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    Il giubileo per una qualità nuova di vita quotidiana



    Riccardo Tonelli

    (NPG 2000-04-18)


    In questi giorni si parla moltissimo del Giubileo, del suo significato e degli impegni che comporta. Qualcuno, preoccupato di non svuotarne la sua proposta interiore, si lamenta per le eccessive manifestazioni esteriori. Qualche altro, invece, lo fa diventare un’occasione preziosa per tornare ai vecchi tempi in cui i cristiani non avevano paura di affermare una visibilità piena e riconosciuta.
    Documenti, tradizioni pastorali, interventi autorevoli ed esperienze di tanti cristiani suggeriscono comprensioni e realizzazioni molto belle e interessanti, capaci di restituire al Giubileo la sua forza di conversione e di responsabilità. Sarà saggio condurre a termine gli sforzi pastorali con la chiusura ufficiale del Giubileo o, invece, non ci potrebbe essere un Giubileo… da vita quotidiana?
    Questi rapidi cenni danno voce a temi, problemi e prospettive su cui, in questi mesi, abbiamo pensato molto. Il mio contributo ha una sola, modesta pretesa: offrire una riflessione, di respiro pastorale, per aprire un confronto e sollecitare verso scelte concrete.
    Lo faccio in tre momenti:
    – attraverso un tentativo di andare alle radici, ricordo come possiamo comprendere e proporre il Giubileo;
    – lancio poi una specie di «grande obiettivo» verso cui orientare gli impegni in quest’anno speciale;
    – suggerisco infine la traduzione dell’esperienza giubilare nell’esistenza di tutti i giorni, per non concludere l’evento con la chiusura della «porta santa».

    UN INVITO A COMPRENDERE IL GIUBILEO

    Mi è capitata un’esperienza che mi ha dato molto da pensare.
    Sono stato invitato a parlare del Giubileo agli alunni più grandi di una scuola cattolica, seria e molto ben organizzata. Ho utilizzato alcuni giochi di animazione per conoscere quello che era noto e condiviso. Ho scoperto che quel gruppo di giovani sapeva tantissime cose sul Giubileo: l’etimologia ebraica del nome, la sequenza dei tempi, le tradizioni più diffuse, persino le esigenze che il fatto lancia sui cristiani. Ho toccato con mano i segni dell’educazione e della formazione ricevuta… e ho costatato con gioia la sensibilità di questi giovani, capaci di essere saggiamente critici nei confronti di alcune esagerazioni ricorrenti….
    Una cosa, però, mi ha preoccupato molto: sapevano tutto del Giubileo… ma nessuno ha nemmeno nominato il nome di Gesù. Restava l’impressione che Gesù non c’entrava affatto con il Giubileo, con quello che ritorna a scadenze ricorrenti nella Chiesa e con quello che stiamo vivendo quest’anno, anniversario dell’Incarnazione.
    Possiamo ignorare tante cose sul Giubileo e la sua storia, ma non possiamo pensare, parlare, progettare sul Giubileo, senza fare riferimento esplicito e diretto a Gesù di Nazareth. Senza Gesù, la voglia di far festa trascura e ignora il festeggiato…
    Da questa esigenza nasce la mia proposta.

    La radice: Levitico 25

    Chi vuole comprendere il significato del Giubileo ha un riferimento obbligato: il cap. 25 del Levitico.
    Cito alcuni passaggi. Su essi aggiungo qualche riflessione, ripetendo cose che in questi giorni abbiamo pronunciato tantissime volte.

    Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia.
    Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate.
    Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi.
    In quest’anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo.
    Quando vendete qualche cosa al vostro prossimo o quando acquistate qualche cosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello.
    Regolerai l’acquisto che farai dal tuo prossimo in base al numero degli anni trascorsi dopo l’ultimo giubileo: egli venderà a te in base agli anni di rendita.
    Quanti più anni resteranno, tanto più aumenterai il prezzo; quanto minore sarà il tempo, tanto più ribasserai il prezzo; perché egli ti vende la somma dei raccolti.
    Nessuno di voi danneggi il fratello, ma temete il vostro Dio, poiché io sono il Signore vostro Dio. […]
    Io sono il Signore vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d’Egitto, per darvi il paese di Canaan, per essere il vostro Dio.
    Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo;
    sia presso di te come un bracciante, come un inquilino. Ti servirà fino all’anno del giubileo;
    allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri.
    Poiché essi sono miei servi, che io ho fatto uscire dal paese d’Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi.
    Non lo tratterai con asprezza, ma temerai il tuo Dio.
    […] Resterà presso di lui come un bracciante preso a servizio anno per anno; il padrone non dovrà trattarlo con asprezza sotto i suoi occhi.
    Se non è riscattato in alcuno di quei modi, se ne andrà libero l’anno del giubileo: lui con i suoi figli.
    Poiché gli Israeliti sono miei servi; miei servi, che ho fatto uscire dal paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio.

    Dio ha creato il mondo e l’uomo con un progetto preciso davanti. Lo ricordano continuamente i primi libri della Bibbia. Lo sottolineano con forza i profeti. Purtroppo l’uomo ha rovinato tutto, riducendo il progetto di Dio alle tristi realizzazioni del nostro egoismo. Dio non si è arreso. Al contrario, ha rimesso le cose apposto, ripetutamente.
    L’evento più significativo è la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù d’Egitto e il suo ritorno nella terra dei padri.
    A questo progetto e alla sua espressione più concreta (l’esodo) Dio fa riferimento per invitare ad azioni conseguenti. Stabilisce un anno speciale, con una ricorrenza periodica, per ordinare al suo popolo l’impegno di rimettere le cose a posto. Il Giubileo è l’occasione propizia e il tempo favorevole per rimettere le cose a posto, secondo il progetto di Dio.
    Le direzioni sono tanto significative e urgenti, che arrivano fino a noi, come impegno solenne e pubblico del Giubileo:
    – costruire rapporti nuovi con le persone, segnati da amore, rispetto e giustizia;
    – cancellare il debito, che qualcuno è stato costretto a contrarre per sopravvivere;
    – far riposare la terra, in un’anticipazione di quella sensibilità ecologica cui siamo oggi tanto attenti.
    In base a questo testo, davvero fondamentale, possiamo ritrovare il significato e l’obiettivo del Giubileo.

    Gesù: «Io sono il grande Giubileo»

    Il riferimento a Lv 25 è importante. Ma non è sufficiente.
    Dalla prospettiva di questo documento, il Giubileo è ancora «una cosa da fare»: un insieme di compiti da realizzare. Nessuno mette in discussione la loro importanza e la loro urgenza. Ridurre il Giubileo all’impegno di fare delle cose, quelle ricordate e tante altre che possiamo aggiungere, mi sembra poco… tanto poco da correre il rischio di ridurre l’esperienza giubilare ad un invito etico. L’abbiamo fatto purtroppo per tutto il Vangelo… ed è tempo di correre ai ripari, prendendo sul serio l’esperienza di Gesù di Nazareth.
    Invito a meditare un altro testo: il capitolo 4 del Vangelo di Luca. Siamo all’inizio della predicazione di Gesù. Stando ai testi evangelici (Mt 13, 53-58; Mc 6, 1-6), questo è il primo atto pubblico di Gesù.

    Poi Gesù ritornò in Galilea e la potenza dello Spirito Santo era con lui. In tutta quella regione si parlava di lui.
    Egli insegnava nelle sinagoghe degli Ebrei, e tutti lo lodavano.
    Poi Gesù andò a Nàzaret, il villaggio nel quale era cresciuto. Era sabato, il giorno del riposo. Come al solito Gesù entrò nella sinagoga e si alzò per fare la lettura della Bibbia.
    Gli diedero il libro del profeta Isaia ed egli, aprendolo, trovò questa profezia:
    Il Signore ha mandato
    il suo Spirito su di me.
    Egli mi ha scelto
    per portare il lieto messaggio ai poveri.
    Mi ha mandato per proclamare
    la liberazione ai prigionieri
    e il dono della vista ai ciechi,
    per liberare gli oppressi,
    per annunziare il tempo
    nel quale il Signore sarà favorevole.
    Quando ebbe finito di leggere, Gesù chiuse il libro, lo restituì all’inserviente e si sedette. La gente che era nella sinagoga teneva gli occhi fissi su Gesù.
    Allora egli cominciò a dire: «Oggi si avvera per voi che mi ascoltate questa profezia».

    Molto stretto è il rapporto tra gli impegni che Lv 25 consegna al popolo ebraico e la promessa di Isaia, cui fa riferimento Gesù. Il profeta assicura che, un giorno, sarà finalmente compiuto quello che il popolo avrebbe dovuto impegnarsi a costruire nella storia, per portare ad esecuzione il progetto di Dio. Purtroppo, troppo spesso l’impegno è rimasto nei cassetti dei sogni; persino il comando di fare Giubileo non è stato quasi mai preso sul serio. Sono frequenti, infatti, i rimproveri dei profeti per la mancata osservanza del Giubileo. Le cose cambiano non perché il popolo ebraico aumenta l’indice della sua buona volontà. Cambiano perché Dio decide di intervenire direttamente attraverso Gesù.
    Gesù si presenta con una dichiarazione solenne che lascia stupiti i suoi ascoltatori. In lui la promessa del profeta si è realizzata. È iniziato in lui il tempo della vicinanza di Dio. Egli, perciò, dichiara di essere lui stesso il grande Giubileo: il sogno fatto realtà, il compito finalmente eseguito a puntino.
    L’affermazione di Gesù modifica, di conseguenza, la prospettiva da cui guardare le cose.
    Lv 25 dava dei compiti, belli finché si vuole, ma sempre impegnativi. Purtroppo, il popolo ebraico non li ha mai realizzati completamente. Molto spesso, il richiamo al Giubileo è diventato occasione di rimprovero e di chiamata a fedeltà.
    Gesù capovolge le cose. Tutto quello che andava fatto è stato compiuto in lui. Dio non dà compiti, ma porta a compimento. Gesù è il segno delle cose grandi e insperate, che Dio ha compiuto nel suo amore. Sembra dire, con la voce del profeta: «Ecco, io ho fatto una cosa nuova… dovete accorgervene, costatarla e gioirne». Per questo, in Gesù, l’annuncio del Giubileo è una gran bella notizia.
    Il Giubileo del 2000 è totalmente centrato su Gesù. Non solo perché ricordiamo una specie di suo… compleanno: 2000 anni portati bene. Lo è soprattutto perché la sua proclamazione è fondamentalmente un annuncio gioioso: Dio ha impresso in Gesù il Signore una dimensione nuova nella storia personale e collettiva.
    Il sogno si è realizzato. Dio ha deciso di intervenire, nella grazia della sua persona, per portare a compimento il suo progetto. Non dipende da quello che noi possiamo fare… è troppo grande il rischio di lasciare le cose a metà o di pasticciare anche le cose più belle. Adesso fa lui tutto e consegna a ciascuno di noi il suo progetto, portato definitivamente a compimento.
    Certamente nessuno può restare con le mani in mano. Il progetto di Dio è ormai un fatto nella nostra storia, personale e collettiva; dobbiamo, di conseguenza, vivere secondo questa logica nuova. I compiti del Giubileo ritornano tutti, con pressante urgenza. Non si tratta però di «cose da fare», ma di un’esperienza felice da costatare e da trasformare in stile quotidiano di esistenza.

    Il Giubileo, un avvenimento dei cristiani per la speranza di tutti

    In questi mesi una polemica ha infiammato i cuori di molte persone, soprattutto dei più sensibili sul piano ecumenico: l’orizzonte di coinvolgimento del Giubileo.
    Qualcuno dice: il Giubileo è un fatto di tutti. I cristiani non hanno nessun diritto al monopolio. Se è di tutti, nessuno può imporre agli altri i propri modelli, i tempi e i modi di realizzazione, le spese, l’afflusso di presenze e i disagi connessi… e persino le ore di diretta in TV. Le conclusioni sono facili e scontate: tutto va concordato. Se poi, com’è evidente, non si riesce a concordare, si deve avere la correttezza di non strafare.
    Da questa consapevolezza ai brontolamenti e alle critiche, il passo è rapidissimo.
    La meditazione dei testi suggeriti sollecita a vedere le cose in un modo assai diverso.
    Il Giubileo, visto dalla parte di Gesù, riguarda fondamentalmente i discepoli di Gesù e, in modo speciale, la comunità ecclesiale, che li raccoglie in forme istituzionali. Potrebbe riguardare anche le altre confessioni cristiane… ma non può essere sottratto ad alcuno quello che riguarda tutti, solo perché qualche gruppo preferisce restarne estraneo.
    Quello che Gesù affida ai suoi discepoli è, sempre, un dono per la vita e la speranza di tutti. Per questo il Giubileo è un’occasione favorevole (un tempo di grazia) per sognare, progettare e realizzare forme nuove di esistenza concreta, capaci di far sperimentare a tutti il progetto di vita nuova che Gesù ha portato. Il Giubileo serve dunque ai cristiani per pensare sogni grandi, per poi consolidarne una realizzazione progressiva nel tempo dell’esistenza quotidiana, per la vita e la speranza di tutti.

    UNA PROPOSTA GLOBALE

    Vivere il Giubileo dalla parte di Gesù significa scoprirlo come una bella notizia per la nostra vita e la nostra speranza. Non possiamo però dimenticare l’impegno e la responsabilità che ha origine da questa scoperta.
    Impegni e responsabilità vanno espressi in suggerimenti operativi. Tutto questo però non dipende solo dall’evento giubilare. La concretizzazione è anche legata ai modelli culturali, alle urgenze dell’ambiente in cui si opera e alla sensibilità personale. Per questo, non ho nessun’intenzione di offrire indicazioni troppo precise. Metto in risalto solo alcune grandi direzioni di marcia: una specie di obiettivo globale «alto», su cui verificare le scelte operate e i suggerimenti che ci sono offerti.
    Tre elementi caratterizzano, nella mia proposta, un modo serio di vivere il Giubileo:
    – la capacità di leggere dentro la realtà, per non lasciarsi sedurre dal fascino del superficiale;
    – la riformulazione nella cultura attuale degli impegni giubilari tradizionali (pellegrinaggi, preghiere speciali, «far riposare la natura», indulgenze…);
    – un’organizzazione, sintetica e globale, dei diversi impegni: vivere nella riconciliazione.

    Allenarsi all’interiorità

    La prima direzione di rinnovamento la considero obbligatoria e pregiudiziale. Se il Giubileo consistesse in cose da fare, vivere il Giubileo per la vita quotidiana significherebbe mettercela tutta per realizzare questi compiti. Se invece, come credo, il Giubileo è il tempo favorevole per scoprire quello che è già capitato nella nostra esistenza, per vivere la vita quotidiana nella sua logica diventa urgente abilitarsi a questa responsabilità.
    Una espressione, ricordata spesso, denota questo stile nuovo di esistenza: l’interiorità. Interiorità dice spazio personale, dove tutte le voci possono risuonare, ma dove ciascuno si trova a dover decidere, solo e povero, privo di tutte le sicurezze che danno conforto nella sofferenza che ogni decisione esige. Il confronto e il dialogo serrato con tutti sono ricercati, come dono prezioso che proviene dalla diversità. La decisione e la ricostruzione di personalità nascono però in uno spazio di solitudine interiore, che permette e verifica la ricerca di verità.
    Il Giubileo è un anno di grazia se diventa un tempo speciale d’interiorità. Allenati dall’anno giubilare, diventiamo capaci di leggere persone e avvenimenti dal mistero che si portano dentro.
    Due qualità caratterizzano quest’impegno:
    – una voglia forte di verità e di autenticità, contro ogni esteriorità, consapevoli che la scoperta della presenza misteriosa e operosa del Dio di Gesù, impegnato a portare a compimento il suo progetto di salvezza, è condizione per una lettura «vera»;
    – una capacità di ritagliare tempi di riflessione e di silenzio, nel ritmo frenetico delle nostre giornate. Le diverse iniziative tipiche dell’anno giubilare (il pellegrinaggio, per esempio) possono diventare una specie di esercizio al rallentatore per ritrovare il gusto e la voglia d’interiorità.

    Riformulare nella cultura attuale gli impegni del Giubileo

    Il secondo compito, cui il Giubileo ci chiama, l’ho intitolato con un’espressione che evoca temi su cui la ricerca pastorale è oggi molta attenta.
    La scoperta della novità di salvezza che riempie la storia personale e collettiva, spinge i discepoli di Gesù ad uno stile nuovo di esistenza: una nuova qualità di vita. Il Giubileo dovrebbe lasciare il segno: non solo strade rinnovate e facciate riabbellite… ma soprattutto qualcosa di nuovo sul piano delle relazioni interpersonali e sociali. Ritorna, a questo proposito, l’invito di Lv 25 e di tutta la tradizione ecclesiale di questi secoli.
    Il Giubileo è anche messa in opera di una cultura (orientamenti e stili di vita) nuova e di strutture adeguate. Dobbiamo chiederci quali e in che direzione. La ricerca non nasce dal nulla. Abbiamo preziose indicazioni alle spalle. Non le possiamo però riportare di peso nel ritmo della nostra esistenza attuale. Le dobbiamo invece riformulare, recuperando il suggerimento profetico, liberato dai modelli culturali che l’hanno rivestito.
    Questo compito dovrebbe impegnare singoli e comunità, scatenando un coraggioso processo d’invenzione.
    Faccio un paio di esempi, solo per dire in concreto cosa mi sta a cuore e in che direzione possiamo metterci a progettare. Gli esempi hanno solo una funzione… provocatoria. Ogni persona e ogni gruppo, impegnati a vivere il Giubileo, sono sollecitati a riformulare e ad inventare.

    Il pellegrinaggio

    Penso, prima di tutto, al «pellegrinaggio», un’esperienza fondamentale del Giubileo. Le grandi strade dei pellegrini (verso Roma, Santiago di Compostela, Gerusalemme, San Michele sul Gargano… per non citare che gli itinerari più famosi) sono diventate motivi di rinnovamento anche politico. Sul loro tracciato, l’Europa cristiana ha costruito una rete interessantissima d’istituzioni caritative.
    Oggi il pellegrinaggio è fatto di spostamenti rapidi (treno, aereo, pullman): dal terminal all’albergo, una rapida visita alle basiliche, qualche museo da non perdere, un po’ di shopping per riempire la valigia di ricordi…
    Molti verranno a Roma, per visitare le Basiliche. A Roma, si può arrivare dalla Stazione Termini a San Pietro o a Santa Maria Maggiore percorrendo le strade ripulite e agghindate per il Giubileo. Ci si può arrivare anche zigzagando per i quartieri che circondano Termini e le Basiliche… con un’impressione e una provocazione molto diversa. Il pellegrinaggio diventa contatto con la povertà e con il disagio, stimolazione a pensare e a rendere concreto l’invito a gesti di liberazione dello schiavo e di cancellazione del debito dei paesi poveri.
    Certo, gli organizzatori turistici hanno i loro piani. Perché non immaginarne di alternativi?

    Rispetto della natura

    Un secondo esempio lo ricavo da quell’invito a «far riposare» la terra, verso cui ci sollecita il testo del Levitico.
    Oggi siamo molti sensibili ai problemi ecologici. Certo, «far riposare la terra» significa prendere sul serio le urgenze più mature della sensibilità ecologica. Ripensare questa preoccupazione giubilare nella cultura attuale potrebbe significare almeno tre cose, in quella logica di qualità nuova di vita che rappresenta un obiettivo concreto del Giubileo. Prima di tutto, va ritrovata la motivazione profonda. Lv 25 e tutta la tradizione biblica lo dichiara senza mezzi termini: la terra è di Dio. È interessante che questa affermazione non comporta la decisione su un uso indiscriminato e autoritario, come siamo abituati a fare noi con le cose che ci appartengono. Se la terra è di Dio, tutti hanno il diritto di goderne i frutti. Sembra quasi di riudire l’eco della grande confessione di fede di Giovanni: «L’amore vero è questo: non l’amore che abbiamo avuto verso Dio, ma l’amore che Dio ha avuto per noi; il quale ha mandato Gesù suo Figlio, per farci avere il perdono dei nostri peccati. Miei cari, se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1 Gv 4-10-11).
    La prospettiva decisiva è dunque quella della solidarietà verso tutti: il rispetto alla natura nasce dalla constatazione che le cose sono di tutti perché appartengono a Dio, che le condivide con tutti. Trattare bene la natura è condizione per permettere a tutti – e soprattutto ai più poveri, come singoli e come popoli – l’utilizzazione dei beni che la natura offre a piene mani.
    La condizione è molto precisa: solo condividendo possiamo possedere tutti in modo pieno. L’invito non si traduce in rinuncia. Chi è signore delle cose, gode di esse e non se ne priva. Godere delle cose non significa però trattarle come un bambino bizzoso tratta i suoi giocattoli. Godere è rispettare e condividere. L’ecologia (= il far riposare la terra) diventa, di conseguenza, povertà: condivisione per una solidarietà piena e universale.

    Una proposta di sintesi: vivere nella riconciliazione

    Il Giubileo sollecita i discepoli di Gesù a progettare e a realizzare una qualità nuova di vita, capace di esprimere, nel ritmo della vita quotidiana, quello che abbiamo scoperto nella esistenza personale e collettiva, letta dalla parte del mistero che si porta dentro.
    Possiamo dire questa esigenza attraverso espressioni diverse. L’invito alla conversione, il riconoscimento coraggioso del proprio peccato, la ricostruzione della comunione interpersonale, frutto dell’accoglienza gioiosa della comunione che Dio ci offre… sono tutte modalità espressive simili, su cui il consenso è certamente ampio.
    Le difficoltà incominciano… quando si cerca di concretizzare e di realizzare questa esigenza irrinunciabile. Non manca mai il rischio di lasciarci condizionare eccessivamente dalle logiche dominanti e di progettare una qualità nuova di vita all’insegna del buon senso. Chi fa progetti, poi, sa di doversi compromettere in prima persona… per questo cerca di giocare al risparmio, evitando tutte le proposte che possano scomodare eccessivamente la tranquillità personale e l’ordine costituito.
    Sono convinto che il Giubileo è davvero tempo di grazia perché non ci permette progetti a bassa quota. La scoperta della novità scaturita nella pasqua di Gesù sollecita i suoi discepoli al coraggio dell’invenzione e dell’affidamento.
    Con alcuni amici ho provato a pensare ad un obiettivo alto, capace di rappresentare una sintesi operativa di quella qualità di vita cui il Giubileo ci sollecita. Non abbiamo faticato eccessivamente per rispondere all’interrogativo che ci premeva dentro. Molte voci hanno orientato la nostra ricerca: suggerimenti autorevoli, da una parte, urgenze inquietanti, dall’altra.
    Ecco dunque la proposta: il tempo del Giubileo può essere un tempo di grazia per vivere una intensa esperienza di riconciliazione con se stessi, con le cose, con gli altri, con Dio. Come? La storia di Zaccheo ci indica le direzioni di cammino. Ascoltiamola, prima di tutto:
    Poi Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando.
    Qui viveva un certo Zaccheo. Era un capo degli agenti delle tasse ed era molto ricco.
    Desiderava però vedere chi fosse Gesù, ma non ci riusciva: c’era troppa gente attorno a Gesù e lui era troppo piccolo.
    Allora corse un po’ avanti e si arrampicò sopra un albero in un punto dove Gesù doveva passare: sperava così di poterlo vedere.
    Quando arrivò in quel punto, Gesù guardò in alto e disse a Zaccheo: «Scendi in fretta, perché oggi devo fermarmi a casa tua!».
    Zaccheo scese subito dall’albero e con grande gioia accolse Gesù in casa sua.
    I presenti vedendo queste cose si misero a mormorare contro Gesù. Dicevano: «È andato ad alloggiare da uno strozzino».
    Zaccheo invece, stando davanti al Signore, gli disse: «Signore, la metà dei miei beni la do ai poveri e se ho rubato a qualcuno gli rendo quel che gli ho preso quattro volte tanto».
    Allora Gesù disse a Zaccheo: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa. Anche tu sei un discendente di Abramo. Ora il Figlio dell’uomo è venuto proprio a cercare e a salvare quelli che erano perduti» (Lc 19, 1-10).
    La meditazione della storia di Zaccheo, anche nella redazione essenziale offerta da Luca, mette in evidenza almeno cinque tratti concreti per vivere l’esperienza della riconciliazione:
    – Zaccheo ha tutto ciò che può desiderare. Non gli mancano i nemici… ma per essi conosce il rimedio. Non ha nessuna voglia di cambiare vita. Eppure, appena viene a sapere che da Gerico doveva passare Gesù, gli nasce dentro un desiderio di incontrarlo, almeno di vederlo. Oscilla tra la nostalgia e la curiosità. Non è un atteggiamento di alto profilo. Ma è sufficiente, anche perché è sincero.
    – Per vedere Gesù Zaccheo rinuncia al buon senso e alle logiche ricorrenti: si arrampica su un albero, lui, piccolo di statura, vecchietto ormai, con tanti nemici e con un gruzzolo di quattrini tale da permettergli qualsiasi altra alternativa. Alla voglia di qualcosa di diverso, risponde con la disponibilità a perdere un poco la faccia.
    – Nessuno si accorge di Zaccheo… eccetto Gesù. Lo scopre nonostante che il nascondiglio fosse a prova di sguardo. Lo riconosce e lo chiama per nome.
    Allarga il cuore alla gioia la constatazione che è proprio vero che Dio ci conosce per nome, prima ancora che i nostri genitori ce ne dessero uno. Alla nostalgia la risposta è l’incontro personale.
    – Gesù poteva sgridare Zaccheo. Ne aveva tanti motivi… e lui non aveva nessuna paura di chiamare per nome quello che meritava rimproveri. Basta pensare al rapporto con i farisei e con i maestri della legge.
    Invece con Zaccheo il rapporto è diversissimo: si fa invitare a cena. Anche Gesù perde un poco la faccia per accogliere Zaccheo.
    Corre il rischio di lasciare le cose come stavano prima e di scatenare i brontolamenti dei ben pensanti. Questa però è la logica della riconciliazione: l’abbraccio del padre al figlio che torna, per restituire al figlio la consapevolezza di possedere una dignità tanto grande che nessuna devastazione può distruggere.
    – Zaccheo sta pienamente al gioco. Riconosce che se Gesù si è proposto come ospite nella sua vita, lui lo può accogliere. Restituito alla gioia di convivere con se stesso, avverte urgente la responsabilità di rimettere le cose a posto. Non può essere meschino. Non si accontenta di ripulire e di riordinare.
    Gli sarebbe costato poco e magari avrebbe accontentato tutti. Ma questa non è la riconciliazione che Gesù propone a nome di Dio. Zaccheo esagera: quattro volte tanto. La riconciliazione è autentica quando le cose sono rimesse a posto, in modo follemente esagerato.
    Possiamo provarci, tutti assieme, noi che abbiamo vissuto con gioia l’esperienza del Giubileo?

    PER FAR CONTINUARE IL GIUBILEO NELLA VITA QUOTIDIANA

    Il Giubileo, come tutti i grandi avvenimenti dell’esperienza cristiana, non è un evento a tempo: inizia, si conclude… e poi tutto torna come prima. Per il Giubileo, come per ogni celebrazione eucaristica (l’evento di grazia che richiama più da vicino il Giubileo), l’invito «la messa è finita» rimanda alla vita quotidiana, da riempire dello stile di esistenza, anticipato e sperimentato nella celebrazione.
    Mi piace dire questa preoccupazione attraverso un’icona, che ha fatto una certa fortuna con gruppi di giovani: il gioco della porta. L’inizio e la fine del Giubileo sono segnati dall’apertura e chiusura della porta santa. Perché non aggiungere una variabile: si apre verso l’interno, poi si chiude verso l’interno, in fine si riapre verso l’esterno?
    Fuori metafora, considero decisivo prolungare l’esperienza giubilare verso la vita quotidiana, per riempirla di quello che abbiamo sperimentato nel tempo del Giubileo.
    Ricordo rapidissimamente alcune dimensioni di questo processo.

    Un momento di Giubileo ogni giorno

    Il ritmo delle nostre giornate può diventare simile a quello che il Giubileo rappresenta nella grande esperienza cristiana ed ecclesiale: un tempo forte per abilitarci a vivere in modo rinnovato la vita quotidiana, nel suo ritmo feriale.
    Abbiamo bisogno di tempi forti, per non insabbiare tutti i nostri progetti nelle trame complesse della quotidianità. Ma non possiamo vivere di soli tempi forti. Soprattutto va decisa la gerarchia d’importanza: il tempo forte per il tempo quotidiano o viceversa?
    Alcuni modelli di vita cristiana preferiscono la seconda ipotesi: la quotidianità è attesa e banco di prova del tempo forte, quello che conta davvero e che ci piacerebbe far durare fino a farlo coincidere con la totalità dell’esistenza.
    La mia proposta è tutta il contrario: quello che conta è il ritmo del quotidiano. Per vivere bene il quotidiano, abbiamo bisogno di tempi forti. Nel quotidiano ci giochiamo: per verificare e progettare, consolidare la speranza e ripartire, ritrovare direzioni e sollecitazioni di coraggio e di futuro.
    Possiamo organizzare le nostre giornate, ritagliando in esse un frammento quotidiano di Giubileo? Ne abbiamo tanti… basta farli funzionare: le lunghe attese di un mezzo pubblico, il silenzio di qualche frammento di giornata, l’attesa cui siamo costretti mentre ci mettiamo in fila per il nostro turno…

    La riscoperta di se stesso

    Il Giubileo ci restituisce il volto più autentico di noi stessi: viviamo in Dio, siamo creature nuove per il dono della sua presenza, la storia ha futuro perché è nelle mani di Dio.
    Lo scopriamo ogni giorno, contro ogni tentazione di disperazione o di autosufficienza. Per questo, lo manifestiamo nei piccoli concreti gesti della nostra vita quotidiana.
    Chi ha scoperto la presenza operosa di Dio nella propria vita concreta, scopre la gioia di buttarsi con fiducia, egualmente operosa, nel suo abbraccio accogliente.
    Siamo nella verità, quando diventiamo persone capaci di vivere nell’affidamento. Viviamo nell’affidamento quando accettiamo la debolezza della nostra esistenza come limite invalicabile della nostra umanità. Il fondamento sperato è la vita, progressivamente compresa nel mistero di Dio. Il gesto, fragile e rischioso, della sua accoglienza è una decisione giocata nell’avventura personale e tutta orientata verso un progetto già dato, che supera, giudica e orienta gli incerti passi dell’esistenza.

    Un’autentica esperienza religiosa

    Il Giubileo è tempo di grazia perché ci aiuta a verificare la qualità del nostro rapporto con Dio. L’esperienza vissuta in modo concentrato nei gesti speciali compiuti durante il Giubileo, diventa modo di essere, diffuso nel ritmo della nostra vita quotidiana.
    Due cose desidero sottolineare: la qualità e la condizione per un’autentica esperienza religiosa.
    Come sappiamo, esperienza religiosa è l’insieme dei comportamenti (a prevalente natura «rituale») e degli atteggiamenti con cui una persona vive, in termini sufficientemente riflessi, la consapevolezza che ciò che dà senso alla vita e consistenza alla speranza è collocato «oltre» la propria esistenza, un dono sperato e almeno inizialmente sperimentato. Nasce all’interno del proprio mondo soggettivo, perché si tratta di sperimentare un fondamento alla propria esistenza e alle esigenze (per esempio di natura etica) che l’attraversano. Si sporge però oltre la propria soggettività, perché si è sperimentato quanto sia insufficiente fondare senso e responsabilità solo all’interno del proprio quotidiano vissuto. Viviamo da cristiani quest’esperienza religiosa, quando chiamiamo per nome il fondamento della nostra speranza, attraverso il riferimento esplicito al Dio di Gesù, che incontriamo nella comunità ecclesiale.
    Moltissimi giovani riconoscono l’importanza della dimensione religiosa della loro vita. Lo confermano i fatti e le ricerche. Spesso, però, si tratta di qualcosa di vago, molto esteriore, sostenuto dall’appartenenza ad un gruppo o dal giro degli amici.
    Scatta come decisivo nei momenti di necessità e resta in secondo piano quando invece abbiamo l’impressione di bastare da soli. Vivere un’autentica esperienza religiosa richiede, invece, la fatica di portare a compimento questo momento iniziale.
    Il Giubileo ci offre un’occasione favorevole per verificare e consolidare quest’esperienza. Si tratta di preparare intensamente i gesti che poniamo, cercando il significato più profondo e autentico, nel mistero di Dio che incontriamo nel volto e nella parola di Gesù. Compiuti i gesti, li dobbiamo interiorizzare, per raccogliere il messaggio in essi contenuto e verificare su essi la qualità religiosa della nostra vita quotidiana.
    La conclusione non può essere… la nostalgia dell’avventura affascinante vissuta, ma la decisione di porre Dio al centro della nostra esistenza, accogliendolo come mistero grande e santo, riconoscendolo un padre cui affidarsi «da figli», «adorandolo» nei gesti e nelle parole attraverso cui ci riferiamo a lui.

    Una relazione nuova verso gli altri

    La scoperta di noi stessi e la ricostruzione di una matura e intensa esperienza religiosa si traducono immediatamente in uno stile rinnovato di relazione con gli altri.
    Sottolineo solo tre atteggiamenti, tra i tanti possibili, per tradurre in gesti concreti una delle esigenze più impegnative del Giubileo (la liberazione degli schiavi e la cancellazione dei debiti):
    – riconoscimento della dignità di ogni persona, nel suo nome e non per i titoli di cui si circonda (e… sono molti nella nostra situazione culturale: vanno dalla bellezza e dalla capacità in alcuni settori ai titoli altisonanti che facciamo precedere al nome nei nostri biglietti da visita);
    – accoglienza della differenza, scoprendola un dono che reciprocamente ci scambiamo, sollecitandola e sostenendola, per attivare un confronto pienamente e reciprocamente arricchente;
    – restituzione agli altri di quanto abbiamo loro sottratto (a livello personale e collettivo…), con quell’esuberanza di cui ho parlato, facendo riferimento alla storia di Zaccheo.

    Alla ricerca di alternative anche sul piano istituzionale

    Il Giubileo sollecita a mostrare con i fatti la scoperta della novità introdotta nella storia dalla pasqua di Gesù. Non si tratta, come ho ripetutamente sottolineato, di compiere gesti per vivere il Giubileo, ma di mostrare con i gesti la scoperta gioiosa del dono che c’è stato fatto.
    Questi gesti sono, certamente, fatti personali. E ne ho ricordati alcuni nelle righe precedenti. La dimensione pubblica e istituzionale della nostra esistenza chiede anche l’invenzione di gesti da Giubileo nella vita sociale e politica.
    Solo nell’invenzione di alternative concrete, la proposta della qualità nuova di vita resta una possibilità reale, alla portata di tutti. Il confronto con gruppi di giovani ha permesso di immaginare qualche esempio in proposito. Lo ricordo:
    – commercio equo e solidale;
    – banca etica;
    – attività nonprofit;
    – passione per la pace e ricerca di strategie per costruirla.
    Dette così le cose, possono restare solo espressioni vaghe per chi non è addetto ai lavori. La concretizzazione può avvenire in tanti modi: attivando un confronto con qualche esperto, studiando la letteratura e le esperienze relative, «navigando» un po’ in internet per scoprire quante cose si stanno già facendo in proposito e gli indirizzi cui fare riferimento, persino sotto casa propria.


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