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    La gioia di seguire Gesù



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1998-03-06)


    Gesù era una di quelle persone rare che quando hanno un progetto in testa, ci pensano giorno e notte e s’impegnano fino all’ultimo respiro per realizzarlo.
    Le sue parole non lasciavano dubbi.
    Molte volte, chi lo ascoltava aveva sentito pronunciare frasi di questo tenore: «Io sono venuto perché tutti abbiano la vita e ne abbiano in abbondanza. Purtroppo c’è ancora tanto da fare per realizzare quest’obiettivo. Non riesco davvero a stare in pace».
    Un giorno ha tirato fuori un paragone, che valeva più di lunghi discorsi: «Io sono come quel tipo che va in giro alla ricerca di perle preziose. Corre di qua e di là, senza pace, perché la sua passione lo scuote dentro. Se viene a sapere che, da qualche parte, ce n’è una rarissima, si precipita per arrivarci per primo; vende tutto quello che possiede per avere un capitale a disposizione; poi compra felice che la perla che cercava, senza badare a spese».
    I fatti poi bruciavano le ultime incertzze, come un sole caldo scioglie le ultime chiazze di neve. Ogni giornata era una corsa continua e la notte non bastava mai per completare le imprese. Spesso, lui e i suoi amici erano costretti a mangiare un boccone per strada. Era continuamente assalito da persone che soffrivano nel corpo e nello spirito. Per tutti aveva una parola buona. Molti ritornavano a casa guariti. E poi... i discorsi che non finivano mai, le polemiche infuocate, le lunghe veglie di preghiera.
    Un po’ alla volta, i discepoli avevano capito molto bene il tenore di questa passione e la ragione di una esistenza bruciata in un impegno senza pause: la causa della vita e della speranza della gente nel nome di Dio. Il Padre gliela aveva affidata; lui era venuto proprio per questo. Niente e nessuno riuscivano a fermarlo.
    Le cose da fare erano tantissime. I suoi giorni, invece, erano ormai contati. Sapeva di essere come una lampada che attenua la fiamma perché l’olio incomincia a scarseggiare.
    Una mattina sveglia presto i suoi discepoli. Se li raccoglie d’attorno. Veniva da una notte di preghiera. Lo sapevano bene tutti: non l’avevano più visto, appena terminata la cena. Chiede il silenzio e l’attenzione.
    Sono curiosi e impazienti. Chiedono a Pietro e a Giovanni, che di solito conoscevano le cose con un po’ d’anticipo: «Cosa capita?». «Non lo sappiamo... stiamo a vedere»: la risposta è pronta e sincera.
    Gesù prende la parola. Va subito al centro della questione.
    «Il Padre mi ha affidato una causa, grande e impegnativa: vuole che tutti gli uomini abbiano vita e speranza nel suo nome.
    In questi anni, assieme abbiamo fatto tante cose. Ce ne sono ancora tantissime per aria. Dobbiamo continuare. Ecco... questo è il punto. Voi siete miei amici. Vi ho scelti personalmente, uno ad uno, e ho condiviso con voi tutto quello che mi sta a cuore. Siete miei amici... davvero.
    Bene... ci state a caricare sulle vostre spalle la mia causa? Non si può tentennare. Non si può davvero cercare il trucco di servire a due padroni. Di fronte ad una causa tanto impegnativa, bisogna scegliere: o tutto o niente. Scegliete.
    Vi assicuro: ne vale la spesa.
    Ma... parliamoci chiaro. Non posso assicurarvi nulla di buono. Avrete tribolazioni. Vi farete un sacco di nemici. Il lavoro e la fatica vi toglieranno il sonno e la fame. La croce diventerà la compagna quotidiana della vostra esistenza.
    L’abbiamo sperimentato assieme in questi anni. Quando c’è di mezzo la vita degli altri nel nome di Dio, non siamo più padroni di nulla: né del tempo, né dei rapporti personali, né delle cose. La meta è affascinante: la vita, piena e abbondante. Pensate ad una mamma che sta per dare alla luce un figlio. Soffre terribilmente... pensa alla vita che sta per nascere... ed è felice. Lo sguardo alla vita fa dimenticare tutto. Delle sofferenze si perde persino il ricordo, appena la nuova vita lancia il primo grido.
    Siete miei amici. Mi fido tanto di voi da affidarvi la mia passione più grande. Ci state? Questo mi aspetto dai miei amici».
    Sono rimasti di sasso. Speravano... qualcosa di meglio. Erano disposti a rischiare... alla condizione che fosse chiaro il guadagno e che si potesse incominciare a toccare con mano qualcosa di concreto.
    Le uniche cose tangibili che Gesù promette fanno accapponare la pelle: dolore, fatica, persecuzioni. Sul resto, chiede fiducia: la felicità che scatenerà la nuova vita... quando verrà.
    Qualcuno tenta la via del compromesso. Gioca a fare il furbo.
    «Gesù, io ci sto... prima però lasciami qualche giorno per pensarci. Mi chiedi un gesto così radicale... lasciami il tempo di fare qualche verifica».
    «Gesù, vengo. Mi hai convinto. Sai, però, mio padre sta male... Faccio un salto al paese. Lo saluto. Prendo qualche cosa e torno. Due o tre giorni al massimo... te l’assicuro».
    «Gesù, hai ragione. La tua proposta è bella e seducente. Sarei sciocco a tirarmi indietro. Dimmi la verità: è tutto così nero il futuro come ci hai fatto intendere? Qualche cosina... la possiamo sperare anche per l’oggi?».
    Il volto di Gesù si rattrista: «Possibile? Siete stati con me per tanti mesi... e non vi siete ancora liberati dei vecchi schemi. Non ci siamo davvero. Con questa mentalità non possiamo metterci a servire la causa della vita: non possiamo assolutamente».
    Ribatte puntualmente le richieste. «Vuoi sapere cosa ti aspetta? Presto detto: le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo il nido... io non ho una pietra dove posare il capo. Tutto il mondo è mio... perché tutti hanno una grande fame di vita e di speranza e Dio ama tutti e regala a tutti il sole e la pioggia. Ma non possiedo niente. Quando andate in giro, non portatevi niente di scorta. Chi serve la vita, vive del rischio del suo servizio».
    Poi, con lo stesso tono, se la prende con quelli che vogliono rimandare la decisione: «Non possiamo aspettare. Non possiamo chiedere a chi si dibatte nell’onda della morte... di avere ancora qualche giorno di pazienza, mentre noi andiamo a salutare gli amici o a seppellire i cari defunti. La causa è prima di tutto: persino prima della carne e del sangue». Lo dice con forza. Qualcuno pensa a Maria, la sua mamma, mescolata tra la folla nell’attesa di Gesù, disposta ad aspettare... il suo momento, lei che aveva il cuore pieno del desiderio di buttargli le braccia al collo, dopo quei lunghi mesi di silenzio.
    «Signore, mi hai convinto. Io vengo. Non ti conosco. Ma uno che parla come te, lo si segue dappertutto. Finalmente ho incontrato quel pezzo della mia vita che stavo cercando e non ero capace di chiamare per nome». Si voltano tutti verso lo sconosciuto che si era infilato nel gruppo senza essere invitato. «Chi sei?». Risponde, senza ombra di vergogna: «Mi chiamo Levi ed esercito un mestiere non troppo bello: esattore delle tasse. Ti ho sentito parlare mentre stavo aprendo bottega. Ti ho ascoltato: la curiosità si è trasformata subito in ammirazione. Io vengo subito...». Si ferma un attimo. Riprende la parola: «Subito subito no. Mi chiedi una cosa terribile: abbandonare tutto, soldi amici mestiere, per venire con te a servire la causa della vita. Non mi prometti nulla di buono. Eppure vengo. Se ti fidi di me e hai il coraggio di chiamarmi amico, ci sto.
    Oggi mi è capitata l’avventura più grande della mia vita. Sono felice, come un ragazzo al primo innamoramento. Voglio gridarlo a tutti i miei amici. Guarda... faccio così: un gran pranzo di festa. Li invito tutti i miei compagni d’avventura e di noia... per dire a tutti la gioia di abbandonare la mia fortuna per stare con te. Posso?».
    I discepoli guardano Gesù. Si aspettano un no deciso. Aveva proibito la visita ai parenti e il loro ritorno a casa per un funerale. Vediamo come se la caverà adesso?
    La risposta di Gesù non si fa attendere: «D’accordo. Vieni con me... dopo il pranzo d’addio. Non voglio persone che mi seguano con il muso lungo. Voglio gente felice. La pausa del pranzo di festa va benissimo. Subito dopo, partiamo assieme».
    «Grazie, Gesù. Vengo. È inteso: al pranzo d’addio siete invitati tutti. I miei amici lo devono scoprire chi è quel Gesù che ha preso tutta la mia vita».
    I discepoli rimangono sorpresi. Che Gesù fosse un po’ strano..., l’avevano già sperimentato altre volte. Ci prendeva un gusto matto a buttare all’aria il loro modo di ragionare, da persone per bene, devote ed osservanti della legge fino allo scrupolo. Questa volta, però, ha esagerato: prima dice di no a chi chiedeva un piccolo rimando per salutare i parenti e per piangere il padre defunto, e poi concede tutto a chi propone un pranzo d’addio.
    Gesù glielo legge negli occhi. Riprende la parola: «Lo capisco... non vi sembra logico quello che è capitato. E non avete tutti i torti.
    Una cosa però mi sta a cuore e ve la voglio dire, chiara e tonda, perché rappresenta lo stile con cui v’invito a servire con me la causa della vita».
    Ritorna il silenzio.
    «Provate a pensare a quello che i servi sono chiamati a compiere nella casa del loro padrone. Alla fine di una giornata di lavoro, a tavola, per primo, siede il padrone, i servi invece sono indaffarati su mille compiti. Preparano la tavola, cucinano la cena, offrono l’acqua per le abluzioni... e poi portano in tavola il cibo... sparecchiano e riordinano la casa. Finalmente, alla fine di queste nuove fatiche, possono mangiare anch’essi un boccone, magari in fretta perché si fa notte e l’indomani l’alba sorge presto... almeno per loro».
    Il paragone è chiaro... ma cosa c’entra?
    Gesù continua: «Chi è più importante: il padrone o il servo?». Non ci sono dubbi: «Il padrone... ha diritto di comportarsi così».
    Gesù li guarda negli occhi. Dopo un attimo di silenzio, riprende deciso: «Mi chiamate maestro e signore... e fate bene, perché lo sono davvero. Che cosa sto facendo con voi? Faccio come i servi nella casa del padrone. Io sono in mezzo a voi come uno che serve. Sapete perché? Non voglio farvi prediche... vi chiedo solo di costatare dei fatti importanti.
    La causa della vita sta a cuore prima di tutto a Dio: è la sua passione e il suo impegno. Lui la realizza. Lui però l’affidata a me; io l’ho affidata a voi, perché siete miei amici.
    Quando abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare, dobbiamo avere il coraggio di riconoscerci soltanto dei servi... senza eccessive pretese. È chiaro adesso il paragone del padrone e del servo?
    Per la vita e la speranza... solo Dio è padrone. Noi siamo soltanto servi... preziosissimi perché la causa della vita è affidata a noi, ma soltanto servi, perché il progetto appartiene a Dio».
    Hanno capito il paragone e la conclusione. Qualche dubbio resta ancora... sul pranzo di Levi.
    Gesù non vuole lasciare in sospeso un argomento tanto importante. Riprende la parola: «Volete sapere perché ho permesso a Levi di ritardare la partenza per organizzare un pranzo di festa?
    Due ragioni mi hanno spinto a questa scelta. Ve la dico: tra amici non ci possono essere segreti.
    La prima è la più evidente. Organizzando la festa, Levi vuole esprimere la sua gioia di abbandonare tutto per seguirmi. Questo è bellissimo... ha capito fino in fondo la storia della perla preziosa.
    Anche la seconda ragione è importante. Provate a pensarci.
    La causa della vita è immersa nel mistero di Dio. Siamo sicuri dei risultati... solo nella fede. La festa è l’espressione più bella della nostra fiducia in lui... Chi fa festa, riconosce di essere soltanto servo... tant’è vero che affida il risultato della sua fatica al mistero di Dio».
    Vada per la prima ragione... ma la seconda è troppo sibillina per il modo di pensare di gente che era abituata a fare i conti su dati concreti e verificabili. I discepoli lo scopriranno solo quando incominceranno a considerare anche la morte di Gesù (e la loro stessa morte... violenta) una grande festa per la vita e la speranza.


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