è un dono che convoca
    4.2.2. La festa inesauribile del credente
    4.2.3. La vita «dura» del cristiano: prendere la croce
    4.2.4. Diventare liberi per il Regno
    4.2.5. La scelta di campo: stare con gli uomini del Regno
    4.2.6. Il Regno di Dio tra personale e collettivo
    4.2.7. La solidarietà contro il Regno: il peccato
    4.2.8. Una spiritualità che sappia saldare contemplazione e impegno
    4.2.9. Il Regno di Dio tra ortodossia e ortoprassi
    4.3. I segni della vita nuova: parola-comunione-sacramenti
    4.3.1. Le celebrazioni della salvezza
    4.3.2. Il grande bisogno di queste celebrazioni di salvezza

    5. CONCLUSIONE


    0. SPIRITUALITÀ COME IDENTITÀ CRISTIANA

    Il tema scelto per questo studio potrebbe risultare superato in partenza: una ricerca sulla «spiritualità»? E, per di più, per i giovani d'oggi?
    Siamo consapevoli che il termine può risultare equivoco, evocativo di modelli cristiani che molti ormai hanno messo a disuso.
    Parliamo di spiritualità per riaffermare invece una esigenza imprescindibile dell'esperienza cristiana. Diamo però a questa voce una dimensione ampia e totalizzante.
    Pensiamo alla spiritualità come ricerca sulla identità cristiana, come significato globale di vita, capace di unificare, nella prospettiva del senso, i singoli gesti che qualificano l'uomo cristiano.
    Spiritualità giovanile è quindi per noi il tentativo di «inventare» una immagine di giovane cristiano, proponibile oggi a quei giovani che se la sentono di giocare la propria vita per Gesù Cristo, nella sua Chiesa e che, a partire da questa decisione radicale, si interrogano sul proprio quotidiano esistere come uomini nuovi.
    Con questa pretesa, vogliamo superare due stimoli, che riteniamo negativi: da una parte, la riproduzione, con qualche aggiustamento di ammodernizzazione, di molte spiritualità tradizionali, consapevoli che la riflessione antropologica e teologica attuale ha modificato i presupposti su cui si reggevano quei progetti; dall'altra, la tentazione, facile quando non si riesce a trovare modelli praticabili, di svuotare l'esperienza cristiana della sua irrinunciabile dimensione «spirituale».
    Si tratta invece, come dicevamo, di affermare a piena voce l'esigenza di spiritualità; ma di farlo in modo che essa risulti una proposta teologicamente e antropologicamente corretta, significativa. È cioè un evento di salvezza, per i giovani d'oggi.


    1. CI PUÒ ESSERE UNA SPIRITUALITÀ «GIOVANILE»?

    Quando ci si confronta con un problema così impegnativo come risulta quello relativo alla ricerca di una spiritualità per i giovani d'oggi, ci si trova immediatamente davanti una domanda pregiudiziale: ci può essere una spiritualità speciale per i giovani? Non è meglio ricordare che esiste un'unica fondamentale spiritualità cristiana, a cui tutti devono adeguarsi?
    L'interrogativo è importante e non può essere risolto alla leggera. Anche chi afferma che esiste un'unica spiritualità, certamente non conclude dicendo che tutti debbono uniformarsi al modello in modo passivo e ripetitivo. Esistono sempre criteri di adattamento, in base ai quali il «dover essere» fa i conti con le concrete situazioni esistenziali. Si studiano, inoltre, i processi per realizzare una iniziazione graduale e progressiva, fino a raggiungere la «statura perfetta» del modello. In questo caso, però, adattamento e iniziazione sono richiami metodologici, sui quali la ricerca è aperta e ogni confronto con la situazione esistenziale è prezioso.
    Sul piano dei contenuti, invece, non esistono problemi: c'è il modello ottimale di spiritualità cristiana, sulla cui falsariga ogni ricerca deve, appunto, «modellarsi».
    Molto diversa risulta, al contrario, la posizione sostenuta da coloro che perseguono una spiritualità-in-situazione (per i giovani di oggi, per esempio). Essi rifiutano l'esistenza oggettiva e statica di un cristiano modello, definito una volta per sempre. Facendo dialogare (in un dialogo fatto di «dare» e «ricevere», come ha ricordato l'ultimo Sinodo a proposito del rapporto fede-cultura) l'attuale concreta cultura giovanile con gli eventi della fede, si cerca un modo di esistere da cristiani (ed una spiritualità) che sia significativa qui e ora. Non si parla né di adattamento né di iniziazione, ma di «invenzione», di «incarnazione», di «acculturazione».
    Lo scontro tra queste due posizioni si gioca sul piano teologico. Solo rivisitando la fede, possiamo giudicare queste diverse tendenze e operare scelte concrete.
    Ed è quanto cerchiamo di fare, per giustificare la nostra che è appunto quella di una spiritualità per i giovani d'oggi.
    Per fare una riflessione sufficientemente articolata, sono analizzati i seguenti punti:
    - prima di tutto diamo le motivazioni teologiche, alla luce dell'evento dell'Incarnazione;
    - per tradurre in concreto la scelta, precisiamo poi che la riformulazione della spiritualità (per farla in situazione) deve realizzarsi nell'ambito dei contenuti della proposta (il «che cosa») e in quello degli atteggiamenti per una vita nuova (il «come»);
    - l'accento sulla situazione, da cui riformulare il nostro progetto di spiritualità, potrebbe spingerci alla impossibilita di un progetto unitario, perché il mondo giovanile risulta molto frastagliato; precisiamo invece la possibilità e l'urgenza di una certa unitarietà di fondo.

    1.1. La nostra scelta: una spiritualità-in-situazione

    Nell'esperienza cristiana c'è qualcosa che permane sempre e ne costituisce la radicalità: la fedeltà all'evento pasquale, l'opzione fondamentale di seguire Gesù Cristo, morto e risorto.
    Questo fatto è normativo, sempre. Fuori di qui non siamo più nella fede cristiana. Essa è qualcosa di oggettivamente tramandato e ricevuto: «quelli che appartengono a Dio hanno ricevuto questa fede una volta per tutte» (Giuda 3).
    Questo evento possiede però una ricchezza così ampia e incontenibile, che nessuna esperienza umana può esprimerla totalmente. Non si può quindi pensare ad un modello di decisione per questo evento (ad un modello cioè di spiritualità), che abbia la pretesa di essere l'unico, quello perfetto, tale da dispensare da ogni ulteriore ricerca.
    Del resto, l'evento di salvezza segue la logica dell'Incarnazione. Esiste sempre in un oggi concreto, assumendo qualcosa dal tempo e dallo spazio in cui lo si vive.
    La fecondità salvifica è data dall'evento incarnato; esso è quindi normativo rispetto alle sue espressioni storiche. Questo evento è però incontrabile (e quindi «fecondo») solo nello «svuotamento» (Fil 2) delle mediazioni umane che lo esprimono.
    In questo senso, in ogni progetto di spiritualità cristiana c'è qualcosa da ricercare, da inventare, da costruire. Certo, non sono le condizioni esistenziali, storiche o culturali, a determinare la spiritualità. Le sue dimensioni portanti le derivano dall'evento di salvezza che è Gesù Cristo. Ma questo evento fondamentale prende continuamente carne nella storia e nella cultura. Per questo, come ricorda il Concilio (LG 41), ad ogni condizione esistenziale corrisponde uno stile tipico di santità cristiana e quindi di spiritualità. Non si può parlare perciò di una spiritualità definita una volta per sempre, che si adatta ai destinatari, centellinando e aggiustando qualcosa, provvisoriamente, nell'attesa di poter arrivare finalmente al modello perfetto. Si deve invece parlare di una spiritualità che esiste in una condizione concreta. E, quindi, di una spiritualità anche per i giovani d'oggi.
    La conclusione è importante. Non solo giustifica la nostra ricerca, ma la impone, perentoriamente.
    Ripetere oggi le linee di una spiritualità elaborata in una cultura diversa dalla nostra, oppure ignorare i gravi problemi che attraversano l'attuale condizione giovanile per perseguire una spiritualità genericamente per i giovani, comporta, inevitabilmente, il tradimento dell'evento di salvezza.
    Chi «conserva», disperde e vanifica. Chi, invece, tenta faticosamente nuove incarnazioni, e fedele. Vive da cristiano.

    1.2. L'ambito della riformulazione: il «che cosa» e il «come»

    Questa conclusione ci introduce in un'altra considerazione, ancora pregiudiziale rispetto alla nostra ricerca.
    Abbiamo affermato la necessità di «riformulare» la spiritualità cristiana sulla misura dei destinatari. In quale ambito? Cosa significa, concretamente, realizzare una spiritualità-in-situazione? Per rispondere in modo corretto, dobbiamo ancora confrontarci con i dati della fede.
    Se la spiritualità è lo stile globale di vita del giovane cristiano, la domanda va spostata sulle dimensioni che fanno della vita una «esistenza cristiana». Solo così, in modo logico, possiamo definire l'ambito di riformulazione della spiritualità e quindi conoscere come e dove lavorare per il nostro progetto. L'esistenza cristiana è l'esistenza di colui che ha accolto quel dono di Dio che lo chiama a novità di vita. Nell'esistenza cristiana c'è quindi una dimensione di convocazione ed una di risposta: un evento-dono che si propone come offerta, e l'accoglienza gioiosa di questo dono, che costituisce il modo nuovo di esistere.
    Dono e risposta determinano l'esistenza cristiana. La risposta nella vita è possibile perché provocata e sostenuta dall'evento-dono; d'altra parte, l'evento è dono-offerta, che richiede sempre una accoglienza personale, libera e responsabile. In questo contesto non affrontiamo l'intricato problema del livello di consapevolezza che bisogna possedere nei confronti dell'evento di Dio e nella sua accoglienza. Siccome parliamo di esistenza «cristiana» e di spiritualità, diamo per scontata l'esistenza di un livello minimo di consapevolezza riflessa.
    La logica dell'Incarnazione, che abbiamo ricordato poco sopra, investe tanto il dono quanto la risposta. Per questo si può parlare di una riformulazione rispetto al «che cosa» (il modo di proporre il dono) e rispetto al «come» (la risposta).
    Sul piano del «che cosa», la meditazione dell'Incarnazione produce le immediate conseguenze appena sottolineate. Non si può immaginare un evento astorico (non incarnato), costituito in modo definitivo, che comunica successivamente con una concreta storia e cultura. Solo incarnato in una storia e in una cultura, l'evento di Dio è dono per l'uomo, è interpellanza radicale al dialogo di salvezza.
    Più impegnativo (ma per questo più urgente) risulta il discorso relativo al «come». La nostra esistenza quotidiana non è il luogo in cui passivamente siamo chiamati ad accogliere l'evento di Dio. Dobbiamo ogni giorno formulare creativamente la nostra risposta a questo dono interpellante.
    La nostra vita, con i problemi e gli entusiasmi che l'attraversano, è il luogo in cui, per il dono dell'autocomunicazione di Dio, possiamo accogliere, liberamente e responsabilmente, questo stesso dono.
    Ogni uomo risponde, nella sua creatività, all'evento di Dio. Risponde cristianamente a questo appello, quando accetta di commisurare la sua libertà e responsabilità con la carica di normatività che il dono di Dio possiede. C'è quindi spazio per la creatività e per il confronto con la cultura e la storia, anche sul piano del «come»: per riformulare l'oggettiva risposta con lo stile soggettivo di ogni condizione e esistenza storica.
    Quando si parla di «che cosa» e di «come», si pensa a questi importanti presupposti teologici. Riformulare la spiritualità significa prima di tutto ripensare le sue dimensioni costitutive e fondanti per farla vera «proposta», in un dialogo serrato tra l'evento di Dio e l'attuale cultura e sensibilità giovanile.
    La spiritualità è però anche uno stile di vita, un modo concreto e quotidiano di progettare la propria esistenza «da» cristiano. Si rende perciò egualmente necessario e urgente ripensare i tratti costitutivi dell'esistenza cristiana, come risposta globale al dono di Dio, in modo da compaginare profondamente i problemi tipici dell'attuale condizione giovanile con le dimensioni radicali della proposta di salvezza. Per fare, insomma, della vita la risposta all'amore di Dio per un giovane di oggi.
    In questo modo, la condizione giovanile diventa il criterio ermeneutico che ci aiuta a riformulare il «che cosa» e il «come» della spiritualità, per farne una «spiritualità per i giovani d'oggi».

    1.3. Un progetto unitario?

    Da queste considerazioni nasce un nuovo problema che potrebbe gettare a mare tutta la nostra ricerca. Possiamo esprimerlo, in termini un poco drastici, così: se la spiritualità va riformulata sulla misura concreta dei giovani, possiamo pensare alla condizione giovanile come ad un universo così omogeneo e unitario, da giustificare un progetto unificante di spiritualità?
    La risposta, a prima vista, è certamente negativa. Da qui la conclusione, facile e immediata: non si può parlare di progetto unitario, ma solo di molti e diversi progetti.
    La nostra posizione, invece, è più sfumata e articolata.
    Crediamo alla necessità di elaborare un progetto largamente unitario, da reinterpretare successivamente sulla misura dei destinatari concreti con cui ogni operatore pastorale lavora. E questo per motivi che ci sembrano molto seri.

    1.3.1. Le costanti della condizione giovanile

    È vero che i giovani di oggi formano un universo molto frastagliato, tanto da rendere generica ogni affermazione che pretenda di descriverli in modo globale. Gli studiosi della condizione giovanile ci assicurano però che esistono alcune «costanti». Esse formano quasi il tessuto connettivo dell'attuale mondo giovanile.
    Non tutti i giovani le vivono in modo consapevole e riflesso, perché si tratta di tensioni espresse prevalentemente da élites. Anche se le manifestazioni esterne sono diverse e contraddittorie, le loro radici sono però abbastanza unitarie ed omogenee, perché hanno prevalentemente cause strutturali.
    Il confronto con queste costanti giustifica perciò la presunzione di pensare ad un progetto unitario e articolato. Se un progetto tiene conto delle esigenze che nascono da questi fatti diffusi e consistenti, esso può rappresentare veramente qualcosa di praticabile dai giovani di oggi. Corrisponde oggettivamente alle loro attese reali e profonde e può essere salvezza al loro concreto e quotidiano esistere.

    1.3.2. Per superare l'eclettismo pastorale

    Questa convergenza attorno ad alcune costanti giustifica anche una preoccupazione pastorale urgente: la necessita di superare l'eclettismo pastorale.
    Fino a poco tempo fa avevamo una serie di orientamenti teologici e pastorali omogenei e ben strutturati. La prassi era legata a scelte precise, che si rifacevano normalmente ad un'unica scuola. Il rinnovamento conciliare ha scoperto il dialogo tra la teologia e quelle scienze dell'uomo che la cultura moderna aveva largamente frammentato e disarticolato. Sono nati così diversi sistemi teologici e di conseguenza diversi progetti pastorali.
    Non si tratta di un pluralismo solo formale, come potrebbe apparire a prima vista, quasi si usassero dei sinonimi per esprimere le stesse realtà. Ci sono espressioni differenti degli stessi contenuti della fede, perché è molto diverso l'orizzonte di presupposti e di problemi che forma la chiave interpretativa personale e collettiva.
    In campo pastorale bisogna però scegliere: decidersi per una linea o per l'altra, se non si vuole restare perennemente con le mani in mano.
    Purtroppo molti operatori pastorali scelgono, prendendo di qua e di là, senza la preoccupazione di armonizzare e di verificare i presupposti che sostengono una linea o l'altra. E così, sul terreno dell'azione pastorale, ci si trova spesso con materiali difficilmente omogenei. Il loro uso richiede continuamente un salto di qualità e di senso. Le conseguenze sono quelle che quotidianamente verifichiamo. Molti giovani d'oggi possiedono «personalità cristiane» disintegrate. Hanno una sensibilità fortissima in una direzione e sono carenti totalmente nell'altra. O tentano di far sussistere contemporaneamente visioni culturali che invece fanno a pugni.
    Altre volte si giunge ad emarginare dalla propria vita spirituale quelle dimensioni che non sono state formulate in modo coerente, rispetto all'orientamento di fondo.
    Questa costatazione ci costringe ad una decisa inversione di rotta. Non sogniamo i bei tempi in cui tutto era omogeneo. Per fortuna, è difficile fare marcia indietro. Sentiamo però urgente superare l'eclettismo: reinterpretare i tratti costitutivi dell'esperienza cristiana alla luce di un orientamento «spirituale» unitario.

    1.3.3. Un progetto per tutti i giovani

    La ricerca di un progetto unitario è motivata anche da una terza riflessione.
    Nella comunità ecclesiale italiana esistono già progetti di spiritualità molto interessanti. Alcuni però ci sembrano un poco élitari, nel senso almeno che costituiscono una proposta ben organizzata, da prendere o lasciare. Una proposta, cioè, in cui la forza discriminante non è affidata solo all'evento di Dio ma soprattutto al modello antropologico e teologico in cui questo evento si è acculturato. D'accordo, le cose non possono che andare così; lo dicevamo sopra, pensando alla logica dell'Incarnazione. Ma si può scegliere una cultura più o meno vicina alle sensibilità diffuse nell'attuale condizione giovanile.
    Questa decisione è la forza del progetto, perché lo pone come «controcorrente», da accogliere con gesto di forte coraggio. È però anche il suo limite. Esso, infatti, risulta praticabile solo da quella fascia di giovani che se la sentono di fare un difficile salto di qualità proprio sul piede di partenza.
    Al contrario noi privilegiamo, come destinatari, tutti i giovani: cerchiamo qualcosa che possa risultare veramente (come contenuto e come metodo) per tutti i giovani, senza discriminazioni a priori. Questo, non per svuotare o banalizzare la forza discriminante di Gesù Cristo, ma per permettere ad ogni giovane di incontrarlo al punto in cui si trova la sua libertà e la sua fede.
    Questa decisione risulta concreta e praticabile solo quando si riesce a costruire un progetto unitario, pensato sulla misura degli «ultimi», dei più poveri nell'attuale condizione giovanile.
    «poveri» (di interessi, di sensibilità, di slanci e di prospettive...) rappresentano quella categoria egemone, capace di offrire la presunzione motivata di poter dialogare veramente con tutti. Chi sa incontrare gli «ultimi», propone veramente qualcosa sulla misura di tutti.
    L'accettazione o il rifiuto della proposta correrà perciò unicamente sul filo misterioso della grazia di Dio e della libertà dell'uomo, in un processo servito e sostenuto da una corretta mediazione pastorale.

    2. LE «DOMANDE RELIGIOSE DEI GIOVANI DI OGGI

    Questa lunga premessa ci ha condotto ad una importante conclusione: la nostra ricerca sulla spiritualità giovanile è corretta, solo se sappiamo ripensare i contenuti e i modelli tradizionali dell'esistenza cristiana partendo dai bisogni e dalle attese che attraversano l'attuale condizione giovanile. Quali sono, concretamente, questi bisogni e queste attese? Abbiamo già ricordato che la condizione giovanile rappresenta il coagulo in alcune costanti di una vastissima inflorescenza di orientamenti, di tensioni, di progetti, di problemi esistenziali.
    In questa innegabile «confusione» (che gli esperti definiscono pluralismo, mobilità culturale, ricerca di nuovi valori...), esiste uno spazio privilegiato da cui muovere? C'è un punto di convergenza dalla cui prospettiva unitaria formulare il progetto di una spiritualità giovanile? Gli studiosi dell'attuale condizione giovanile ci suggeriscono questo punto di incrocio di molte tendenze: la ricerca di una nuova qualità di vita.
    Questa ricerca di «qualità di vita» incarna per molti una reale «domanda religiosa». Per altri, lo può facilmente diventare, se essi sono stimolati a prendere coscienza riflessa della grossa ricchezza esistenziale che stanno esprimendo.
    L'argomento è molto serio. Lo vogliamo precisare, suggerendo alcuni punti di riflessione:
    - prima di tutto, è importante precisare in che senso parliamo di «domanda religiosa», per evitare che il termine sia usato in modo equivoco;
    - in secondo luogo, suggeriamo quali possono essere, concretamente, le esperienze umane capaci di produrre domande religiose;
    - in terzo luogo, pensando all'attuale condizione giovanile, indichiamo quali sono di fatto le attese relative alla nuova qualità della vita, che, educate, possono condurre a domande religiose;
    - per concludere, indichiamo due esigenze da risolvere correttamente, se non si vuole che il rapporto tra domanda religiosa e annuncio di Gesù Cristo (e quindi la spiritualità giovanile) risulti una nuova, più sottile alienazione.
    Come si vede, i primi tre punti ruotano attorno al problema della ricerca di una nuova qualità della vita, perché, nel nostro progetto, essa rappresenta il luogo esistenziale in cui costruire una spiritualità giovanile. Il punto conclusivo, invece, suggerisce le condizioni per operare in modo corretto questa riformulazione; dice, in altre parole, i criteri formali a cui il progetto di spiritualità chiamato a rispondere.

    2.1. Il senso: quando una domanda esistenziale è religiosa

    L'espressione «domanda religiosa» può risultare facilmente equivoca. Deve essere precisata.
    In questo contesto utilizziamo l'aggettivo «religioso» in un senso ristretto e tecnico. Appartiene all'area del religioso non tutto ciò che supera un aspetto della realtà o della coscienza umana, ma solo ciò che supera radicalmente tutto l'uomo, la sua esistenza e la sua storia.
    In questo senso, religioso è quella caratteristica delle esperienze umane che si manifesta quando l'incontro con la realtà solleva interrogativi che vanno al di la dell'immediatamente dato in modo globale e radicale, facendo così emergere la consapevolezza della parzialità delle diverse risposte immanenti.
    In altre parole, le esperienze quotidiane, quando sono restituite ai giovani nella densità di problematicità che comportano, costringendo ad interrogarsi sul «perché» della vita, fanno emergere domande di significato.
    Queste domande incontrano molte concrete risposte, nella ricca documentazione della ricerca umana. Ma le domande più radicali resistono all'onda di queste risposte storiche. Esse sono importanti e interessanti. Ma non bastano, perché si dimostrano incapaci di risolvere tutto il problema del significato. Quando queste domande sussistono anche «oltre» le diverse possibili risposte, queste domande sono religiose. Le esperienze che ne fanno da supporto, segnano il luogo più felice per sollecitare all'incontro con Gesù Cristo. Sono perciò lo spazio esistenziale privilegiato per il nostro progetto di spiritualità.

    2.2. L'ambito privilegiato delle domande religiose

    Abbiamo affermato genericamente il significato di «domanda religiosa». Possiamo chiederci: esistono direttrici di cammino capaci di far emergere la dimensione religiosa è delle esperienze, di produrre cioè nella vita queste domande religiose?
    Pur nei limiti di ogni schematizzazione, sottolineiamo due risonanze, tipiche di ogni fatto veramente umano: il tragico, quotidiano dialogo tra positività e fallimento.
    In primo luogo, l'appello religioso, la domanda di trascendenza, può affiorare dalla consapevolezza della positività e autenticità di cui molte esperienze umane sono cariche. Esse hanno in sé una vivacità umana così ricca, così nuova, da diventare come «frecce» di un senso ultimo e totale della vita umana. Ci offrono una modalità di essere uomini che ci rilancia più a qualcosa che ci supera e ci è stato donato, che alla nostra autosufficienza.
    Il religioso, inoltre, affiora anche dalla costatazione che l'esperienza umana è continuamente minacciata dallo scacco. La ricerca di significato, l'attesa ansiosa di valori, si fa grido di salvezza. Ogni giorno tocchiamo con mano la minaccia di inquinamento (personale e sociale) verso cui sono trascinate le nostre esperienze, anche le più affascinanti. Da questa costatazione nasce un desiderio di liberazione, un fremito di speranza, che spinge oltre, al di la dei confini angusti dell'esperienza quotidiana.
    Dal positivo e dal negativo (e cioè dalla vita, che è ricchezza e fallimento, assieme) emerge così l'attenzione verso il «qualcosa» capace di dare conto di questa ricchezza di senso e di problematicità che ci costituisce come uomini.

    2.3. Quali in concreto?

    Abbiamo tracciato una linea di tendenza. È difficile andare più avanti, concretizzando maggiormente il discorso, perché si corre il rischio di generalizzare prospettive che invece sono tipiche solo di alcuni giovani.
    Gli studiosi della condizione giovanile suggeriscono, con insistenza e con un notevole consenso, alcuni tratti abbastanza facilmente applicabili a «tutti» i giovani di oggi (anche se le manifestazioni concrete sono notevolmente diversificate). Rappresentano le modalità più immediate con cui molti giovani vivono oggi l'esperienza del «positivo» e del «negativo», di cui e carica la vita.
    Per molti giovani d'oggi, queste esperienze sono espresse dalle domande relative ad un innegabile bisogno di senso che permane anche al di là della soddisfazione o della negazione delle esigenze materiali della vita; dal recupero del «personale» come cerniera tra il collettivo e il privato; dalla ricerca di valori gratuiti, fuori della logica consumistica, aperti al ludico e allo spontaneo.
    Attorno a questi poli esistenziali si raccoglie la loro ricerca di una nuova qualità di vita. I più sensibili, anzi, vivono queste domande nel contesto dei processi di cambio e nelle contraddizioni del nostro tempo, come ricerca ad una alternativa oltre a quello che si sperimenta e si realizza. Altri, invece, esprimono questa domanda in atteggiamenti consumistici o regressivi.

    2.4. Una risposta capace di salvare esigenze fondamentali

    Le domande sulla qualità della vita sono esperienze di confine: rappresentano un fatto costitutivamente umano, perché sono una affannosa ricerca di rassicurazione sull'esistenza, e, nello stesso tempo, aprono radicalmente alla trascendenza.
    L'esito di queste domande dipende, in buona parte, dalle risposte che i giovani possono incontrare.
    Stiamo riflettendo nell'ambito della spiritualità: cerchiamo perciò dei suggerimenti per definire il servizio che la comunità ecclesiale può fare ai giovani di oggi.
    La comunità ecclesiale ha una sola fondamentale competenza: l'evangelo di Gesù Cristo. Essa, perciò, quando si interroga sulle attese giovanili non lo fa per «cambiare mestiere», per cercare qualche altra cosa da fare, al di fuori della sua competenza. Si confronta con le attese giovanili, interpretando alla luce della fede i suggerimenti delle scienze antropologiche, per riformulare l'evangelo di Gesù Cristo, in modo che sia significativo e salvifico per queste concrete attese. Non cerca altri possibili servizi, ma vuole incarnare il suo, quello che le è costitutivo, perché risulti veramente servizio.
    La ricerca sulle «domande religiose» dei giovani va quindi risolta da questa ottica irrinunciabile: come evangelizzare Gesù Cristo, sorgente di ogni spiritualità, perché sia la proposta e la radice di una vita nuova per questi concreti giovani? A quali condizioni egli può diventare «il» salvatore nell'attuale condizione giovanile?
    La comunità ecclesiale evangelizza Gesù Cristo, come proposta interpellante ogni persona in ogni condizione storica e culturale. Ma realizza questo suo servizio, preoccupata di fare di questo annuncio una vera buona novella» per le concrete persone di questo nostro tempo.
    Il dialogo tra le domande dei giovani e l'evangelo perenne di Gesù Cristo va quindi realizzato, non solo coinvolgendo le domande stesse (come luogo privilegiato in cui annunciare questo evangelo), ma anche salvando una serie di esigenze che possono assicurare la dimensione di «buona novella» di questo annuncio.
    Quali sono, dunque, queste esigenze da salvare a tutti i costi, per poter dialogare con i bisogni reali dei giovani d'oggi in modo salvifico (promuovendo cioè veramente e radicalmente l'uomo)? Nel mondo giovanile attuale emergono con insistenza drammatica due esigenze. Incarnato in esse, Gesù Cristo può essere l'evento concreto della salvezza di Dio.
    Prima di tutto, costatiamo che i giovani di oggi vivono dissociati interiormente. Hanno quindi urgente bisogno di ricostruire l'unità interiore perduta. Sono molteplici le cause di questa dissociazione. Da una parte il contrasto tra le ragioni della fede e quelle dell'esistenza nel mondo, dall'altra le diverse e disorganiche proposte di senso che attraversano oggi la nostra cultura. Esiste poi una spinta a concentrare tutta l'attenzione verso il presente, fino ad escludere ogni riferimento serio al passato. Ma questo fatto produce ulteriore dissociazione, perché chi è privo di «memoria» verso il suo passato, vive disperato nei confronti del suo futuro. E, si noti, tutto questo non sul piano del sapere razionale, ma su quello, ben più drammatico, del vivere quotidiano.
    Una spiritualità per questi giovani dovrebbe favorire l'unita tra fede e vita, servendo l'unificazione (anche se critica) tra i diversi valori e significati che costituiscono la vita quotidiana, in un modello di «unità», esperimentabile, vivibile, incontrabile.
    Una seconda esigenza da salvare è rappresentata dall'urgenza di ridefinire il rapporto tra fede e storia (ancora una volta: l'integrazione tra fede e vita), ricordando che viviamo in un tempo in cui la «storia» non fa più le forti e provocanti «domande» che hanno invece segnano i tempi caldi del dopo-Concilio e della contestazione giovanile. Una volta (pochi anni fa), ci si interrogava sulla funzione della fede per uomini e giovani tutti coinvolti nell'impegno promozionale. Oggi, forse, si dovrà rivisitare la fede, per ritrovare nella sua autenticità la necessaria spinta a farsi carico dei problemi degli uomini.
    Questa ridefinizione del rapporto fede-storia deve oggi saper coinvolgere anche tutto l'ambito del personale, sia in prospettiva esistenziale che etica. È un compito urgente per giovani che sono trascinati, in modo spesso conflittuale, tra i due opposti poli del «collettivo» e del «privato». Così non riescono ad ancorare il loro oscillare in un dato che faccia posto, in termini armonici, alle due esigenze. Ancora una volta, la vita è spaccata da contraddizioni esistenziali.
    Questo imperativo è oggi particolarmente nuovo, e quindi più sofferto. La spiritualità tradizionale aveva dato tutto lo spazio al personale, interpretato prevalentemente come «privato» in conflitto con la dimensione del «collettivo». E così era diventata spesso una spiritualità per gente disimpegnata. La si è rifiutata in blocco, sotto la pressione della montante politicizzazione. Si è ricercata una spiritualità del politico. Ma con esiti troppo deludenti, anche perché la chiarezza concettuale non è riuscita a produrre esperienze e modelli praticabili.
    Oggi è urgente ritrovare l'unificazione tra queste due dimensioni costitutive dell'esistere quotidiano, inventando, sul filo della vita, un modo nuovo di essere uomo.
    Un uomo che pensa e che agisce; che vive la sua irrepetibile personalità nella trama sociale; che sa incontrare se stesso e gli altri; che lotta per cambiare e possiede una fedeltà senza incertezze; che sa costruire coerenza dentro e fuori di sé.

    3. QUALE SPIRITUALITÀ

    Definiamo il contenuto della nostra proposta, lavorando prima di tutto nell'ambito del «che cosa»: quale spiritualità per i giovani d'oggi può diventare proposta significativa e salvifica. Per articolare meglio il discorso, suggeriamo tre nuclei contenutistici:
    - in primo luogo indichiamo il punto centrale della proposta, quello che fornisce il perno della spiritualità;
    - in secondo luogo tracciamo un itinerario da percorrere a tappe successive, per costruire questa spiritualità: l'itinerario, nella nostra prospettiva, ha il compito di indicare i punti irrinunciabili del progetto;
    - e, infine, evidenziamo la radice teologica del progetto stesso: quel cambio di prospettiva che ci permette di formulare il «che cosa» della spiritualità giovanile, nei termini in cui l'abbiamo tentato.

    3.1. Il punto centrale della proposta

    Alla domanda: qual è il punto centrale della spiritualità cristiana, la risposta è d'obbligo: l'incontro personale con Gesù Cristo.
    Questo va però espresso, riformulato e concretizzato, partendo dai criteri che abbiamo suggerito sopra.
    L'accento sull'incontro personale con Gesù Cristo si trasforma in punto centrale del nostro progetto di spiritualità, quando questo incontro assume, in modo salvifico, la «carne» delle esigenze tipiche dell'attuale condizione giovanile, quelle che abbiamo ricordato poco sopra.
    L'incontro con Gesù Cristo diventa perciò l'incontro con una Persona che ha qualcosa da dire, di definitivo e impegnativo, in merito alle domande brucianti relative alla ricerca di senso e di qualità nuova per l'esistenza.

    3.1.1. Gesù Cristo è risposta nella sua vita

    Gesù Cristo è la salvezza di Dio perché è risposta concreta al desiderio di qualità di vita. Gesù Cristo non propone una risposta dottrinale o teorica. E neppure rilancia la domanda verso un domani lontano e sfuocato, in cui i toni della domanda si aggrovigliano così confusamente da risultare spersonalizzati e insignificanti.
    Egli «è» la risposta. Nella sua vita trascinata fino alla morte per amore e riconquistata nella potenza della risurrezione, egli «è» e «dà» una risposta. La sua risposta per il nostro presente.
    Nella sua vita egli ci rivela chi è Dio e chi è l'uomo. Risponde così ai due interrogativi più drammatici dell'esistenza, indicando nei fatti quello che ha espresso così bene S. Ireneo nel famoso distico: «La gloria di Dio è l'uomo vivente, ma la vita dell'uomo è vedere Dio».
    Solo incontrandolo nella fede e nella conversione, riusciamo ad incontrare la risposta che andiamo cercando.
    Se c'è una risposta, vale la pena cercare, lasciarsi scarnificare dalla domanda. La ricerca di una qualità di vita non è ricerca senza senso. Non è una nuova, più sottile alienazione, che sposta in avanti il problema perché mancano i termini per risolverlo.
    Gesù Cristo è risposta, prima ancora che noi riusciamo a formulare la domanda. Anzi, la nostra ricerca è la tensione, non ancora risolta, a conquistare la sua risposta. Siamo ancora in ricerca perché, afferrati almeno implicitamente (ma sempre realmente) dalla sua risposta, cerchiamo ogni giorno con un'attesa più radicale.

    3.1.2. Gesù Cristo ci fa essere quello che ci propone

    Gesù Cristo non è uno dei tanti, inutili modelli, che inquietano la nostra esistenza quotidiana, perché ci rilanciano in avanti, proibendoci di gustare il poco che abbiamo costruito. La sua, non è una risposta che «spiega» che cosa fare, che propone la meta: una risposta che sgroviglia i termini del problema, lasciando sempre a mani vuote, con la bruciante esperienza di colui che, capendoci di più, soffre maggiormente la crisi. Gesù Cristo dà consistenza, futuro e speranza, alla nostra ricerca. Chi cerca in lui, sa di cercare nella sicurezza esistenziale di trovare, perché è già stato trovato, incontrato e salvato.
    È lì è l'unico che. mentre addita il futuro. ce lo fa assaporare in pienezza gioiosa. Ci spinge a diventare quello che lui è, non solo indicandoci la meta, ma soprattutto sostenendo, nel suo dono, il nostro faticoso cammino. Ci dona quello che ci propone di essere

    3.1.3. Gesù Cristo è risposta che responsabilizza

    Gesù Cristo è risposta alla nostra ricerca di qualità di vita, in modo responsabilizzante. Egli è risposta, proprio mentre diventa l'interpellanza più radicale.
    La sua risposta, da una parte, ci costringe a lasciarci interrogare; senza di lui, neppure sapremmo porci il problema di una nuova qualità di vita. Dall'altra, egli è risposta solo quando la domanda è posta in modo serio e maturo: quando, cioè, la vita è presa nelle proprie mani, con decisione libera e responsabile, quando la domanda è posta in modo «umano», da gente che si sente responsabile della propria e altrui esistenza e neppure tenta di annullare la crudezza della domanda, nascondendosi i problemi o addomesticandoli nei loro surrogati.
    Questa sottolineatura è importante, perché è troppo facilmente incombente il rischio di concludere il rapporto domanda-risposta in un cortocircuito, che riduce ancora una volta la fede ad alienazione, a perdita di responsabilità sociale, a vuoto e triste egoismo individuale.

    3.1.4. Gesù Cristo è risposta che fa unità interiore

    Questo incontro con Gesù Cristo, risposta di Dio alla nostra ricerca di qualità di vita, restituisce unita profonda alla persona.
    Le contraddizioni esistenziali sono in lui trascinate in una unità, che non annulla ma trascende le radicali conflittualità dell'esistenza dell'uomo. Quali siano, concretamente, queste contraddizioni esistenziali ce lo documenta una bella pagina di K. Rahner, che citiamo alla lettera.
    «Per l'antropologia cristiana l'uomo è l'essere della storia spazio-temporale e ciò finanche nella sua salvezza - quindi sempre e dappertutto - e nondimeno egli non si esaurisce in tale spazio-temporalità.
    Egli è il soggetto di una libertà ogni volta unica, e tuttavia uno che vive in una storia salvifica collettiva e che viene condeterminato da questa anche nella storia della sua libertà individuale ogni volta unica e non abdicabile in quanto tale.
    Per l'antropologia cristiana l'uomo è essenzialmente l'essere storico cui la rivelazione divina e la salvezza si fanno incontro partendo dalla sua storia concreta, e nel contempo è l'essere che, attraverso ciò che noi chiamiamo Spirito Santo della grazia, è già da sempre dotato della realtà salvifica di Dio stesso quale offerta fatta alla sua libertà che può realizzarsi in ogni storia.
    Egli è sempre il peccatore che non può giustificarsi davanti a Dio e che tuttavia è sempre avvolto dall'amore di Dio che comunica se stesso e che quindi propriamente sta già da sempre al di là della linea abissale che distingue Dio dalla creatura finita».

    3.2. Le grandi tappe di un itinerario di spiritualità

    L'incontro con Gesù Cristo non è un fatto automatico, nel senso che normalmente si possa realizzare al di fuori di precise attenzioni programmatiche; e neppure può risultare come un qualcosa che avviene dall'oggi al domani, all'improvviso come un lampo a ciel sereno. Esso, al contrario, esige un preciso itinerario di crescita. Le tappe di questo itinerario determinano i punti-fermi del nostro progetto di spiritualità, quell'insieme cioè di «momenti», tutti egualmente importanti, dal cui intreccio nasce l'incontro con Gesù Cristo e il cui sviluppo continuo descrive la maturazione progressiva del cristiano.
    Per ragioni tecniche, siamo costretti a elencarli in una progressione cronologica. Non possiamo prendere la cosa in modo rigido e soprattutto dobbiamo ricordarci che alla conclusione del percorso il cammino deve riprendere, con quella intensità e maturità che segna l'esistenza a spirale di ogni uomo.

    3.2.1. Una spiritualità del presente

    Il presente è il centro, lo spazio irrinunciabile della spiritualità.
    Nel nostro progetto, a differenza di altri modelli di spiritualità più centrati sulla «fuga mundi», tutto ruota attorno al presente, al quotidiano, al qui-ora, all'esperienza. Questa è la vita, un continuo rincorrersi di «presente»; è questa è l'esistenza del cristiano. Gesù Cristo è risposta salvifica alla domanda di qualità per questo concreto presente.
    Si richiede però un intervento salvifico su questo presente. Deve risultare «domanda di qualità di vita», se il giovane vuole incontrare Gesù Cristo come la risposta di Dio a questa sua domanda. Per troppi giovani, il presente non pone interrogativi di senso, perché sono trascinati verso la superficialità che aliena o l'ideologia che ingolfa nella immanenza. Essi vanno «liberati»: umanizzati, restituiti alla loro dignità di uomini, resi cioè capaci di farsi interrogare dalla propria vita.
    Per non lasciare nel vago queste affermazioni (sulle quali, del resto, la letteratura è ormai abbondante), suggeriamo tre direzioni verso cui convogliare il servizio dell'educazione liberatrice, di quell'intervento educativo che vuole restituire a ciascuno la propria dignità umana. Il presente è vissuto in modo umanizzato quando pone problemi a proposito del suo senso (perché si vive, che senso ha la vita), del suo orientamento (verso quale immagine d'uomo, di società, di convivenza umana, dobbiamo indirizzare le nostre speranze) e di consistenza (chi ci assicura dell'esito? dell'esito in sé e dell'esito per tutto l'uomo e per tutti gli uomini). Le domande sulla «qualità della vita» sono sempre domande costruite in queste direzioni complementari.
    Sono domande religiose, come dicevamo prima, perché gli interrogativi sul senso, sull'orientamento e sulla consistenza si scontrano con molte possibili risposte umane, ma, quando sono veri, restano interrogativi anche in questo confronto. E quindi rilanciano verso un'attesa di trascendenza, verso l'accoglienza di una proposta che superi radicalmente la nostra esperienza umana, importante e povera nello stesso tempo.
    A questo livello di profondità esistenziale, il presente è vissuto in modo maturo. Da uomo che sa farsi interrogare dalla sua vita; che sa dialogare con tutte le ideologie e i sistemi antropologici, senza pregiudizi; che sa però riconoscere la loro insufficienza, perché la riappropriazione della personale esistenza svela come sia più misteriosa, affascinante e problematica, di ogni risposta immanente.
    Dobbiamo aggiungere un'altra cosa.
    Questo processo non è di ordine razionale, ma vitale. L'interrogativo sul senso, sull'orientamento e sulla consistenza non scatta, normalmente, quando ci si confronta con la vita, sprofondati nel disimpegno. La vita si fa domanda soprattutto quando la si vive nella prassi promozionale, quando la si butta per liberare il povero, l'oppresso, l'emarginato, quando si avverte la bruciante esperienza del fallimento, dell'inconsistenza e dell'incoerenza; o, almeno, quando ci si confronta spassionatamente con persone che vivono così la propria esistenza. Questa sottolineatura esprime una importante costante del nostro progetto di spiritualità.

    3.2.2. L'incontro con Gesù Cristo nella comunità ecclesiale

    L'incontro con Gesù Cristo avviene all'interno della comunità dei credenti, il movimento di coloro che riconoscono il Risorto e si decidono per lui.
    Questa affermazione risulta vera e praticabile solo nella concorrenza di due esigenze complementari: esiste una comunità che sa testimoniare e annunciare Gesù Cristo in modo credibile e affascinante e per questo si propone nella logica esperienziale, dicendo ai giovani di oggi: «vieni e vedrai».
    Il modo migliore per rendersi conto della capacità di risposta che è Gesù Cristo, è quello di incominciare a vivere in lui, a farne esperienza profonda. La conoscenza per connaturalità si può ottenere solo con la frequentazione perseverante e appassionata di persone e comunità che vivono intensamente l'esperienza cristiana. Il miglior ragionamento per stabilire la ragionevolezza dell'esperienza cristiana sono i cristiani che vivono con intensità e gioia il loro incontro con Gesù Cristo.
    Questa esigenza pone gravi problemi al nostro progetto di spiritualità. Ma non ne vediamo alternative praticabili. Si tratta, invece, di spendere tutte le energie che possediamo (e sono ancora tante) per ridare forza propositiva alle comunità ecclesiali, liberandole dalle pastoie burocratiche e legaliste, e per inventare comunità nuove, capaci di osare, anche con i giovani d'oggi, l'evangelico invito: «vieni e vedrai».
    Lo Spirito di Gesù Cristo sta trascinando provvidenzialmente la sua Chiesa in questa direzione. Lo dimostrano ormai numerose e interessanti realizzazioni.

    3.2.3. La «sacramentalità dell'esistenza quotidiana

    L'esito di questo incontro con Gesù Cristo nella comunità dei credenti, non è la fuga in avanti, per dimenticare il proprio quotidiano nel nome di un futuro alienante o di un impegno distraente. L'accento resta, in termini irrinunciabili, ancora sul presente.
    La novità di vita consiste nella ricomprensione del quotidiano in prospettiva sacramentale. In Gesù Cristo e nel tessuto esperienziale della comunità ecclesiale, si tocca con mano che la vita è trascinata sempre (e anzi con maggior intensità sulla grazia di questo incontro) tra i problemi e gli entusiasmi del vivere storico, sollecitata ad umanizzarsi, assumendo impegni e responsabilità promozionali nei confronti di se stessi e degli altri. Nello stesso tempo, nel suo profondo, questa stessa vita in questi stessi fatti, per il dono che le è stato offerto, risulta la personale decisione di accogliere la salvezza di Dio in Gesù Cristo e il significato affascinante di questo dono.
    La vita di sempre si fa nuova, perché l'incontro con Gesù Cristo ha costretto a riappropriarsi in modo riflesso e consapevole di quello che si è per dono. Così, il profondo dell'esistenza diventa il significato rivelato e il criterio di giudizio, del suo superficiale. La sacramentalità del presente viene vissuta in tre direzioni complementari. In primo luogo, nella direzione della scoperta di quello che si è: ci si avverte dentro il grande dono dell'autocomunicazione di Dio, di cui Gesù Cristo è l'evento più radicale. In secondo luogo, nella direzione della solidarietà: ci si sente dentro un popolo, che cammina faticosamente ma inesorabilmente verso la salvezza integrale e che costruisce il suo procedere, moltiplicando servizi promozionali e liberatori, perché tanti, tutti, possano sentirsi gioiosamente di questo popolo di salvati-salvatori. In terzo luogo, nella direzione del tempo, perché si scopre che il presente è la punta emergente di un lungo passato, da accogliere per vivere seriamente l'oggi; questo stesso presente viene continuamente relativizzato dalla prospettiva del futuro, che è parte profetica del presente, e i cui germi sono già nell'oggi, anche se spesso sommersi e confusi.

    3.2.4. La vita quotidiana come lode al Padre

    Nell'incontro con Gesù Cristo il giovane trova così un significato nuovo al suo esistere di sempre. Scopre che la sua vita quotidiana gli è restituita «salvata», con una ricchezza di senso e di consistenza insperata. Salvato per dono nel suo esistere quotidiano, in quel «presente» che lo affascina e lo preoccupa, il giovane diventa capace di vivere la vita di ogni giorno in un orizzonte che coinvolge, in ogni battuta, l'amore del Padre. Questa vita diventa così un inno di lode e di ringraziamento al Padre, in Gesù Cristo, per lo Spirito Santo, nella comunità dei credenti. È «dossologia»: canto al Padre, proprio nella sua quotidiana profanità, da poter essere celebrata con verità nei momenti liturgici. Colui, infatti, che ha trovato significato e salvezza, celebra la speranza che egli è donata, in una novità di vita. Le cose di sempre assumono i toni dell'incontro, piccoli quotidiani gesti dove si fa esperienza di un modo nuovo di essere uomo, perché amato dal Padre, salvato in Gesù Cristo, restituito ad una reale comunione con tutti i fratelli.

    3.2.5. Verso l'oltre della casa del Padre

    La vita vissuta nella consapevolezza della sua sacramentalità è vita nella speranza. Solo nella speranza, infatti, possiamo credere che il significato più autentico del presente è il suo profondo. Solo nella speranza possiamo riconoscere l'esito gioioso e rassicurante, anche nelle contraddizioni che attraversano ogni giornata.
    Per fare della nostra vita una lode al Padre, abbiamo quindi bisogno di sostegno alla speranza, contro la disperazione, e di trovare chi ci aiuti a diventare uomini del futuro, contro la tentazione a fermarci, considerandoci degli arrivati.
    Non si tratta di atteggiamenti facili: il nostro presente è spesso ingolfato nella disperazione o nell'autosufficienza.
    Vivendo il presente nella comunità ecclesiale, siamo aiutati ad esperimentare più intensamente la radice della nostra speranza, nel contatto con i fratelli che la condividono con noi. Un momento intenso di questo contatto è offerto dal confronto con coloro che sono un già di speranza: gli uomini del Regno di Dio, i santi e, in modo tutto particolare, la Madonna.
    Nella comunità ecclesiale celebriamo inoltre il già della nostra speranza ascoltando la parola di Dio, vivendo l'esperienza di comunione, «festeggiando» il nostro quotidiano nei sacramenti e nei segni liturgici. Queste celebrazioni sono un dono di salvezza, perché sollecitano alla speranza mentre comunicano la grazia salvifica come segno concreto in cui l'evento di Dio si manifesta e chiama ad una decisione esistenziale.
    Questi contatti e confronti ci sollecitano profeticamente verso l'oltre definitivo della casa del Padre, in nome di quell'appuntamento col Regno di Dio, unico approdo di perfezione piena e definitiva, che contesta la radicale provvisorietà e insufficienza di ogni realizzazione storica: quando l'incontro con Gesù Cristo supererà i veli della sacramentalità per esprimersi in tutta la sua sconvolgente luminosità.

    3.3. La radice teologica della proposta: la salvezza

    Questa proposta di spiritualità giovanile affonda le sue radici teologiche in un modo rinnovato di intendere la «salvezza cristiana».
    Accenniamo ad alcuni di questi aspetti nuovi, che descrivono la crescita di contenuti a cui è giunta oggi la riflessione teologica attorno al tema della salvezza.
    - La storia umana è stata creata nella grazia di Gesù Cristo, morto e risorto. Lo Spirito del Signore è presente e agisce definitivamente nel cuore di ogni uomo e della storia.
    Esiste dunque una sola storia, quella dell'umanità concreta, nella quale Dio opera la sua salvezza, anche all'insaputa dell'uomo. Ed esiste una sola vocazione, quella alla comunione definitiva con Dio e con i fratelli, in cui consiste appunto la salvezza di Dio donata all'uomo.
    - Questo progetto di Dio è per ogni uomo, in modo tale che se ne esclude solo colui che lo decide liberamente e responsabilmente. Per molti uomini è però impossibile una accettazione o un rifiuto esplicito, perché non conoscono ancora Gesù Cristo. Per non svuotare il progetto salvifico universale di Dio, dobbiamo distinguere tra accettazione consapevolmente esplicita e riflessa e accettazione reale, anche se implicita e non riflessa.
    Quando l'uomo gioca la sua esistenza nella libertà e vive una esperienza umanamente significativa, egli accoglie la rivelazione divina racchiusa in questo segmento di storia e pronuncia la sua decisione (positiva o negativa) per Dio e per il dono della sua salvezza. Scegliendo e realizzando, nella libertà, un gesto di umanizzazione, accoglie e si decide per il progetto di Dio, di fatto, anche se in modo non riflesso.
    La proposta di salvezza risulta così universale, perché è il dono costitutivo della profonda soggettività di ogni uomo. La risposta dell'uomo è libera e responsabile, perché è decisione sulla propria esistenza; in un ambito, quindi, che gli compete e investe tutti. È decisione per la salvezza, perché la sua esperienza è, nella sua radicalità, la concretizzazione dell'offerta dell'autocomunicazione salvifica di Dio.
    - Questa salvezza è un fatto unico, totale, integrale, che investe la globalità dell'esistenza personale e storica. In essa ci sono livelli diversi, che si implicano reciprocamente senza ridursi l'uno all'altro. Esiste quindi un rapporto stretto tra la comunione definitiva con Dio e le anticipazioni storiche di questa novità di esistenza.
    Salvare e liberare sono azioni essenziali di un unico processo di grazia, anche se ciascuna di esse conserva la propria caratteristica: la gratuità dell'intervento di Dio è la libera risposta dell'uomo, sostenuta da questo stesso intervento.
    Non esistono perciò liberazioni neutre. Se sono liberazioni vere, coinvolgono immediatamente anche la dimensione definitiva della salvezza cristiana: esse sono già segno e realtà della salvezza di Gesù Cristo.
    Questa visione della salvezza permette perciò una visione unitaria della realtà, anche se trascina l'esperienza umana e cristiana nella fondamentale tensione tra «definitivo» e «provvisorio», tra «già» e «non-ancora», facendo quindi spazio a quel dato di «sacramentalità», che abbiamo sottolineato nel nostro progetto.
    - Il fondamento ultimo e l'evento costitutivo della salvezza è Gesù Cristo. In lui si realizza pienamente e si rivela definitivamente il rapporto tra divino e umano, tra salvezza totale e liberazioni storiche. La prassi di Gesù di Nazareth dalle guarigioni alla crocifissione, dai banchetti alla Cena, dal discorso della montagna al silenzio della Croce, significò liberare-salvare e liberare-salvare significò far diventare più umano l'uomo, ricostruendo la sua essenziale capacita di «manifestazione di Dio», luogo esistenziale del dialogo tra l'umano e il divino: autoespressione di Dio.


    4. L'ESISTENZA DEL GIOVANE CRISTIANO

    Abbiamo già ricordato che la ricerca sulla spiritualità comporta l'articolazione dei contenuti dell'evento cristiano (il «che cosa») e la definizione di uno stile di esistenza cristiana (il «come»), tenendo conto dei problemi dell'attuale condizione giovanile. Il primo tema l'abbiamo affrontato nel paragrafo precedente.
    Per riformulare il secondo, prosegue ora il nostro lavoro.
    Cerchiamo le dimensioni fondamentali dell'identità cristiana, per riesprimere da questa prospettiva, in modo armonico, i singoli gesti che qualificano il cristiano.
    Deve nascere così un progetto proponibile oggi a quei giovani che se la sentono di giocare la propria esistenza per Gesù Cristo, nella sua Chiesa.
    Per fare questo, analizziamo tre problemi: - in primo luogo, affrontiamo il discorso in modo globale, cercando un obiettivo unitario per descrivere l'identità del cristiano: per noi, esso è rappresentato dall'integrazione fede/vita;
    - in secondo luogo, ci chiediamo quali riflessi pratici debba assumere l'integrazione fede/vita: affermiamo che l'incontro vitale con Gesù Cristo (in cui consiste l'integrazione fede/vita) si traduce in una presenza nella vita quotidiana da persone che condividono profondamente l'ansia di Gesù Cristo per il Regno di Dio;
    - in terzo luogo, ci interroghiamo circa la collocazione, nella vita di un giovane cristiano che costruisce il Regno di Dio nel suo quotidiano, dei «segni della vita nuova»: la parola di Dio, la comunione ecclesiale, i sacramenti e la vita liturgica.
    Come appare già da questi accenni, dobbiamo riprendere anche cose già dette, ma lo facciamo in un contesto e con un tono diverso: per sottolineare non l'evento in sé, ma lo stile di vita della «nuova creatura», che ha incontrato e si è decisa per Gesù Cristo.

    4.1. La nuova identità: l'integrazione fede/vita

    Il giovane cristiano trova in Gesù Cristo la radice ultima e definitiva della sua ricerca di identità. Egli si scopre in lui e per lui «nuova creatura», trascinato dalla sua grazia a vivere da nuova creatura.
    L'affermazione, espressa così, è importante e conclusiva, ma ancora troppo generica. Va riformulata da quella dimensione di «sacramentalità» su cui abbiamo costruito la proposta di spiritualità.
    - La risposta che Gesù Cristo è e dà alla ricerca di qualità per la vita non si presenta come un sistema, un progetto di sé articolato e determinato, da sostituire a quelli che ogni giovane è chiamato ad elaborare autonomamente. Nella fede e nell'incontro con Gesù Cristo che costruisce la radice di questa fede, il giovane trova una visione globale della sua esistenza umana, dalla cui prospettiva egli ridefinisce tutta la sua esistenza. Questo significato, ricevuto per dono, rivela il valore totale di ogni gesto umano e lo colloca nella giusta prospettiva della definitività. Non dispensa dalla fatica quotidiana di ricercare le dimensioni della propria identità; anzi la sollecita, perché solo all'interno di questa ricerca la fede ha qualcosa da dire. Infatti, nell'incontro con Gesù Cristo, l'umano viene assunto, così come è stato elaborato, e amplificato fino all'orizzonte del divino.
    In questa ricerca, Gesù Cristo non offre solo l'ultima parola, quella conclusiva. Egli è l'uomo riuscito, il progetto definitivo di Dio sull'uomo. Per questo egli esercita la funzione di giudizio, di criterio normativo e profetico, per ordinare, gerarchizzare, autenticare i personali progetti e realizzazioni. Nel riferimento a Gesù Cristo, l'esperienza umana trova un criterio di autovalutazione, che le permette di districare il groviglio confuso dei diversi progetti oggi sul mercato, verso una vera autenticità umana, verso l'uomo. Nella quotidiana fatica di realizzarsi in coerenza con questo progetto d'uomo, Gesù Cristo consolida una speranza che supera la misura umana.
    - Questo processo non avviene una volta per sempre, in una stagione privilegiata dall'esistenza. Esso investe il continuo divenire dell'uomo e lo sollecita inesorabilmente. Gesù Cristo diventa così il significato sempre nuovo, che dà senso ai significati di umanizzazione che il giovane conquista, giorno dopo giorno.
    La scoperta della novità di esistenza si traduce in gesti mai sufficientemente coerenti. Nel confronto entusiasmante e colpevolizzante con Gesù Cristo, nasce il coraggio e la speranza di una conversione permanente.
    - Tutto questo noi lo esprimiamo con una formula, consolidata nella prassi della comunità ecclesiale italiana: l'integrazione fede/vita. Essa costituisce il nuovo modo di esistere del cristiano, la sua risposta esistenziale alla vocazione che per lui rappresenta l'incontro con Gesù Cristo.
    Integrazione fede/vita significa formazione di un'unica struttura di personalità i cui criteri valutativi e operativi (e cioè il modo di comprendere la realtà e di intervenire su di essa; in una parola, il modo di esistere come uomini) si rifanno a Gesù Cristo e al suo messaggio non come ad un dato imposto dal di fuori, ma come ad una esigenza connessa profondamente con l'esperienza della vita stessa e ai valori umani che la caratterizzano.
    In questo caso, di unità nella strutturazione di personalità in dimensione cristiana (l'integrazione fede/vita, appunto), nei singoli gesti ci si riferisce ai valori umani e ai contenuti della fede in modo unitario: la fede appella alla vita per essere vissuta e la vita guarda alla fede, per essere creduta.

    4.2. Identificarsi con la causa di Gesù Cristo: l'ansia per il Regno

    Incontrare Gesù Cristo, coinvolgendo tutto di sé, connota la condivisione profonda dell'ansia di Gesù per il Regno, fino ad identificarsene con radicalità. Solo facendo propria questa causa che è il contenuto stesso dell'esistenza di Gesù Cristo, lo si incontra con verità.
    Attorno a questo tema, è possibile riformulare le dimensioni costitutive dell'esistenza cristiana, sia per orientare concretamente in questa direzione il nostro progetto di spiritualità, sia per evitare che esso si costruisca prescindendo da qualche aspetto irrinunciabile della vita cristiana.
    Possiamo tentare questa riformulazione, almeno come stimolo ad un lavoro più ampio e impegnativo.

    4.2.1. Il Regno di Dio è un dono che convoca

    Il Regno di Dio è un dono che convoca e responsabilizza ogni uomo e ogni credente. La vita quotidiana, nella sua dimensione reale e profana, è la risposta a questa convocazione. Essa è quindi sempre «vocazione» e vocazione nella direzione del Regno di Dio.
    Chi segue Gesù Cristo prende in mano, con responsabile serietà, la sua esistenza, per farne una risposta coerente.
    Come avviene la risposta? Quale esistenza umana è risposta?
    Il modo della nostra risposta è determinante dal confronto, creativo e responsabile, con il Regno di Dio. Esso consiste nella comunione definitiva con Dio che Gesù ci assicura; ma si costruisce anche nelle sue anticipazioni storiche: in una novità di esistenza realizzata nei diversi processi di liberazione. Ne abbiamo già parlato riflettendo sulla salvezza: essa è il farsi progressivo del Regno di Dio.
    L'esistenza quotidiana è una esistenza per il Regno, quando si realizzano le seguenti condizioni:
    - Prima di tutto si riconosce la sovranità di Dio, in modo decisivo. Il giovane riesce, cioè, in ogni gesto della sua esistenza, a «confessare» che solo Dio è la salvezza dell'uomo. Egli vuole un futuro significativo per l'uomo; ed è un Dio di cui ci si può fidare, come attestano le cose meravigliose da lui compiute per il suo popolo e soprattutto in Gesù Cristo. Riconoscere la sovranità di Dio significa perciò radicalmente vivere nella fiduciosa speranza che i problemi della vita dell'uomo rappresentano il «problema» di Dio stesso. Trovano quindi in lui soluzione sicura.
    - Questo riconoscimento si traduce in una passione premurosa e liberatrice per l'uomo, perché la cura dell'uomo per l'uomo rappresenta la forma visibile nella quale si manifesta la venuta del Regno di Dio, per annunciare, in modo credibile, che Dio è dalla parte dell'uomo. In questo, infatti, è normativa la prassi di Gesù, l'uomo del Regno. Dove egli appare, scompare l'angoscia, la paura di vivere e di morire. Gesù libera gli uomini e li restituisce a se stessi, alla gioia di vivere, nel nome di Dio.
    - Il giovane cristiano vive perciò la sua vita come concreta prassi di liberazione. I suoi gesti hanno una precisa risonanza sociale e politica; da essa egli valuta l'autenticità della sua carità.
    Nel loro profondo, questi stessi gesti sono la sua decisione per il Regno di Dio. Per questo, li vive nella fede e nella speranza: riconosce la potenza di Dio all'opera nella povertà della sua collaborazione.
    - Da questa prospettiva, si ricomprende e si recupera, nella fede, il presente, il luogo dove il Regno di Dio si fa, progressivamente e faticosamente, verso i cieli nuovi e la nuova terra, dove il Regno esploderà in tutta la sua consistenza, dove la signoria di Dio si manifesterà in pienezza, come «la» risposta a tutti i problemi dell'uomo. Il presente trova così una dimensione di sacramentalità nuova: non solo nel rapporto tra immediato e profondo (là dove Dio è in azione per costruire il suo Regno), ma anche nel rapporto del presente tra passato (il tempo delle cose meravigliose fatte da Dio, in Gesù Cristo, che giustificano la nostra speranza) e futuro (una promessa di pienezza di vita, che motiva il nostro impegno promozionale e ci spinge ad anticipare nell'oggi il «domani» che affermiamo nella speranza).

    4.2.2. La festa inesauribile del credente

    Il Regno di Dio è tra il «già» e il «non-ancora»: un non-ancora da costruire nella esperienza gioiosa e confessante del già che ci è donato, in Gesù Cristo.
    Da questa costatazione nasce la festa inesauribile del credente, la sua «impossibilità esistenziale» di essere triste.
    Contro la disperazione, la noia, la crisi di senso, viene affermata la gioia, lo stare assieme festoso. Questi atteggiamenti sono radicati nel Regno che è già tra noi. Questa motivazione radicale interpreta e sostiene le altre motivazioni. La consapevolezza della presenza reale di Gesù in mezzo a noi, ci spinge a scoprirne i segni diffusi sacramentalmente nelle costruzioni umane e nella fatica di inventare un modo diverso di essere e di agire. La festa, per il credente, è «riconoscimento», confessione della potenza di salvezza di Dio, della presenza di Gesù («se lo sposo è tra noi, non possiamo fare digiuno»).
    Si tratta, come dicevamo, di una presenza sacramentale. Quindi da cogliere, svelare, evidenziare, nel segno delle tracce profane e storiche, mediante quello sguardo positivo e critico (di fede, appunto) con cui si coglie il presente. L'esperienza quotidiana ci fa toccare con mano quanto questa lettura sia spesso difficile. Di qui i frequenti «momenti di tristezza». Da superare, in una conversione permanente alla «verità» delle cose. La festa a cui il Regno ci chiama è, inoltre, una festa escatologica: come i banchetti imbanditi da Gesù. La sua festa è sempre «abbondante» (quando Gesù fa da anfitrione, il pane avanza...), di una abbondanza ben lontana dal consumismo. Ed è una festa «per tutti» (non si può far festa, quando qualcuno ne viene escluso...); anzi, coloro che normalmente sono esclusi, in questa festa hanno un posto di privilegio, sono gli invitati per eccellenza.
    La festa del Regno non è quindi qualcosa da consumare nel disimpegno e nella alienazione. Come il Regno, essa è vocazione alla liberazione integrale: di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. Perché la festa sia piena per tutti.

    4.2.3. La vita «dura» del cristiano: prendere la croce

    La scelta del Regno implica, necessariamente, la disponibilità a soffrire. Contro il Regno ci sono grosse sacche di resistenza: dentro e fuori di noi.
    La sofferenza è dimensione costitutiva della vita impegnata per il Regno. Non è una sofferenza da programmare, dimenticando quasi la fondamentale e irrinunciabile dimensione di «festa» che deve caratterizzare l'esistenza del cristiano. La sofferenza va «accolta», come inevitabile e prevista conseguenza della scelta del Regno. La croce è il segno concreto dell'amore impegnato per il Regno.
    Il Regno, infatti, è tra il già e il non-ancora: la sofferenza rappresenta il non-ancora di questo già. Concretamente, il giovane cristiano incontra la sofferenza e l'accoglie festosamente:
    - per entrare dentro le cose, in una ascetica del profondo, in modo da cogliere la loro dimensione di verità, rappresentata sacramentalmente dal già che le costruisce nella salvezza;
    - per operare il necessario «distacco», senza lasciarsi ammagliare dal fascino del superficiale, che spinge a rifiutare la sacramentalità diffusa: questa è la mortificazione del cristiano, la scelta dell'autenticità sofferta e progettata. La serietà e la consistenza dei «beni penultimi» non può farci mai dimenticare la loro povertà rispetto alla definitività del Regno;
    - per costruire il non-ancora, lottando contro le resistenze, interne ed esterne: la croce;
    - per non dimenticare mai che la strada verso il Regno è sempre ancora lunga e la meta è lontana: i momenti tristi della vita dell'uomo (dolore, malattia, abbandono, fallimento, morte...) sono frecce indicatrici dello stato provvisorio di questa nostra esistenza, perché siamo gente che non è ancora arrivata «a casa».
    L'atto supremo della «vita dura» del cristiano è determinato dalla scelta radicale per il perdono, che si fa riconciliazione. Un gesto di lucidità, consapevole che chi fa del male è meno uomo di chi lo subisce; un gesto che vuole spezzare l'incantesimo del male, rompendone la logica ferrea; un gesto rischioso, perché fondato sulla speranza che la croce è vittoria.

    4.2.4. Diventare liberi per il Regno

    Chi sta dalla parte del Regno, vive in stato di conversione permanente. La novità di vita, a cui siamo chiamati e che mai perfettamente realizziamo, è il segno concreto della sequela Christi.
    Non si tratta di una serie di atteggiamenti etici, da riprodurre nella propria esistenza. Ma di uno stile di esistenza, da inventare ogni giorno, lasciandosi confrontare con la vita concreta di Gesù Cristo.
    La norma fondamentale dell'agire è determinata dalla sola grande esigenza concreta che può abbracciare senza limiti tutta la vita dell'uomo e applicarsi nello stesso tempo in maniera esatta ad ogni caso particolare: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore... Amerai il prossimo tuo come te stesso».
    Dall'amore nasce la libertà, nello spirito delle beatitudini: essere liberi da ogni schiavitù verso il mondo e pronti, in ogni momento, per Dio e per la promozione del fratello, in un amore che si dona e sa rischiare fino alla morte.
    Solo in questa prospettiva di libertà e di amore, trova collocazione la «legge»: un fatto importante ma relativo. La prassi del Regno non può essere fissata in leggi giuridiche (anche se la vita concreta talvolta lo richiede). La libertà per l'amore può esigere talvolta che si faccia molto di più di quanto è giuridicamente fissato; qualche volta essa esige che si «superi» anche il giuridicamente fissato (Lc 13,1416): Dio viene onorato dove l'uomo è reso libero.

    4.2.5. La scelta di campo: stare con gli uomini del Regno

    La decisione per la libertà e per l'amore comporta una scelta di campo nella storia concreta: stare dalla parte di chi vuole la salvezza e non da quella, più comoda, di chi vuole l'alienazione e l'oppressione.
    In questo fronte, già molta gente è schierata con Gesù: i santi, gli uomini-per-il-servizio, coloro che sono impegnati nella liberazione dei fratelli. Il giovane cristiano si sente all'interno di un grande popolo, che avanza, nella storia, allargando i confini della libertà e dell'amore. La punta più consapevole di questo popolo nuovo è costituita dalla comunità dei credenti in Gesù Cristo. Tanti altri però sono schierati di fatto in questa direzione, anche senza un orientamento esplicito e tematico per Gesù Cristo. Per questo, il giovane cristiano sa riconoscere gioiosamente (senza assurde pretese monopolistiche) i germi del Regno di Dio nei segni dell'amore che si fa servizio promozionale, presenti in tanti fratelli in umanità.

    4.2.6. Il Regno di Dio tra personale e collettivo

    Dalla prospettiva del Regno di Dio si comprende anche il rapporto che nell'esperienza cristiana corre tra persona e comunità e, quindi, tra personale e collettivo.
    Il Regno di Dio è la costruzione nel tempo e la costituzione in definitività della comunione degli uomini con Dio e tra loro. Per questo, dovunque si costruisce comunione, la cresce il Regno di Dio. In forma vera, anche se implicita e imperfetta, quando l'uomo costruisce comunione in nome della promozione del fratello; in forma più completa ed esplicita, quando la comunione è costruita nel nome di Dio.
    La Chiesa, come ricorda la LG, «è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unita di tutto il genere umano». Per questo la Chiesa è segno privilegiato del Regno di Dio: la passione per il Regno di Dio conduce a sentirsi gioiosamente membro attivo della comunità ecclesiale.
    Inoltre, il rapporto stretto (anche se non esclusivo) che c'è tra Chiesa e Regno di Dio, ci porta a sottolineare che la salvezza cristiana raggiunge la persona attraverso la comunità ecclesiale e al suo interno.
    Certo, la decisione per la salvezza è sempre un atto strettamente personale; questo va affermato contro quella concezione troppo fisicistica e collettivistica, che considera la Chiesa come un organismo fisiologico in cui pulsa la circolazione soprannaturale della grazia, tanto che basta «restarci dentro» per aver risolto tutti i problemi. In questo modello, la persona è assorbita dalla comunità.
    Ma questa decisione e le azioni cristiane che seguono, si compiono normalmente nel grembo materno della comunità ecclesiale. La solidarietà del singolo con gli altri è così profonda che il suo personale essere salvo non può venire separato dal suo essere nella comunità. Questo va affermato contro quella concezione individualistica che riduce la comunità a semplice somma di persona, le quali intrattengono un dialogo personale con Dio, indipendentemente dalla comunità stessa.
    Questa ricomprensione teologica del rapporto persona-comunità ci aiuta ad immaginare facilmente la soluzione del conflitto tra personale e collettivo e a definire lo stile dei gruppi ecclesiali, luoghi concreti dove i giovani esperimentano quello che qui è solo descritto.

    4.2.7. La solidarietà contro il Regno: il peccato

    Esiste una diffusa solidarietà contro il Regno di Dio. Essa è costituita dal peccato personale e sociale.
    È molto importante sottolineare questo fatto, per non ridurre il progetto di spiritualità ad una elaborazione astratta e falsamente ottimistica.
    Il peccato esiste, non lo possiamo dimenticare. Esso continuamente ostacola il libero decidersi per il Regno di Dio.
    Il peccato è purtroppo qualcosa di costitutivo nell'esistenza umana. La radice dell'inautenticità di molte nostre scelte sta in questo esistenziale negativo. Per questo, l'uomo non può redimersi da solo, né può trovare all'interno della sua storia la forza redentiva.
    Il nostro progetto di spiritualità chiede di parlare del peccato, perché «tacendo questo aspetto dell'antropologia cristiana, non si renderebbe pienamente ragione della missione di Cristo, che è posta in relazione con il peccato e si svolge attraverso il mistero della croce» (RdC 93). Ma chiede di parlarne, in consonanza con gli orientamenti globali del progetto stesso. E cioè:
    - Non si può cosificare il peccato, assumendolo come una realtà a sé stante, rescissa dal quadro esistenziale ed evolutivo della persona. Il peccato è invece azione umana in senso proprio, che esprime il modo di esistere di una persona, in un determinato momento della sua vita: una persona che ha fatto una scelta precisa, in relazione ai suoi progetti di autocostruzione. La dimensione decisionale del peccato costringe a fare i conti con tutti i condizionamenti, culturali e strutturali, che la influenzano e la sostengono. E spinge a collocare anche il peccato nel contesto della storia della persona, recuperando così, anche nel peccato, la visione progettuale della libertà umana.
    - Si comprende il peccato solo nella novità scaturita dal mistero pasquale di Gesù Cristo. Per questo parliamo del peccato nel contesto del dono di salvezza, una ricchezza che trascende ogni comprensione e travolge ogni ostacolo. L'esistenza quotidiana è quindi lo spazio in cui troviamo la gioia di permettere al nostro Dio di salvarci, perché in essa sentiamo quotidianamente di essere peccatori bisognosi di salvezza.
    - È urgente, infine, superare la prospettiva individuale, privata e intimistica del peccato, affermata solo quanto basta per aver bisogno di una redenzione spirituale che non mette in questione l'ordine nel quale viviamo; per giungere, invece, a cogliere il peccato come fatto sociale, storico: mancanza di fraternità, di amore nelle relazioni con il prossimo, rottura dell'amicizia con Dio e con gli uomini e, perciò, divisione interiore, tragedia personale.
    In questo modo, anche dall'esperienza triste del peccato e dalla possibilità della sua radicalizzazione nell'inferno, si può toccare con mano e confessare l'amore liberante e responsabilizzante di Dio. C'è infatti il peccato, il «nostro» peccato, perché Dio vuole dei figli liberi e adulti e non degli automi irresponsabili: il peccato è l'uso folle e suicida della propria libertà.
    Chi sa riconoscere il proprio peccato, nell'invocazione operosa della salvezza di Dio, vive nel ringraziamento gioioso a Gesù Cristo, perché senza di lui non ci sarebbe che l'inferno, come unico esito del nostro peccato.
    Questo ringraziamento si traduce in due atteggiamenti concreti: la conversione e l'impegno. La conversione e il ringraziamento che si fa prassi: scelta rinnovata quotidianamente per Gesù Cristo, per non staccarsi mai (e per ritornare immediatamente) dalla logica della novità di vita che egli ci ha donato. L'impegno è il servizio liberatore dell'uomo per l'uomo, perché a nessuno possa capitare il disastro di essere travolto dal cattivo esercizio della sua libertà.

    4.2.8. Una spiritualità che sappia saldare contemplazione e impegno

    L'orizzonte globale del nostro progetto è costituito da una esigenza molto pressante: unificare contemplazione e impegno, perché la fede dell'uomo d'oggi non si alieni dalla vita e dalla storia che gli è capitato di dover vivere o, peggio, non si vanifichi come un fatto privo di significato.
    Un modello, molto interessante, per raggiungere questa unificazione è dato dalla reinterpretazione del tema biblico del «deserto».
    Riportiamo una citazione da un testo elaborato nell'ambito della «spiritualità della liberazione» dell'America Latina. «Il deserto è stato prospettato in riferimento quasi esclusivo alla vita mistica e di preghiera. Se vogliamo recuperare l'autentico concetto della contemplazione cristiana, che sia significante per i credenti impegnati nell'azione liberatrice, dovremmo estendere l'esperienza del deserto anche all'incontro di Cristo con il fratello, nel piccolo. Lo stesso atteggiamento contemplativo del deserto è unito a tale impegno. Se il deserto forgio i grandi profeti, l'attuale profetismo richiede pure l'atteggiamento contemplativo del deserto. La volontà di uscire da se stessi, per incontrarsi con l'Assoluto e con l'autentica realtà delle cose, propria del deserto, permette al cristiano di uscire dal sistema come società ingiusta e ingannevole, per denunciarla e rendersene libero. Se il cristiano non si ritira nel deserto per uscire interiormente dal sistema, non diventerà libero e profeta per liberare gli altri. Se non fa silenzio in se stesso per vanificare le parole dell'oppressione e ascoltare la voce della verità che ci fa liberi, non potrà trasformare il suo ambiente profeticamente e politicamente».
    In questa prospettiva, molto stimolante e nello stesso tempo profondamente biblica e tradizionale, i momenti privilegiati della contemplazione cristiana non solo non sono esclusivi dei momenti di «raccoglimento», ma questi ultimi sono possibili solo se uniti all'azione. Contemplare è interpretare la prassi alla luce di un progetto già realizzato, testimoniato dalla Parola di Dio, che fonda la nostra speranza e impegna verso un futuro operoso. Anche la preghiera, in cui si sviluppa l'esperienza della contemplazione, partecipa al suo dinamismo: emerge anche essa dall'unita profonda di prassi-riflessione nella Parola di Dio.

    4.2.9. Il Regno di Dio tra ortodossia e ortoprassi

    Dalla prospettiva della scelta per il Regno di Dio, il giovane cristiano trova un punto di unificazione tra due tendenze che, spesso, nella nostra cultura sono vissute in modo conflittuale.
    Il modello illuministico, dominante fino a poco tempo fa, ha concentrato tutta l'attenzione sulla dimensione razionale della vita e quindi ha ridotto anche l'esperienza cristiana alla retta espressione e professione dei contenuti della fede (l'ortodossia, appunto). Oggi, invece, anche sotto l'influsso del marxismo e delle filosofie della prassi, si insiste molto sulla centralità della prassi nell'esistenza, umana e cristiana; e così si tende a svalutare pesantemente la dottrina, affermando che la retta prassi (l'ortoprassi, appunto) è l'unica componente dell'identità cristiana. Confrontandoci con l'evento del Regno di Dio, possiamo cogliere concretamente che ortodossia e ortoprassi non sono termini alternativi ma rappresentano due dimensioni coessenziali all'esperienza cristiana. Gesù Cristo, centro del Regno di Dio, è parola di Dio, da accogliere e credere nella fede, che interpreta la storia, è parola efficace, attuata nella prassi, che mette in movimento un processo di trasformazione della storia stessa.
    La dottrina senza l'azione non può essere cristiana, perché il contenuto dell'esperienza cristiana, essendo il Regno di Dio, non è una nuova teoria, ma un modo diverso di essere uomini in un mondo diverso. L'azione senza la dottrina, però, non può essere cristiana, perché quando un'azione non è consapevole di sé, delle proprie giustificazioni teoriche e delle proprie mete, non è azione umana, tanto più non è cristiana perché il Regno di Dio è un progetto dai contenuti specifici propri e normativi.
    Il giovane cristiano, impegnato per il Regno, vive una esistenza fatta di prassi consapevole e di consapevolezza di prassi: accoglie gioiosamente la riflessione credente sulla sua prassi e traduce quotidianamente in prassi i contenuti «creduti» della sua fede.
    Lo spazio esistenziale in cui avviene questo saldo tra ortodossia e ortoprassi è la comunità cristiana, segno e germe del Regno di Dio.

    4.3. I segni della vita nuova: parola-comunità-sacramenti

    L'esistenza del giovane cristiano è segnata da un fatto fondamentale: un evento che dà senso al susseguirsi quotidiano degli avvenimenti personali e sociali, lascia una traccia e dà da pensare. Con iniziativa gratuita, il Padre ha offerto all'uomo una proposta di salvezza e di vita nuova, in Gesù Cristo. Chi ha scelto l'esperienza cristiana, costruita nello stile nuovo di vivere la sua esistenza storica, ha accettato questo dono, scegliendo di farsi salvare da Gesù Cristo.
    Questa novità di vita viene celebrata (consolidata, verificata, festeggiata) nei segni della salvezza: la parola di Dio, la comunione ecclesiale, i riti liturgici e sacramentali. In questo contesto, finalizzato a riformulare lo «stile» di vita del giovane cristiano, ricordiamo due cose: in primo luogo, il fatto che questi segni sono radicalmente «celebrazione» (e cioè un far festa per qualcosa che si è «già» verificato) e, in secondo luogo, l'importanza irrinunciabile di questi segni, nella vita cristiana, per far festa, nonostante la continua costatazione del non-ancora della nostra salvezza. La prima prospettiva sottolinea che la salvezza si attua, per la potenza di Gesù Cristo, nella nostra vita quotidiana; in questo senso, parliamo di «celebrazioni». La seconda prospettiva ricorda che queste celebrazioni sono «efficaci», producono cioè salvezza, perché, attualizzando l'evento della salvezza, lo rendono contemporaneo alla nostra esistenza quotidiana.
    Parola-comunione-sacramenti sono una festa-che-fa-salvezza: una festa di cui si sente un gran bisogno, per fare della propria vita una festa continua.

    4.3.1. Le celebrazioni della salvezza

    Abbiamo già ricordato in altro contesto che la vita quotidiana costituisce la risposta radicale di ogni uomo al dono-offerta della salvezza. I singoli gesti che fanno lo scorrere del tempo lungo l'asse della storia, ogni risposta personale alle provocazioni che ci circondano, negli altri, negli avvenimenti, nella costruzione di una città a misura d'uomo o nella sua distruzione, tutta la vita, insomma, ha una sua consistenza e autenticità umana (o è fallimento). Ma nella sua più profonda radicalità, essa è sempre adesione o rifiuto del dono di Dio che è Gesù Cristo.
    Parola, comunità e sacramenti celebrano questa salvezza, operata nella vita. La autenticano contro i ricorrenti rifiuti e, celebrandola, la realizzano con una crescente autenticità e ricchezza.
    Sono i segni efficaci di una novità di vita che, per la potenza della pasqua di Cristo che rendono presente qui-ora (e per questo sono segni efficaci), si sta faticosamente costruendo nel quotidiano. Celebrano quel modo di esistere come uomini che ciascuno tenta di attuare, nel ritmo di una conversione permanente, confrontando la propria vita con quella di Gesù Cristo.

    4.3.2. Il grande bisogno di queste celebrazioni di salvezza

    Di queste celebrazioni il giovane cristiano avverte il profondo bisogno, non solo per esprimere nella comunità ecclesiale la comune esperienza di salvezza, ma soprattutto perché in esse trova consistenza quella salvezza che nella vita si realizza sotto la continua minaccia del rifiuto e dello scacco. Senza queste celebrazioni, difficilmente si potrebbe vivere da salvati o si potrebbe continuare a credere alla salvezza, provocati come siamo dalla triste esperienza del peccato.
    Attraverso la celebrazione della parola e dei sacramenti, la comunità ecclesiale si proclama davanti al mondo come comunità di fede e di salvezza, facendo memoria, collettiva ed efficace, dell'evento di salvezza per lei costitutivo.
    In queste celebrazioni, essa propone le fonti misteriose istituite da Gesù Cristo per vivificare l'impegno di vivere la quotidianità come risposta al dono di salvezza. L'esistenza che si fa salvata alimenta così la sua portata pasquale alle fonti santificatrici del mistero pasquale.
    Inoltre, parola, comunità e sacramenti hanno una funzione profetica. Proclamano, infatti, e rivelano l'universalità, la gratuità della salvezza. Proclamano che nella salvezza tutto è da Dio. Il giovane si scopre così debitore in tutto e per tutto all'amore di Dio che gli si dona. Celebrando la sua vita nella parola, nella comunità e nei sacramenti «confessa», collettivamente e pubblicamente, quell'amore «sovrano» di Dio, che, riconosce come la radice della sua esistenza.

    5. CONCLUSIONE

    Abbiamo elaborato una proposta di spiritualità giovanile mossi da una preoccupazione costante: la credibilità dell'esistenza cristiana si gioca oggi, a livello giovanile soprattutto (RdC 96-97), sulla capacita di saldare, nel terreno concreto della vita quotidiana, gli impegni relativi alla definizione di una nuova qualità di vita con le dimensioni costitutive dell'esistenza cristiana.
    Si tratta, in altre parole, di ricercare una risposta alle domande brucianti che attraversano oggi molti giovani: quale uomo, come realizzare una società diversa, come sollecitare a responsabilità personali e collettive, come rassicurare sull'esito di questa grave impresa progettuale. Una risposta che faccia però ritrovare tutta la ricchezza salvifica dell'evento di Dio: Gesù Cristo, l'uomo nuovo.
    Il nostro progetto ha le carte in regola per raggiungere un obiettivo così presuntuoso? Non lo sappiamo.
    Il lungo confronto a molti livelli da cui esso è nato, ci dà il conforto della attesa operosa.
    La risposta, decisiva, non può nascere, però, che nelle comunità ecclesiali che tenteranno di lavorare in questa direzione. Una cosa, certo, è urgente: inventare modelli in questa linea e modificare con coraggio la ricca strumentazione spirituale che si è accumulata tra le nostre mani, perché troppe volte essa è carica di una logica lontana dall'integrazione tra la fede e la vita. Tra la ricerca cioè di una nuova qualità di vita e Gesù Cristo, il segno che questa attesa cammina verso un futuro sicuro e affascinante.


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