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    Suggerimenti per un itinerario educativo [per educare all'esperienza religiosa]



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1993-05-28)


    Si parla di esperienza religiosa in differenti contesti, perché il fatto "religioso" interessa molte persone ed è analizzato da molte discipline. Non sempre ci si riferisce però ad una realtà omogenea.
    Per questo, per ottenere il confronto e il senso critico è importante precisare il punto di riferimento.

    QUALE ESPERIENZA RELIGIOSA

    Per noi è esperienza religiosa l'atteggiamento con cui una persona vive, in termini sufficientemente riflessi, la consapevolezza che ciò che dà senso alla vita e consistenza alla speranza è collocato "oltre" la propria esistenza: un dono sperato e almeno inizialmente sperimentato. Nasce all'interno del proprio mondo soggettivo, perché si tratta di sperimentare un fondamento a quello che sono e alle esigenze (per esempio di natura etica) che lo attraversano. Si sporge però oltre la propria soggettività, perché si è sperimentato quanto sia insufficiente fondare senso e responsabilità solo all'interno del proprio quotidiano vissuto.
    Questa esperienza si esprime dentro un contesto culturale religioso molto preciso. Per questo è già "connotata" (nel nostro caso "cristianamente") e, in qualche modo, è resa possibile e sostenuta dalla presenza di testimoni che vivono, secondo precise direzioni storiche, la stessa ricerca e esperienza.
    Questo modo di intendere l'esperienza religiosa indica che la comprensione proposta si muove attorno a tre riferimenti. Ricordati in apertura, servono non solo per suggerire un significato preciso tra i tanti possibili; sono importanti soprattutto per dire in anticipo verso quale meta intendiamo orientare i processi educativi.
    Il primo elemento è dato dal sostantivo "esperienza". "Esperienza" è una parola tra le più utilizzate. Dice troppo per dare per scontata la possibilità di utilizzarla senza qualche doverosa precisazione. Dicendo "esperienza" non intendiamo prima di tutto il semplice vissuto soggettivo, quello che uno dice, fa, sperimenta, perché gli piace o "se la sente". Esperienza è la riappropriazione riflessa del proprio vissuto: non è il vissuto, ma la consapevolezza tematica di esso, che sorge quando una persona ripensa quello che ha vissuto e, in qualche modo, tenta di organizzarlo all'interno della propria struttura di personalità. L'esperienza non è quindi un fatto solo naturale e spontaneo, ma qualcosa di compreso, interpretato, posseduto, di cui possiamo dire qualcosa a noi stessi (quando ci ripensiamo) e agli altri (quando lo raccontiamo).
    Il secondo elemento è legato all'aggettivo "religioso". Esperienza religiosa non è il corrispettivo della presenza o assenza di gesti e riferimenti formalmente religiosi (i gesti che compiono le persone "religiose": la preghiera, la lettura di certi libri, determinate pratiche...). Essa invece si qualifica sullo stile globale dell'esistenza: è religiosa la persona che fonda la propria speranza e il senso della propria vita "oltre" il confine delle cose e delle persone del suo mondo e si lancia, almeno con il desiderio, verso un riferimento trascendente (che "trascende" cioè il quotidiano concreto e sperimentabile).
    Proprio in quanto esperienza "umana", si tratta di un dato fortemente segnato da riferimenti culturali e storici: risente delle espressioni culturali in cui viene vissuta e si colloca, con modalità diversificate, nell'arco di sviluppo della storia personale e collettiva.
    Il terzo elemento si riferisce ad una indicazione che non è esplicitamente presente nella definizione: esperienza religiosa "cristiana". La qualità "cristiana" dell'esperienza religiosa sta nella capacità di riconoscere, in modo esplicito, che il fondamento cercato e sperato della propria esistenza, quel riferimento che dà senso alla speranza, consiste nella persona di Gesù Cristo e nella condivisione del suo progetto di esistenza, così come è vissuto nella Chiesa di oggi.
    In qualche modo, la qualità "cristiana" dell'esperienza religiosa è collegata, quindi, a quella dimensione storica e culturale, di cui dicevo poche righe sopra.
    In questo orizzonte globale pensiamo al processo di educazione dell'esperienza religiosa per i giovani d'oggi: alla meta e agli interventi che la possono assicurare, in questo nostro tempo.

    DALL'INVOCAZIONE ALL'AFFIDAMENTO

    In un tempo di larga frammentazione e in un contesto culturale che spinge alla disintegrazione tra qualità della vita e esperienza religiosa, il processo di educazione dell'esperienza religiosa può rappresentare un momento importante di profonda unità dell'esistenza. Essa infatti si articola in atteggiamenti diversi ed è fortemente segnata dalla soggettività di chi la vive. Restituisce però la persona al mistero più profondo della sua esistenza. In questo "ritorno alla verità di se stessi", in un cammino, continuo e articolato, la persona ritrova un principio fondamentale di unità interiore.
    Questa ci sembra la dimensione più qualificante della nostra ricerca sulla esperienza religiosa. Le pagine che seguono sono pensate e suggeriscono progetti in questa logica. Per comprenderle in tutta la loro portata è importante confrontarsi con la visione di sintesi.

    L'esperienza religiosa fa unità nella persona

    Prima di tutto è importante motivare l'affermazione di base, sottolineando in che senso l'esperienza religiosa rappresenta una dimensione fondamentale di riunificazione di personalità.
    Basta ripensare al modo con cui abbiamo appena proposto di comprendere il significato di "esperienza religiosa". Essa non è riducibile ad una delle tante esperienze che riempiono la vita di una persona, paragonabile per esempio alla ricerca del lavoro o a qualche hobby che impegna le energie nel tempo libero... Essa rappresenta invece, di natura sua, quasi il tessuto connettivo di tutte le esperienze di vita: quasi una nuova radicale esperienza che interpreta e integra le esperienze quotidiane, in un qualcosa di nuovo, fatto di ulteriorità cosciente e interpellante.
    La capacità di riunificazione sta nella ricerca di un significato per la propria vita, sufficientemente armonico e capace di dare consistenza al senso e alla speranza.
    Al livello iniziale l'esperienza religiosa è soprattutto tensione verso un ulteriore, capace di dare ragioni e fondamento all'esistenza personale. Ogni frammento di vissuto ed ogni esperienza personale, infatti, lancia e satura qualcuna delle tante "domande" di senso e di speranza che salgono dalla nostra quotidiana esistenza. Queste diverse domande si ricollegano in una più intensa che attinge le soglie profonde dell'esistenza: a questo livello, la domanda coinvolge direttamente il domandante e, normalmente, resta domanda spalancata verso qualcosa di ulteriore, anche dopo il necessario confronto con le risposte che ci costruiamo o che accogliamo come dono che altri ci fanno.
    Al livello più alto e maturo, quando la domanda stessa si perde nell'abisso del mistero incontrato e sperimentato, l'esperienza religiosa è affidamento ad una "presenza" che è sorgente della vita dello stesso domandante. Nell'abbandono ad un tu scoperto e sperimentato, l'io ritrova la pace, l'armonia interiore, la radice della propria speranza.
    Come si nota, nella ipotesi che stiamo suggerendo, la riunificazione non sta nel "possesso", ma nella "ricerca": non sono i dati sicuri quelli che possono "fondare" l'unità, ma la tensione, sofferta e incerta, verso un ulteriore e la riconsegna di tutta la propria esistenza a questo "evento", sperimentato e incontrato, anche se mai posseduto definitivamente.

    L'invocazione come esperienza religiosa

    L'esperienza religiosa è un cammino: va dalla ricerca all'incontro, dal desiderio di essere signori della propria esistenza al dialogo con chi fuori di noi può restituirci a noi stessi.
    In questo cammino un dato forma quasi il riferimento di fondo che verifica il cammino e lo apre verso la sua progressiva maturazione.
    La esprimiamo con una formula che ha solo una funzione evocativa: l'invocazione. Essa è, in qualche modo e con sfumature diverse, l'elemento di unificazione del cammino stesso, la dimensione che qualifica come "religiosa" l'esperienza umana.
    Essa è presente ai livelli iniziali del processo di maturazione dell'esperienza religiosa, spesso in modo solo implicito e fortemente disturbato. Nel cammino successivo, a confronto con possibili e concrete risposte, si raffina, si consolida. A contatto con testimoni di una presenza capace di saturare l'invocazione, questo atteggiamento interiore si modifica tanto da diventare ormai riconsegna, affidamento, accoglienza di un evento che è la ragione di tutta la propria vita, motivo di pace interiore anche nel turbinio delle inquietudini che continuano ad attraversa l'esistenza, fondamento di speranza e di senso anche nella fatica quotidiana di esprimerlo e verificarlo.
    Anche quando la persona raggiunge il livello più alto di maturazione religiosa, l'invocazione non si spegne, come se la persona avesse finalmente raggiunto la capacità di saturare tutte le sue domande esistenziali. A questo livello si esprime, invece, come riconsegna al silenzio inquietante di una presenza che sta oltre la propria solitudine, che viene dal mistero della trascendenza. L'invocazione si perde così nell'abbraccio di Dio, con una consapevolezza che si fa progressivamente più intensa e riflessa.
    L'invocazione è già esperienza di trascendenza. Lo è ai primi livelli. L'uomo invocante si mostra disposto a consegnare le ragioni più profonde della sua fame di vita e di felicità, persino i diritti sull'esercizio della propria libertà, a qualcuno fuori di sé, che ancora non ha incontrato tematicamente, ma che implicitamente riconosce capace di sostenere questa sua domanda, di fondare queste esigenze, per la vita, autenticamente piena, sua e di tutti.
    Lo è soprattutto nella espressione più matura, quando ormai la ricerca personale si perde nell'accoglienza del mistero dell'esistenza. Ci fidiamo tanto dell'imprevedibile, da affidarci ad un amore assoluto che ci viene dal silenzio e dal futuro.
    Diventiamo persone che sanno fidarsi degli altri, anche quando i conti non tornano. Fondati nella fiducia, si affidano.
    Superiamo il limite della nostra esistenza per immergerci nell'abisso sconfinato di Dio.

    L'invocazione come esito dell'esperienza di finitudine

    L'evento che scatena l'invocazione e la trascina verso la sua progressiva maturazione è l'esperienza della "finitudine": il confronto, progressivamente posseduto, di quel limite che attraversa, in modo insuperabile, la nostra vita, segna ogni pretesa di autonomia e di potenza e, proprio per questo, ci riconsegna alla verità.
    Questo dato è di grande peso educativo. Troppi giovani faticano ad esprimere un maturo affidamento al mistero, perché non hanno ancora raggiunto la capacità di lasciarsi inquietare dal proprio presente.
    Respiriamo infatti una cultura che ha la pretesa di manipolare tutto, a fatti o a parole. Per ogni cosa abbiamo una spiegazione e di ogni avvenimento sappiamo responsabilità, positive o negative. Se qualche male ci sovrasta, ne conosciamo il rimedio o, almeno, è solo questione di giorni: presto o tardi, troveremo il nome giusto per identificarlo e gli strumenti adeguati per risolverlo.
    Quello che non riusciamo a manipolare, ce lo teniamo nascosto, per un senso di pudore. Capita così persino per la morte, quella improvvisa che si affaccia alla nostra esistenza senza rispettare il calendario delle previsioni. La rimuoviamo con caparbietà o la trasformiamo in spettacolo, per riconquistarla dopo che ne eravamo restati sconfitti ad un primo impatto.
    Tutto questo ci porta alla assurda pretesa di "bastare" a noi stessi, ritrovando in noi e nella manipolazione dell'altro e delle cose, il principio prometeico di sopravvivenza.
    Vivendo così, però, siamo lontani dalla "verità": quella delle cose e quella di noi stessi. Lo costatiamo quotidianamente, quando ritroviamo il coraggio di misurarci con la ricerca di senso e di speranza. Lo sperimentiamo impietosamente quando il limite attraversa la nostra vita e non riusciamo più a trasformare in spettacolo quello che ci chiama in causa in prima persona.
    Alle prese con queste esperienze, cerchiamo una via di uscita, qualcosa a cui afferrarci, per sopravvivere nonostante il confronto inquietante con quanto ci sovrasta.
    Ci lanciamo con le braccia spalancate verso qualcosa che sta "oltre", ardentemente sperato come la ragione di una speranza che non riusciamo più radicare dentro di noi.
    Lo stesso slancio verso l'ulteriore sorge quando ci troviamo misurati con le esigenze del bene morale e dell'impegno etico. Scopriamo un limite alla nostra soggettività, che la inquieta e la decentra verso qualcosa che ha dei diritti sulla nostra libertà e responsabilità. Lo costatiamo come sollecitazione alla pienezza della nostra vita e alla realizzazione della sua autenticità, anche se sembra mettere in questione proprio la sua autonomia. Ci chiediamo: perché? quale diritto si affaccia dentro i confini che abbiamo tracciato, a protezione di una tranquillità che ci sembrava invalicabile?
    Provocati dal confronto inquietante di un limite che sembra invalicabile e di una presenza, imprevedibile ed esigente, siamo capaci di rinchiuderci in soluzioni di conforto e di comodo: la disperazione, la rassegnazione, l'autosufficienza, il disimpegno.
    Possiamo però ritrovare il coraggio di collocarci pienamente oltre il nostro limite, in una ricerca di senso verso l'ulteriore da sé, che è già, in qualche modo, un'esperienza di senso accolta come dono insperato.
    La finitudine viene rivissuta così come riconsegna globale di sé all'attesa, alla ricerca, sofferta e tranquilla, alla speranza di incontrare, fuori di sé, le ragioni che permettano di convivere con il proprio limite, in una gioia trepida e attenta. Questa è l'invocazione: un gesto di vita, che cerca ragioni di vita, perché chi lo pone si sente immerso nella morte e scommette - su mille segnali nessuno dei quali è tanto convincente da togliere la gioia della scommessa - su un fondamento, sperato e sperimentato.

    EDUCARE ALL'ESPERIENZA RELIGIOSA

    L'esperienza religiosa, come tutte le dimensioni dell'esistenza, può essere educata: si può cioè intervenire attraverso processi educativi per consolidare, modificare, verificare quel pacchetto di atteggiamenti che determina la qualità religiosa dell'esistenza.
    Ci mettiamo a pensare all'esperienza religiosa e abbiamo sentito il bisogno di comprenderla, ritagliandone una figura molto precisa nel pluralismo di comprensioni, solo a partire da questa preoccupazione. La scelta giustifica la decisione di accentuare alcune dimensioni rispetto ad altre e sollecita a pensare i problemi connessi da una prospettiva chiaramente operativa.

    Il senso della proposta

    La nostra è una prospettiva "educativa".
    Questo orientamento comporta la necessità di pensare e progettare all'interno di tre preoccupazioni:
    - In una situazione di pluralismo culturale e religioso diventa ancora più urgente ritagliare una meta globale da cui comprendere tutto il processo e verso cui indirizzarlo. Questo obiettivo pone, in pratica, il punto attorno cui cercare la convergenza di coloro che sono disponibili a collaborare per la realizzazione del progetto e la disponibilità di massima di coloro che si impegnano nel cammino.
    Lo esige la qualità stessa di un processo educativo: senza una convergenza intenzionale non si dà educazione. Lo richiede con forza il tempo in cui viviamo: il confronto è possibile solo in identificazioni precise.
    La chiarezza sulla meta non funziona come discriminazione, ma come ipotesi consolidata (da verificare e ricostruire) per un autentico dialogo.
    - La seconda preoccupazione è data dall'accoglienza, incondizionata e amorevole, dell'esistente. Riconosciamo nella situazione di fatto in cui siamo chiamati ad operare i segni positivi di futuro, anche quando sono frammisti a disturbi e deformazioni.
    Il processo di educazione dell'esperienza religiosa si svolge con persone e in una situazione culturale e sociale che vogliamo conoscere pienamente per riconoscere fattivamente come contributo alla definizione e costruzione della meta verso cui è orientato il processo.
    - La prospettiva educativa richiede infine la definizione di "strumenti" di intervento.
    Solo in una accurata ricerca metodologica riusciamo a progettare educazione: il cammino verso la meta globale verso cui siamo orientati.
    La scelta di strumenti adeguati è un momento importante di tutto il processo. Da una parte, lo rende praticabile. Dall'altra però lo condiziona fortemente.
    Per questo richiede una particolare attenzione "in contesto".

    L'obiettivo globale

    Il processo è orientato al consolidamento di una matura esperienza religiosa. La stimiamo tanto qualificante per la maturità antropologica, da sentirci impegnati con forza verso la sua educazione.
    L'obiettivo è pensato possibile e urgente per tutte le persone. Per questo non lo vogliamo condizionare pregiudizialmente ad una esplicita connotazione "cristiana". Non coincide quindi con il cammino di "educazione alla fede". Anzi, questo compito presuppone una radice di matura esperienza religiosa.
    L'obiettivo è quindi progettato in termini ampi: si tratta di educare ad un atteggiamento umano fondamentale, che sta prima delle sue espressioni formalmente religiose.
    L'esperienza religiosa è però sempre connotata culturalmente. Si esprime, in qualche modo, all'interno di movimenti religiosi. Nella nostra fede inoltre riconosciamo la funzione normativa di Gesù di Nazareth e della Chiesa per l'incontro autentico con Dio.
    Per questo, il cammino di educazione all'esperienza religiosa è realizzato "dalla prospettiva cristiana": per dare una collocazione culturale e una dimensione di autenticità donata.
    Non può però risultare né esclusivo né discriminante. L'esperienza religiosa sta oltre i "nomi" e le "espressioni" in cui si traduce. La sua autentica maturazione richiede la capacità del dialogo e del confronto con coloro che la vivono in modalità diverse.

    La strumentazione

    Nella logica dell'obiettivo suggeriamo alcuni elementi generali di metodo: quelle "strumentazioni" educative che ne rendono possibile il raggiungimento nell'attuale situazione culturale e sociale.
    In questo contesto ricordiamo gli elementi comuni a tutti il percorso. Nelle pagine che seguono saranno sottolineati soprattutto quelli specifici.

    Esperienze che trascinano verso l'invocazione

    Purtroppo, il contesto attuale favorisce poco la maturazione dell'esperienza religiosa. Spesso sembra soprattutto minacciarne una qualità autentica.
    È difficile infatti sperimentare luoghi di epifania dell'assoluto. Cose, fatti e persone, la natura stessa, non rimandano più, come uno specchio, all'ulteriore. Tendono invece a catturare a sé, ritrovando, al loro interno, le ragioni di crisi e di soluzione alla crisi.
    Dio è silente perché ci siamo circondati di idoli fatti a nostra immagine e misura.
    Diventa urgente per chi crede all'educazione e ne persegue la responsabilità, cercare vie praticabili per ricostruire l'esperienza della finitudine, su cui si regge la capacità di invocazione.
    Ecco una proposta, forse abbastanza insolita: ci sembra urgente, oggi soprattutto, assicurare un confronto, serio e disponibile, con la morte, l'unico evento che ci costringe a fare i conti, in modo serio, con il senso della vita.
    Una lunga tradizione pastorale ha già spinto in questa direzione. Ne siamo usciti, come salto di qualità verso la maturazione. E non vogliamo di certo ritornare a modelli superati e pericolosi.
    Nella tradizione pastorale il confronto con la morte era spesso attivato per trascinare verso un'oggettività precostituita, approfittando della oggettività della morte (che invece è l'evento più soggettivo che ci sia) e scatenando la paura e la disperazione. In fondo, nonostante la buona volontà di coloro che si impegnavano in questa direzione, l'esperienza religiosa sembrava radicata sulla paura. L'amore accogliente verso la vita e la passione premurosa per il suo "possesso" erano temuti e controllati, perché pensati un'alternativa seducente all'impegno etico e al riferimento al trascendente.
    Sollecitiamo al confronto con la morte da una prospettiva radicalmente diversa: l'amore alla vita, vissuto con tanta intensità da non accontentarci dei significati surrettizi e manipolatori di cui viene circondata.
    Per restituire la vita alla più matura esperienza religiosa dobbiamo restituire alla morte tutta la sua forza provocatoria, nello stile di Francesco ("sorella morte") che è poi quello di Paolo (Rom 7 e 8)?
    Il confronto con la morte riporta verso la finitudine come elemento di sutura tra progetto e fallimento: dà la misura dell'autenticità e della verità personale.

    Luoghi di accoglienza

    La qualità religiosa è un fatto strettamente personale. Riguarda quello spazio intimissimo dell'esistenza in cui una persona si ritrova "da sola" di fronte al mistero di Dio e della propria vita, nella ricerca di un senso e di un fondamento oltre il limite sperimentato e sofferto.
    Questa decisione è però incoraggiata, sostenuta, confrontata dal rapporto interpersonale. Trova quindi in una comunità di uomini religiosi il suo "grembo" vitale.
    Infatti sorge dal "racconto" di chi ha trovato un senso e un fondamento della propria vita; e lo propone ad altri, per chiedere loro di sperimentarlo. Si consolida nell'ambito di una comunità (della comunità ecclesiale), chiamata ad offrire un sostegno alla personale esperienza e a suggerire un modo concreto di esprimere la qualità nuova di esistenza che ne scaturisce.
    Nella nostra situazione culturale e sociale tutto questo sembra un progetto irrealizzabile. Troppi giovani sono abbandonati a se stessi o si misurano con adulti che esprimono un livello povero e tutt'altro che significativo di esperienza religiosa.
    L'educazione della esperienza religiosa esige di conseguenza l'invenzione di luoghi alternativi, dove si respiri esperienza di ricerca di senso e capacità di affidamento.
    Non necessariamente questi luoghi dovranno essere spazi fisici: anche se l'educazione ha bisogno di uno spazio dove sia possibile respirare "strutturalmente" qualcosa di diverso dalle logiche dominanti.
    Possono essere, per esempio, questi "luoghi" di esperienza i contatti saltuari o programmati con persone, capaci di farci vibrare verso l'assoluto. Sono i luoghi abituali di esperienza e di convivenza (famiglia, gruppo, ambiente ecclesiale...), impegnati a far risuonare una logica diversa di progettarsi e di essere.
    Possono diventare questi luoghi provocatori di religiosità il contatto con situazioni di sofferenza, capaci di "decentrare" verso l'altro-di-bisogno, in un tempo dove è troppo facile ricentrare solo sui propri desideri.

    Condizioni educative

    Non basta di certo elaborare luoghi dove fare esperienza religiosa. Qualche volta essi sono percorsi delle stesse logiche manipolatorie che si cerca di superare.
    Ricordiamo alcune condizioni educative che sembrano necessarie. Prima di tutto è importante restituire la persona alla capacità di prendere posizione nel silenzio della propria interiorità. In una stagione in cui prima si smerciano i desideri per vendere poi i prodotti, la provocazione è importante, per scuotere l'indifferenza; ma va realizzata in modo da assicurare la capacità di verifica personale e di interiorizzazione. Si tratta sempre di "far fare esperienza".
    Inoltre non possiamo dimenticare un dato già ricordato: l'apertura verso l'assoluto e l'affidamento di sé al mistero non scaturiscono dalla paura, ma dalla responsabilità e sono pervasi da una intensa passione per la vita. Per questo è necessario testimoniare l'amore alla vita per sollecitare verso l'oltre a partire dall'accoglienza.

    Il servizio dell'adulto educatore

    Un punto di riferimento fondamentale nell'educazione all'esperienza religiosa è data dal "testimone":
    - un adulto, significativo e "autorevole",
    - capace di porsi accanto,
    - per indicare una "presenza" oltre il percepibile e il manipolabile, facendo sentire che c'è un bene più grande che rende possibile l'amore nonostante tutto
    - e per testificare una serie di esigenze irrinunciabili per una vita umana.
    Questo adulto fa scoprire che la domanda di assoluto può trovare "risposta" (e non è freccia lanciata verso il nulla), anche perché è già, in quanto domanda, segno di una presenza di assoluto, che come dono tutto ci avvolge.
    Una responsabilità decisiva pesa anche sui credenti: le proposte sono mediate sempre dal vissuto quotidiano delle persone, che rappresentano, in qualche modo, l'esito del progetto.
    Abbiamo posto la capacità di invocazione al centro della qualità più matura dell'esperienza religiosa, anche ai livelli più alti. Pensiamo, di conseguenza, ad adulti credenti capaci di testimoniare il dubbio e l'incertezza che caratterizza anche l'esperienza di fede: mostrando la gioia di vivere nella speranza.
    Un altro tratto importante di quella testimonianza che è richiesta agli adulti credenti, per rendere significative le loro proposte, è determinato dalla capacità di vivere l'impegno etico che traduce la vita di fede tra oggettività e soggettività. La responsabilità viene misurata non da una legge astratta, ma dalla grande legge dell'amore e della vita da promuovere; in concreto, sulle esigenze dell'altro, da amare, servire, promuovere.

    UN ITINERARIO DI EDUCAZIONE DELL'ESPERIENZA RELIGIOSA

    Siamo abituati a pensare il cammino educativo in una logica di itinerario: indicando cioè mete progressive e successive. Per questo pensiamo anche lo sviluppo dell'esperienza religiosa in un processo che prevede la trasformazione dell'iniziale esperienza (vissuta spesso in modo disturbato) in una esperienza religiosa più matura, nel riferimento alla figura, concreta e storica, di questa esperienze (Gesù e la Chiesa), fino al livello più alto di questa stessa esperienza, che consiste nell'affidamento consapevole e riflesso al Dio di Gesù Cristo.
    La prospettiva è importante, per prendere sul serio il ritmo naturale di crescita delle persone. Va però compresa bene, per non essere fraintesa.
    - Non si tratta di tappe da considerare in ordine cronologico, quasi che la loro successione reale dovesse corrispondere forzatamente a quella qui suggerita. L'ordine indicato è solo "logico": suggerisce il movimento ottimale di un cammino.
    Non solo, nel vissuto, una tappa può precedere l'altra, a partire dalla diversa sensibilità personale e dalle concrete esigenze educative. Ma, soprattutto, le logiche di una segnano profondamente quelle delle altre.
    - Lo sviluppo da una tappa all'altra non è né automatico né spontaneo. Si richiede sempre una attenta presenza educativa che sappia scatenare il passaggio: E non è assolutamente sicuro lo sviluppo complessivo del cammino. Qualche giovane può attestarsi tranquillamente a qualche livello intermedio, come espressione della maturazione massima per lui possibile.
    - L'educatore è chiamato a verificare continuamente la qualità del cammino realizzato. Per questo ha bisogno di una strumentazione orientativa.
    Una ricerca sull'esperienza religiosa richiede, quasi come orizzonte previo, l'indicazione di atteggiamenti a cui abilitare e la proposta di interventi, capaci di consolidarli. Anche quegli atteggiamenti che sono ricorrenti (la fiducia, per esempio, l'amore alla vita, l'esperienza di finitudine e la capacità di invocazione...), vanno formulati in modo che sia chiaro il livello di progressività verso cui si tende o che è stato consolidato.

    Prima tappa:
    Da una religiosità diffusa e disturbata all'invocazione, come iniziale esperienza religiosa

    Obiettivo:
    A partire dal vissuto attuale, accolto con simpatia e servito attraverso interventi educativi, far emergere l'attenzione (che si esprime in "invocazione") verso l'assoluto e l'ulteriore, come fondamento "donato" della speranza e dell'impegno etico.

    A. Il significato di questo primo momento è dato da alcune costatazioni immediate, a cui sembra importante "reagire".
    Questi sono i dati più diffusi:
    - Esiste un diffuso dispiegamento di esperienze religiose in diversi contesti: qualche volta si tratta di contesti di tipo formalmente religioso; altre volte si tratta di esperienze quotidiane, vissute dai soggetti senza nessun diretto riferimento al religioso.
    - Purtroppo la socializzazione religiosa non è più una componente "normale" dei processi di socializzazione. Per questo, spesso queste esperienze sono contrassegnate da una larga soggettivizzazione e da modelli di eccessivo sincretismo.
    - Ad una diffusa ricerca di ragioni per credere alla vita e per sperare, la nostra cultura risponde proponendo modelli di affidamento (un po' magico) a cose, persone, riti e gesti, progettati ad arte come "risposte" a domande indotte.
    - La domanda di assoluto, che percorre l'esistenza di tante persone, non riesce a trovare formulazioni esplicite e consapevoli per la scarsa significatività dei modelli religiosi ricorrenti e per la frequente manipolazione della stessa domanda.

    B. Lo sviluppo di questo primo momento prevede alcuni passaggi successivi:
    - si passa dal disimpegno e dalla distrazione rispetto alla ricerca di senso alla capacità di lasciarsi provocare da questa inquietudine;
    - un momento importante di questo passaggio è dato dall'impegno concreto nei confronti degli altri e dalla assunzione di responsabilità precise: impegno e responsabilità aprono alla ricerca delle "ragioni" che ne sollecitano l'assunzione e la direzione. Si scopre di non bastare più a sé stessi, proprio nel momento in cui ci si sente sollecitati a giocare tutto di sé, decentrandosi verso l'altro;
    - alle domande sul significato e sul senso della vita cerchiamo prima di tutto risposte "dentro" la vita stessa, nella scienza e nella sapienza dell'uomo e nell'assunzione di responsabilità personali e collettive;
    - lanciamo poi in un orizzonte di indicibilità (in cui accogliamo il mistero della vita e di Dio) le ricerche più profonde, quelle che esprimono l'eccedenza di quanto siamo e l'insufficienza della nostra sapienza e del nostro impegno.

    C. La misura di questo stile rinnovato di esistenza è data dalla progressiva abilitazione ad atteggiamenti. In concreto:
    - Consapevolezza di una "eccedenza" imprevedibile, che porta a costatare quanto l'esito dei gesti compiuti e dei sogni coltivati sia spesso più grande delle fatiche spese per assicurarlo.
    L'amore alla vita è vissuto verso una "vita" che è più consistente e produttiva di quello di cui ci sentiamo protagonisti.
    - Consapevolezza matura di un limite invalicabile con cui l'amore alla vita è sollecitato a fare i conti.
    Esso si esprime nel riconoscimento
    . di una responsabilità etica, che regola la propria soggettività e i rapporti intersoggettivi,
    . della drammatica possibilità (e realtà) del personale tradimento rispetto alla responsabilità etica scoperta e accolta (peccato),
    . dell'evento della morte (quella grande e violenta conclusiva, e quella piccola quotidiana), che dipende solo del fatto di vivere.
    - Dal profondo dell'esperienza di limite nasce la capacità di invocazione (contro la disperazione, la rassegnazione o l'indifferenza).
    Questa "invocazione" è contemporaneamente:
    . tensione verso una consapevolezza sempre più ampia di questo riferimento al trascendente, cercato e sperato come fondamento "non posseduto" della gioia di vivere e della speranza oltre la morte,
    . riconoscimento (quasi come scommessa esistenziale) di una possibilità reale di vivere nella speranza, nonostante l'attesa e la ricerca. Per questo è "benedizione" (lode e ringraziamento) per una presenza accolta e non posseduta, e in qualche modo già "esperienza di trascendenza".

    Seconda tappa:
    Dall'invocazione all'incontro

    Obiettivo:
    Far sperimentare fattivamente che la speranza e il senso "esistono", ci sono offerti, li possiamo incontrare e sperimentare. Viviamo nell'"alleanza": alla nostra ricerca corrisponde la proposta di un evento, che la satura e ci rassicura, oltre il limite sperimentato e accolto. 
    Per noi cristiani, il fondamento verso cui siamo in tensione, di cui ci fidiamo e a cui ci affidiamo, ha un nome e ha una storia: Gesù di Nazareth e la comunità dei suoi discepoli.

    A. Questo secondo momento è finalizzato ad offrire una prima e radicale risposta alla invocazione, facendo scoprire il fondamento della nostra fiducia nella vita.
    Questo "fondamento" sono gli altri, incontrati in un rapporto dialogico, aperto e disponibile. Essi ci rimandano a qualcosa di ulteriore, che anche questi testimoni-per-noi hanno incontrato sulla testimonianza-di-altri.
    A questo livello del processo il riferimento è a Gesù Cristo e a coloro che l'hanno incontrato e lo testimoniamo a noi.
    Formuliamo così l'obiettivo del secondo momento dell'itinerario perché partiamo dall'ipotesi che l'esperienza religiosa si deve esprimere, nel suo sviluppo e consolidamento, secondo le risonanze culturali consolidate nella nostra tradizione religiosa. La fede in Gesù di Nazareth, testimoniata da coloro che hanno consegnato a lui la propria invocazione, dice la ragione "forte" della speranza e la qualità "rivelata" della sua espressione.

    B. Va compreso bene il senso del richiamo alla fede ecclesiale in Gesù Cristo. L'esperienza religiosa riguarda la qualità della vita di tutti gli uomini. La vogliamo educare per restituire ad ogni persona la gioia di vivere e il fondamento della speranza. Va però vissuta in espressioni religiosi concrete. Per questo, per noi, il richiamo immediato è a Gesù di Nazareth e alla fede ecclesiale in lui. In questo contesto è importante consolidare l'esperienza religiosa: solo così è possibile una fede ecclesiale in Gesù Cristo. In questa ricerca ci sentiamo sinceramente in compagnia con tutte le espressioni religiose autentiche. Ci sta a cuore, prima di tutto, aiutare la persona a riunificare la propria esistenza attorno ad una matura esperienza religiosa, "prima" e "come condizione" di un processo di educazione alla fede.
    L'intervento educativo relativo a questa seconda tappa non è prima di tutto "evangelizzazione" (in senso stretto), ma la "testimonianza" di chi nell'incontro con un evento e con una responsabilità ha scoperto senso e speranza oltre il limite, sperimentato e sofferto.
    L'evangelizzazione è però spontanea: la risposta più immediata.
    La stessa "invocazione" è interpretata dai credenti come "domanda di evangelizzazione": essa cioè appella all'evangelizzazione e ne indica lo stile.
    Infatti, non solo suggerisce come evangelizzare, perché l'annuncio di Gesù Cristo sia evangelo dentro queste attese; ma soprattutto sollecita le comunità ecclesiali ad offrire un evangelo capace di svelare, interpretare e consolidare l'esperienza stessa, perché "la domanda starà in maniera molto più chiara solo nella coscienza umana in cui si ode anche la risposta".
    "Gli uomini devono sapere di quale "progetto di ricerca occuparsi ed a che cosa affidarsi. Ma se le chiese esprimono la loro antica tradizione cristiana d'esperienza in un sistema concettuale estraneo all'uomo moderno, priveranno anche la maggior parte degli uomini del piacere di afferrare questo progetto di ricerca come possibile interpretazione delle loro esperienze".

    Terza tappa:
    Dall'incontro con Gesù all'affidamento personale al Dio di Gesù

    Obiettivo:
    L'incontro con Gesù deve portare a consolidare la propria esperienza di assoluto nella immersione, esplicita e riflessa, nel mistero di Dio. Così riconosciamo nel Dio di Gesù il fondamento della nostra speranza e la ragione dell'impegno etico nei confronti dell'altro.

    A. Precisiamo il significato di questo secondo momento, insolito rispetto ad alcune logiche ricorrenti.
    La maturazione dell'esperienza religiosa non si conclude nell'incontro personale con Gesù di Nazareth. A partire da questo incontro e come suo consolidamento e verifica, la dimensione religiosa dell'esistenza richiede l'affidamento personale al Dio di Gesù, scoperto e sperimentato come "padre", sorgente della vita ("creatore"), fondamento della nostra speranza.
    Gesù è il "grande rivelatore" del Padre. L'incontro con lui sollecita di conseguenza verso l'incontro con il Dio di Gesù.

    B. L'incontro con Dio è un fatto strettamente personale, che ciascuno vive nell'intimità della propria storia esistenziale.
    Ci sono però "condizioni" di autenticità su cui verificare la propria esperienza. Sono in qualche modo "correlative" al volto di Dio che Gesù ci rivela:
    - A Dio "creatore" ci avviciniamo con la coscienza della nostra costitutiva condizione di "creature": siamo perché siamo continuamente riempiti di Dio. Per questo esistiamo nella misura in cui accettiamo di affidarci totalmente ad un mistero grande che ci sovrasta. L'esperienza di creaturalità ci porta alla doppia consapevolezza di "essere" e di essere "sulla potenza del dono che ci ha chiamati a vivere".
    - Gesù ci rivela che il Dio creatore è "padre" amoroso e accogliente. La nostra storia quotidiana e la storia collettiva è piena dei segni della paternità di Dio. Vanno raccolti, compresi e interpretati, anche se restano sempre un po' misteriosi: perché Dio è padre "altrimenti" di ogni padre.
    L'esperienza della paternità-figliolanza ci assicura sul senso e sul fondamento della nostra esistenza, oltre ogni limite: la vita è un dato, più radicale e fondante di ogni nostra esperienza di vuoto. Per questo ha senso (è sensato) affidarci: il nostro Dio è un Dio di cui possiamo totalmente fidarci, anche se resta mistero santo.
    - Dio è padre di tutti: l'esperienza religiosa si apre immediatamente verso una esperienza ecumenica, per riconoscere i segni della presenza di Dio in ogni uomo. In Gesù, scopriamo che il Dio di Gesù è più grande della rivelazione storica del cristianesimo.
    - Dio resta sempre mistero grande, indisponibile rispetto alle nostre categorie interpretative. Anche noi, come Gesù ai piedi della croce, ci interroghiamo sul senso imprevedibile di quello che ci sovrasta. Come Gesù, e come coloro che hanno vissuto così la propria esistenza, riconosciamo di avere ragioni per "fidarci" di Dio: per questo ci "affidiamo" a lui. Superiamo ogni rapporto con Dio vissuto in termini di "rassicurazione": come fosse un idolo di cui catturare la benevolenza per essere poi "sicuri" dell'esito.

    C. A questo livello, la persona si trova davvero da sola, consegnata, nel mistero del suo esistere, al mistero santo e imprevedibile di Dio.
    Questo incontro, strettamente personale, è segnato dalla ricerca e dalla disponibilità a lasciarsi incontrare, da una parte, e dall'amore che si rende vicino, dall'altra.
    Alcuni sostegni educativi possono facilitare e sostenere l'incontro:
    - la testimonianza provocante e significativa dei credenti, capaci di svelare nel loro "cuore paterno" il "cuore di Dio Padre",
    - il "racconto" del proprio vissuto religioso: quando le parole non bastano più, perché ci esprimiamo alle soglie del mistero (di Dio e dell'uomo), solo il racconto del vissuto può offrire adeguata strumentazione comunicativa,
    - la qualità del rapporto filiale verso Dio è sostenuta e autentica dalla progressiva capacità di "vivere senza idoli", distruggendo quelli che ci costruiamo e purificando le immagini che di Dio stesso tendiamo a costruirci.

    Quarta tappa:
    Versa una qualità nuova di vita: vivere da "credenti"

    Obiettivo:
    L'affidamento a Dio si esprime secondo le modalità concrete che Gesù ci ha rivelato del progetto di Dio. Per questo, l'esperienza religiosa si traduce immediatamente in una qualità nuova di vita. Essa si concretizza nella direzione dell'impegno etico, nella capacità di leggere la realtà dal mistero che si porta dentro (vita nella fede), nella accoglienza della vita ecclesiale (celebrazione e formulazioni della fede).

    A. Questo è il significato del quarto momento: riportarsi alla vita di tutti i giorni, in modo che si vedano i segni della qualità nuova di vita, nella vita quotidiana.
    L'esperienza religiosa è e deve restare una esperienza fortemente soggettiva, perché espressa nel silenzio della propria interiorità, secondo i modelli che caratterizzano la sensibilità personale. Essa però deve potersi "oggettivare", per esprimersi secondo le esigenze normative del riferimento al Dio di Gesù Cristo e secondo quelle "culturali" dell'espressività ecclesiale.
    Riconosciamo di non poter esprimere mai adeguatamente il nome di Dio, anche nella manifestazione di questo nome fatta da Gesù. Per questo ci immergiamo continuamente nel silenzio dell'adorazione e nel dialogo con tutti gli uomini religiosi per conservare con amore la pluralità dei nomi.
    Riconosciamo però l'irrinunciabile dimensione storica e culturale dell'esperienza religiosa. Per questo riconosciamo la normatività del progetto di Dio in Gesù e nella comunità ecclesiale.
    Mettendo al centro una soggettività che sa misurarsi continuamente con l'oggettività (normativa ed espressiva) ritorna in primo piano ancora l'invocazione: la persona si interroga "come" vivere da credente, in quello spazio solitudine interiore in cui la decisione non è mai la ripetizione passiva del già dato o del già sperimentato.

    B. In una situazione culturale come è la nostra, dove domina l'eccessiva spontaneizzazione e soggettivizzazione anche delle forme religiose, è importante far maturare l'incontro con Gesù e l'affidamento al Dio di Gesù verso un doppio complementare atteggiamento:
    - Da una parte, la persona religiosa resta consegna alla solitudine della sua esistenza. Non è né rassicurata rispetto agli esiti più globale né gli si indica un modello unico e definitivo di esistenza, da riprodurre concretamente, con qualche eventuale personale aggiustamento.
    Davvero, il livello più alto di esperienza religiosa si sporge ancora verso una matura e rinnovata "invocazione": sulla fede (il "non-credente" che resta nel profondo dell'esistenza personale interpella il "credente" che siamo diventati); sulla esperienza etica (perché la grande legge della "vita" sollecita ad un atteggiamento verso le leggi di intensa libertà: di osservare fino ai più piccoli particolari e di trasgredire nel nome della vita stessa).
    - Dall'altra, però, il giovane cristiano si impegna a vivere di "fede", di "speranza" e di "carità" nel nome e nella qualità della fede, speranza, ecclesiale.

    C. La ricerca è aperta sul livello di normatività, sul significato e sulla qualità del come essere cristiani in una situazione di pluralismo culturale e religioso, come esserlo "da giovani di questo nostro tempo"?
    La possibilità di una proposta si fonda infatti su due riferimenti:
    - si tratta, prima di tutto, di sollecitare i giovani verso la capacità di esprimere, in modo esplicito e formalizzato (dal punto di vista etico, rituale e dottrinale), uno stile di esistenza "da cristiani";
    - si tratta però di progettare la qualità di questo stile (fedele al passato che ci è consegnato e all'oggi in cui lo viviamo), anche attraverso il vissuto significativo di "cristiani adulti". L'operazione va condotta sui tre livelli già ricordati:
    . l'impegno etico (fedeltà, grazia e amicizia con Dio, libertà e responsabilità, vocazione, santità...),
    . l'esperienza celebrativo-rituale
    . la formulazione dottrinale.

    UN AMORE EDUCATIVO VERSO LE PERSONE CONCRETE

    Troppo spesso, il processo di educazione dell'esperienza religiosa è rimasto prigioniero della contrapposizione tra "proposta" e "domanda". Non venivano fatte proposte, per rispettare meglio il livello scarso di domanda religiosa in una situazione culturale e personale di forte risonanza secolarizzata. O, al contrario, le proposte risuonavano alte e solenni, senza nessuna preoccupazione di misurarsi con le concrete domande del soggetto.
    La logica educativa, nel cui rispetto abbiamo scelto di costruire il nostro progetto, sollecita ad inventare alternative serie e praticabili a questa falsa contrapposizione.
    In una situazione culturale come è quella che stiamo vivendo non basta da sola la proposta per far nascere domande, come non è sufficiente un'accoglienza rassegnata della domanda per scatenare un cammino di maturazione.
    Dobbiamo invece pensare e progettare all'incrocio di un rapporto nuovo tra "domanda" e "offerta": la domanda sta in maniera più chiara e convincente solo là dove risuona provocante la proposta.
    La persona del "destinatario" sta al centro. E l'educatore si pone accanto in un atteggiamento di amore, rispettoso e accogliente, che sa farsi servizio.
    Da una parte, quindi, riconosce il livello di maturazione raggiunto come esito "di cui gioire" di un cammino possibile. Egli mostra con i fatti che ogni sua preoccupazione è orientata al "bene" dell'interlocutore, perché nasce solo dall'amore. Per questo, egli ama fattivamente le persone, anche quando fanno strade diverse dalla propria.
    Dall'altra sollecita a procedere oltre, proprio per una più piena maturazione personale. Le proposte educative (quelle che seguono) vanno pensate in questa prospettiva.


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