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    Per una educazione alla fede nella logica dell’animazione: criteri operativi


     

    A cura di Riccardo Tonelli

    (NPG 1999-05-72) 

    Questo dossier gira attorno ad un interrogativo: è possibile realizzare una corretta ed autentica educazione dei giovani alla fede, assumendo in pieno le caratteristiche e le logiche dell’animazione? La risposta – come sottolineava la nota introduttiva – non può essere costruita in astratto, ma deve nascere dal confronto con le concrete prassi, in cui singoli operatori e comunità ecclesiali risolvono la responsabilità di educare i giovani alla fede.

    Per rispondere, la nostra ricerca ha percorso due vie complementari: da una parte, la ricomprensione dell’animazione, per coglierne tutta la portata educativa e per individuare bene le sollecitazioni e le sfide che essa lancia ai processi di educazione alla fede; dall’altra, la ricomprensione dell’educazione alla fede in questa logica. L’insieme delle proposte rilancia la convinzione che è «possibile» ed «opportuno» realizzare i processi di educazione alla fede nella logica dell’animazione.

    Lo stile è costituito da quella prospettiva ermeneutica che rappresenta una scelta di fondo del nostro percorso educativo e pastorale. In questo modello i due interlocutori (nel nostro caso: animazione ed educazione alla fede) dialogano, facendo del confronto un punto di arricchimento reciproco. L’educazione alla fede si verifica con le logiche tipiche dell’animazione, per ripensare ai suoi compiti e realizzare le sue responsabilità; l’animazione assume il confronto con i processi di maturazione della fede come momento qualificante della sua comprensione.  La parte centrale del dossier ha affrontato alcuni ambiti di educazione alla fede. Rappresentano una specie di riferimento esemplare per tutto il processo. Dall’attenzione ad alcuni ambiti particolari si deve però passare alla globalità dell’operazione. Lo esige l’urgenza di possedere una criteriologia operativa, che permetta il confronto sull’insieme del processo.

    A questo obiettivo rispondono le pagine seguenti, destinate a proporre alcuni suggerimenti di tipo generale, nel cui intreccio ogni operatore può costruire il suo modello di azione.

    La prospettiva educativa

    L’educazione alla fede si fa attenta all’animazione perché è convinta della necessità di assumere pienamente le urgenze dell’educazione in tutti i momenti del suo processo.

    L’esigenza è stata ampiamente discussa e motivata nella introduzione al dossier. Sulla questione pratica (quella che riguarda una specie di coincidenza tra educazione e animazione), invece, una parola in più non guasta, anche se può risultare ripetitiva per gli amici che da anni seguono il cammino di NPG.

    Il modello educativo, proposto dall’animazione, è oggi abbastanza comune e condiviso. La constatazione è così diffusa che, ogni tanto, qualcuno ci chiede: perché parlare di animazione, visto che tutto ciò che la caratterizza coincide con un buon metodo educativo? È facile trovarsi d’accordo con l’obiezione… anche perché non siamo di quelli che fanno del bisogno di differenza una preoccupazione inquietante… Va precisato, però, a scanso di equivoci, che quando abbiamo incominciato a parlare di animazione, la convergenza verso «questo» modello educativo non era poi tanto pacifica… Per questo, ci è sembrato urgente fare delle scelte precise, per ritagliare uno spazio originale nel pluralismo delle proposte. Oggi, forse, la cosa non è più così urgente come era all’inizio. Grazie al cammino percorso, il termine «animazione» possiede, però, una sua risonanza, tanto speciale, da essere diventato luogo di convergenza di un movimento di appassionati di educazione… Sarebbe un peccato abbandonarlo con la scusa della sua forza aggregativa.

    Al di là delle formule e, soprattutto, nella concretezza e qualità che esse suggeriscono, resta la convinzione che l’educazione rappresenta il luogo e il modello privilegiato in cui realizzare un corretto e autentico impegno di evangelizzazione.

    Una distinzione  per evitare confusione

    Dall’attenzione all’educativo, che l’animazione lancia sulla educazione alla fede, è possibile ricavare un criterio pratico: la distinzione tra situazione, sua valutazione, prospettive di trasformazione.

    Spesso nasce contrapposizione tra coloro che analizzano lo stato di fatto (la situazione) e coloro che invece sono tutti proiettati verso il «dover essere» (la prospettiva di trasformazione). Qualche volta, la reciproca diffidenza arriva fino allo scontro verbale a suon di etichette, non proprio benevole.

    L’educazione alla fede nella logica dell’animazione suggerisce un modo diverso di procedere.

    L’educatore della fede si fa attento alla situazione concreta, la legge con amore, anche quando mette in crisi certezze che sembrano consolidate e irreformabili. Sa cogliere, nel piccolo e nel grande, i segni del futuro che lo Spirito semina a larghe mani nella storia. Interpreta questi fatti. Li accoglie con disponibilità e li discerne in profondità. Fa della realtà, letta in uno sguardo di fede, il luogo ermeneutico del suo progettare.

    Non rinuncia però a nessuna prospettiva normativa. Al contrario, legge l’esistente da questo punto di vista, per possedere buoni criteri valutativi. Gioca tutte le risorse per consolidare ciò che ha riconosciuto positivo e per trasformare ciò che invece denuncia limitante e pericoloso. È tanto disposto ad analizzare l’esistente da raccogliere da esso le sfide da cui lasciarsi interpellare, quei problemi «veri» per la cui soluzione gioca tutte le risorse di cui dispone.

    Tutta l’operazione è realizzata all’insegna di una grande «speranza»: la fede nel Signore della storia ispira infatti una lettura della realtà dalla libertà del futuro.

    Il bisogno di verifica

    Un altro frutto del confronto tra animazione e educazione alla fede è costituito dal bisogno continuo di attivare processi di verifica. L’educazione alla fede, aperta verso la necessità di verifica, cerca linguaggi espressivi e modelli operativi in cui sia possibile fare serie verifiche.

    L’animazione pone il problema, introducendo il sospetto nei confronti di tutte le espressioni e le esperienze in cui si procede sull’onda delle frasi ad effetto, delle emozioni superficiali, delle decisioni che non provengono dal silenzio sofferto della propria interiorità. Rilancia poi alla responsabilità della tradizione ecclesiale i modi in cui si può concretizzare l’esigenza, anche per rispettare la dimensione di imprevedibilità e di mistero che investe il dialogo tra Dio e l’uomo.

    Uno degli ambiti in cui l’educazione alla fede può far propria l’esigenza di dire le cose in modo verificabile e di proporre cammini all’insegna di passi progressivi e verificabili, è costituito dall’incontro personale con il Signore Gesù. Per questo è diventato decisivo parlare di «itinerari» per dire in concreto il cammino, lento e progressivo, di maturazione nella vita e nella fede.

    L’attenzione alla vita quotidiana

    L’animazione pone la vita quotidiana al centro delle sue preoccupazioni e organizza attorno ad essa i suoi interventi. Lo fa con il realismo tipico di un corretto processo di educazione. Chiama per nome i problemi che incontra e sa raccogliere i contributi positivi, anche tra le pieghe delle incertezze e delle difficoltà.

    Realizzare l’educazione alla fede nella logica dell’animazione non solo comporta uno spostamento di attenzione adeguato, ma sollecita a ricomprendere il significato e la funzione della fede e della sua proposta da questa prospettiva. La vita quotidiana non viene considerata più né come problema né come destinazione di interventi programmati al suo esterno; essa invece funziona come risorsa anche in ordine alla qualità stessa della fede e della sua comprensione.

    Un esempio concreto di questa sensibilità è costituito dalla capacità di raggiungere la globalità a partire dai suoi frammenti. La logica è quella evangelica del «seme».

    La vita è come un seme: si porta dentro tutta la pianta in quel minuscolo frammento di vita in cui si esprime. Per una forza intrinseca e in presenza di condizioni favorevoli, progressivamente esplode in qualcosa di continuamente nuovo. Le foglie, il tronco, i rami non si aggiungono dall’esterno. Non sono materiali da mettere insieme. Sono già presenti, in germe: il seme è già la grande pianta, anche se lo diventa giorno dopo giorno.

    Certo, la conversione di prospettiva è notevole. Basta pensare ai modelli tradizionali in cui tutte le valutazioni correvano invece solo in ordine alla globalità. Persino la correttezza delle proposte girava su questi parametri.

    La considerazione si fa concreta, sollecitando a progettare gli adeguati interventi metodologici per attivare il cammino di maturazione dal frammento all’insieme, dal seme alla pianta: la collocazione del presente (frammento) nelle sue radici (passato) e nella sua proiezione (futuro); il riferimento a luoghi e ad esperienze che siano capaci di sostenere e scatenare il processo di crescita; l’attenzione a non considerare mai concluso il cammino e a riconoscere che anche i segni meno felici possono diventare ragione di un futuro migliore, quando sono accolti e promossi.

    La trascendenza come dimensione della quotidianità

    Nel nostro modello di animazione la dimensione trascendente dell’esistenza ha sempre costituito un elemento qualificante. Esso funziona come un riferimento irrinunciabile per comprendere l’uomo nel mistero che lo costituisce. Questo orientamento non è un attentato alla «laicità» dell’animazione, e neppure giustifica una sua strumentalizzazione alla pastorale. Rappresenta invece un cammino verso la sua autenticità e una qualità pervasiva del suo servizio alla persona e alla sua maturazione.

    L’urgenza può essere considerata uno dei guadagni più rilevanti del confronto con i processi tipici dell’educazione alla fede. Si è progressivamente consolidata una figura ideale di uomo: l’uomo come ricercatore e produttore di senso. Egli cresce in umanità quando vive la sua vita quotidiana come appello, continuo e progressivo, verso quel mistero in cui è collocata la sua esistenza.

    Da questa prospettiva, educazione alla fede e animazione si fanno attente alle insorgenti domande di esperienza religiosa, che il mondo giovanile lancia. Sono sollecitate, l’una e l’altra nella rispettiva specificità anche di strumentazioni, ad accoglierle con disponibilità, a procedere educativamente per restituire ad ogni protagonista la sua esperienze autenticata e purificata, a trovare risposte soddisfacenti ad una sete, che i diffusi processi di secolarizzazione riduttiva hanno acceso con maggior forza.

    Il nodo dell’identità

    La grande sfida per l’educazione alla fede, proprio a partire dalla figura d’uomo in cui si riconosce, è quella della ricostruzione dell’identità, in una stagione che mette in crisi qualità e stabilità dei processi di costruzione della personalità, a causa della complessità diffusa e del pluralismo dominante.

    La ricerca corre su due frontiere: i valori su cui è possibile elaborare la propria identità e il livello di stabilità da assicurare nel confronto tra gli stimoli che provengono dall’interno e dall’esterno di ogni persona e questi stessi valori.

    Provocata da queste questioni, nel confronto con l’animazione, l’educazione alla fede ha maturato una ipotesi interessante: porre le risorse di cui dispone al servizio della definizione dell’identità personale nella prospettiva di una intensa capacità di spalancare la propria attesa di senso e di speranza nell’affidamento al mistero della vita (nel nome e per la potenza del Dio di Gesù).

    La situazione culturale diffusa mette in crisi proprio la possibilità di costruire identità stabili. Una identità priva di stabilità è però una contraddizione in termini, premessa pericolosa di una immaturità aperta a tutte le proposte. L’attenzione all’educazione mette sotto giudizio anche i modelli eccessivamente rigidi; li riconosce poco realistici e poco responsabilizzanti.

    L’educazione alla fede, che nel confronto con l’animazione ha ritrovato l’urgenza del problema, recupera, dal ricco repertorio dell’esperienza cristiana, la capacità di immaginare alternative interessanti. In esse, la stabilità non è cercata né nella reattività verso l’esistente né nella sicurezza che proviene dai principi solidi e stabili su cui si vuole costruire la propria esistenza. Non è però neppure rifiutata come alienante e impossibile, in una situazione di complessità e di eccesso incontrollato di proposte. Sta invece nel coraggio di consegnarsi ad un fondamento, che è soprattutto sperato, che sta oltre quello che posso costruire e sperimentare. Colui che vive, si comprende e si definisce quotidianamente in una reale esperienza di affidamento, accetta la debolezza della propria esistenza come limite invalicabile della propria umanità.

    Il fondamento sperato è la vita, progressivamente compresa nel mistero di Dio. Il gesto, fragile e rischioso, della sua accoglienza è una decisione giocata nell’avventura personale e tutta orientata verso un progetto già dato, che supera, giudica e orienta gli incerti passi dell’esistenza.

    Ricostruire persone capaci di affidamento significa, di conseguenza, ricostruire un tessuto di umanità. Ma significa anche radicare la condizione irrinunciabile per vivere una matura esperienza cristiana.

    Questa è infatti la vita cristiana: un abbandono nelle braccia di Dio, con l’atteggiamento del bambino che si affida all’amore della madre. In questo modo, nell’animazione e nell’educazione alla fede si è fatto spazio all’invocazione. Lo stesso dato antropologico viene compreso e sostenuto da punti di vista diversi e complementari. La convinzione di fondo è, però, unica: nell’invocazione (esperienza di affidamento ed esperienza di sostegno), l’uomo raggiunge il livello più alto di crescita in umanità ed è proteso, quasi in modo spontaneo, ad accogliere il contributo, gratuito e imprevedibile, della fede per la sua esistenza.

    Il coraggio di fare proposte

    L’animazione sottolinea con forza l’urgenza dell’offrire proposte, precise ed esplicite, per comunicare quel supplemento di senso che non può essere solo frutto di una restituzione della persona alla coscienza della sua dignità.

    L’educazione alla fede ritrova qui una sua dimensione qualificante e irrinunciabile.

    L’attenzione corre verso il «contenuto» della proposta e il modello comunicativo in cui realizzarla.

    Due prospettive interagiscono fino a determinare un prezioso elemento su cui verificare se e fino a che punto l’attenzione alla vita e alla sua qualità, dalla prospettiva dell’animazione, incide nei processi di educazione alla fede.

    Da una parte, la proposta di vita cristiana corre immediatamente verso l’attenzione e la verifica della qualità della vita quotidiana. Uno dei riflessi che dall’animazione ricade sui processi di educazione alla fede, consiste infatti nel riconoscimento che luogo privilegiato della proposta di esistenza cristiana è la qualità della vita: gli orientamenti che la esprimono, i valori in cui si concretizza, i modelli verso cui tende. Per questo, ogni evangelizzazione è chiamata a confrontarsi, in modo propositivo e critico, con la cultura dominante.

    Dall’altra, l’attenzione alla vita e il consolidamento della sua qualità porta alla necessità di collocare l’esperienza di Dio, il suo annuncio, l’incontro con il suo mistero anche nei segni della comunità ecclesiale, al centro della prassi pastorale. È possibile essere nella vita solo se ci si affida a Dio, riconoscendo la sua signoria su ogni esperienza quotidiana. Di qui la consapevolezza che nessun servizio alla vita, preoccupato della sua pienezza e del suo senso, può prescindere dal confronto e dall’incontro con il Dio della vita.

    L’attenzione verso il modello comunicativo

    Diventa sempre più urgente, soprattutto in una stagione come è la nostra, riconsegnare all’educatore e all’evangelizzatore il diritto e il dovere di proclamare, con gioia e autorevolezza, esigenze impegnative. La questione inquietante è quella del «come» realizzare questa responsabilità.

    L’animazione sollecita a superare la distinzione rigida tra contenuto e modello comunicativo per riconoscere che il contenuto si invera e si concretizza proprio nella qualità dell’atto comunicativo. Questa consapevolezza sollecita l’educazione alla fede, generalmente più attenta ai «contenuti» che ai metodi, a ripensare le esigenze reciproche in un modello comunicativo rinnovato. Uno dei frutti più belli del confronto tra educazione alla fede e animazione, maturato in questi anni, riguarda proprio l’ipotesi e la sperimentazione di un rinnovato modello comunicativo: l’utilizzazione dei modelli narrativi anche nei processi di trasmissione della fede.

    Basta ricordare il fatto e richiamare la logica. La letteratura, su questo tema, è davvero abbondante.


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