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    L’attenzione alla politica come espressione simbolica della qualità della vita


    Riccardo Tonelli

    (NPG 2009-02-32)


    In genere, quando si parla di giovani, è ormai una esigenza irrinunciabile introdurre delle distinzioni. Non esiste infatti una categoria unica e omogenea che possa corrispondere alla categoria «i giovani di oggi». L’universo giovanile è frammentato in mille differenti tipologie concrete. Questo lo sappiamo molto bene. Ma è necessario ricordarcelo soprattutto quando si affronta un argomento come quello su cui siamo invitati a pensare: i giovani e la politica.
    Le rapide riflessioni che vorrei sottoporre all’attenzione del lettore, riguardano di conseguenza alcune linee di tendenza che credo sia possibile cogliere come le più generali. Soprattutto, per l’angolo di prospettiva in cui mi colloco, queste riflessioni vorrebbero riferirsi fondamentalmente a possibili interventi a carattere educativo, per ricostruire, in qualche modo, quel rapporto intenso tra giovani e politica che sembrava una delle conquiste più decisive degli anni caldi della contestazione giovanile. Proprio perché si tratta di linee di tendenza, posso restare abbastanza sul generico, pensando a quei giovani più attenti e più sensibili che sembrano disposti a reagire in modo maturo, quando sono riconosciuti con amore, scelti gioiosamente come compagni di un viaggio che riguarda allo stesso titolo veramente tutti.
    Alla premessa che riguarda il soggetto ne va aggiunta una seconda che riguarda l’oggetto della riflessione: a che cosa penso quando parlo di politica. Solo all’interno di queste due premesse, le poche cose che vorrei condividere possono acquisire un senso.
    Noi siamo cresciuti all’interno di modelli culturali che riconoscevano nella politica uno dei tanti ambiti in cui si poteva distendere il rapporto tra le persone, le istituzioni, il potere, la cultura. La rivoluzione culturale della fine degli anni ‘60 ha riconquistato una concezione globale alla politica. La formula che correva sulla bocca di tante persone era: «La politica è tutto. Tutto è politica». In questo modo di vedere le cose alla politica si consegnava una dimensione totale dell’esistenza personale. Persino nell’esperienza cristiana e nei processi relativi all’educazione alla fede, questa visione globale di politica ha pesato e non poco.
    Come capita a spesso, ad una reazione ne succede una contraria. Io credo che oggi a questa visione totale di politica si vada progressivamente sostituendo una visione più parziale, più simile a quella dominante negli anni che hanno preceduto la contestazione giovanile. In fondo, siamo portati a pensare che la politica riguarda solo la gestione del potere, e non sempre in modo trasparente.
    Ho fatto questa distinzione, ricordando cose che ciascuno di noi conosce molto bene, perché a me sta a cuore avanzare un’ipotesi differente, leggermente alternativa a quelle appena ricordate, su cui vorrei lavorare un momento per suggerire il mio punto di prospettiva.

    Un sistema simbolico espressivo della qualità della vita

    Propongo di utilizzare tutto quello che il termine politica è in grado di evocare come sistema simbolico privilegiato per interpretare e riprogettare una qualità di vita. E mi spiego. Ci sono dei temi che hanno la funzione di generare visioni molto più ampie di quelle che apparentemente il termine stesso è in grado di ricordare. Uno dei casi più facili è «amore». Amore ha una sua significanza molto precisa e concreta. Nell’ambito educativo e pastorale diventa facile fare riferimento ad esso per indicare uno stile generale di esistenza. Amore diventa di conseguenza un tema generatore di una qualità globale di vita. La persona si autocomprende e si qualifica, di fronte a se stessa e di fronte agli altri, sul come essa si atteggia nei confronti di tutto quello che la parola amore è in grado di evocare.
    Vengo al concreto, fuori dall’esempio.
    Il riferimento alla politica può essere compreso in termini più generali. L’accoglienza entusiastica, il rifiuto precostituito, le eccessive distinzioni, i modelli ricorrenti di scelte, lo stile di gestire il rapporto con le il potere e le istituzioni e quindi la politica, rappresentano un modo di dire a se stessi e agli altri chi sono, come riconosco il senso della mia esistenza, come intendo crescere e maturare nella globalità della mia vita, da cittadino e da cristiano.
    Per questa ragione sono convinto che l’analisi dell’atteggiamento dei giovani nei confronti della politica possa rappresentare veramente un sistema simbolico particolarmente espressivo per individuare come essi mediamente si collocano all’interno delle relazioni interpersonali e sociali.
    L’attenzione alla politica, il suo rifiuto, l’educazione a un’attenzione alla politica, la rassegnazione di fronte al rifiuto... possono rappresentare non solo uno stile globale di esistenza, ma soprattutto indicano i modelli educativi in cui i giovani si riconoscono e si esprimono. Di conseguenza tutto quello che riusciamo a fare nell’ambito della politica, intesa, come ho appena detto, come sistema simbolico globale di qualità di vita, rappresenta un indicatore prezioso per definire i processi educativi e, con la stessa intensità, i processi relativi all’educazione alla fede.
    In questo momento non mi preoccupo di constatare quale atteggiamento abbiano i giovani nei confronti del fatto politico oggi. La constatazione è certamente importante. Ma non può mai diventare un atto educativo conclusivo. Quello che constato è sempre in qualche modo una premessa e una sfida per chiunque creda che l’educazione non è la radiografia degli atteggiamenti esistenti ma comporta l’impegno condiviso e sofferto di operare trasformazione dell’esistente verso una realtà più grande, sognata come livello più maturo di qualità di vita.
    Di fronte alle ripetute constatazioni del disinteresse diffuso dei giovani nei confronti della politica e anche di fronte alle constatazioni di situazioni opposte, di disponibilità e entusiasmo poco o punto critici, la mia preoccupazione educativa mi sollecita a dire: i fatti sono importanti, ma non sono sufficienti; verso dove voglio giocare tutte le mie risorse? Quale meta educativa mi prefiggo come esito dei miei impegni quotidiani di relazione con i giovani?
    Se davvero l’atteggiamento nei confronti della politica rappresenta un sistema simbolico rivelatore di qualità di vita, il disinteresse o l’interesse fanatico rappresentano sempre per me una sfida. La sfida dell’atteggiamento nei confronti della politica riguarda in ultima analisi la sfida più globale della qualità di vita: quali sono le condizioni che permettono di essere davvero coerenti con quel modello di maturità umana e cristiana verso cui siamo tutti in tensione?
    Su queste prospettive, solo evidentemente di quadro, suggerisco alcune linee di intervento che potrebbero essere utilizzate per educare i giovani alla politica.

    Le tre dimensioni irrinunciabili dell’esistenza

    L’attenzione alla politica significa attenzione a tre dimensioni irrinunciabili dell’esistenza: l’attenzione verso gli altri di cui non posso non sentirmi responsabile pienamente, l’attenzione alle strutture e alla gestione istituzionale del potere attraverso cui si distende e si concretizza quella relazione intersoggettiva che ho appena ricordato, la scoperta che ciascuno di noi ha una responsabilità personale a livello alto, anche se con modalità necessariamente diverse, per assicurare una corretta gestione del potere all’interno di strutture adeguate. Devo aggiungere, anche se poi ci ritornerò in modo esplicito, che tutto questo non è assolutamente indifferente in ordine all’esperienza cristiana. La spiritualità del cristiano da una parte fa riferimento totale alla signoria di Dio, ma dall’altra riconosce che il modo concreto e quotidiano attraverso cui proclamiamo la signoria di Dio fa riferimento a tutto ciò attraverso cui ci impegniamo a riconoscere la signoria di tutti i nostri fratelli sulla realtà e sulla gestione di tutto quello che riempie la realtà quotidiana.
    Di fronte a una disattenzione alla politica o di fronte alla riduzione dell’attenzione alla politica solo a un fatto strutturale e istituzionale, scatta una decisa preoccupazione educativa. Se non cambia questa relazione, la qualità della vita delle persone è collocata a un livello pericolosamente basso.
    In questo caso l’intervento educativo si colloca su quel livello in cui la tentazione di autoreferenzialità (un bel modo per giustificare una dose alta di egoismo) richiede una trasformazione radicale. Dobbiamo essere reciprocamente aiutati a passare dal «per me» al «in sé»: scoprire cioè che tutto ciò che è oltre me, mi riguarda intensamente, non tanto sulla misura dei miei interessi e vantaggi privati, ma sulla misura, molto più inquietante, dei processi che permettono alle persone di riprendere in mano la propria esistenza, per riconoscere in essa l’amore concreto che Dio ci porta.
    L’educazione alla politica diventa a questo primo livello l’educazione a superare una soggettivizzazione che fa di se stesso l’unità di misura, per aprirsi a una responsabilità intersoggettiva, che fa dell’altro il principio di verifica e di regolazione della mia soggettività.
    Se questa è l’esigenza e la meta, le strade da percorrere per raggiungerla solo diverse e articolate.
    Ne ricordo qualcuna, in coerenza con quel modello educativo globale in cui mi riconosco.
    Alcune riguardano l’ambito del «fare proposte facendo fare esperienze». La battuta è vecchia, ma è sempre attuale. Altre arrivano più esplicitamente nell’ambito dell’educazione alla fede.
    Fare esperienza significa fondamentale aiutare i giovani ad incontrare persone e situazioni che facciano toccare con mano una passione politica matura, incidente, maturante.
    Una volta… di uomini politici di questo spessore, da invitare e da far incontrare, ce ne erano tanti. Oggi temo che scarseggino e molti di quelli sul mercato sono la giustificazione del disinteresse giovanile per la politica. In questi casi, come sempre, si può far esperienza almeno… dal negativo.
    Situazioni in cui fare esperienza sono quelle tipiche delle attività sul territorio: lì i fatti sono più controllabili e gestibili. E si può sapientemente prevedere, programmare, intervenire.
    C’è poi tutto l’ambito della riflessione che analizza i fatti, ritrovando il volto dell’uomo tra le pieghe delle strutture e decidendo realisticamente la loro trasformazione proprio nel nome della promozione della vita e della speranza.
    A questo livello, la diffusione di informazioni è una dimensione irrinunciabile. Questo comporta la costruzione di una matura capacità storica e critica.
    Alla radice sta l’acquisizione di un bagaglio di conoscenze e informazioni.
    Per fortuna stiamo diventando attenti e sensibili a questa esigenza. Basta pensare all’invito ripetuto della riscoperta della «memoria». Al ricordo va aggiunto però tutto quello che richiede la comprensione dell’evento da ricordare.
    La scuola e le diverse istituzioni formative hanno una grande responsabilità in merito.
    La conoscenza della «dottrina sociale della Chiesa» propone un contributo informativo prezioso.
    Prima di concludere, voglio rilanciare un tema su cui ho fatto prima un rapido cenno.
    In questa operazione è ampiamente coinvolta l’esperienza cristiana e la sua maturazione.
    Certamente, non vogliamo correre nuovamente il rischio di ridurre la fede ad una espressione politica: la distanza è incolmabile… e sarebbe triste ritornare agli errori del passato, anche recente. Alcuni compiti ci vengono consegnati da questa mentalità rinnovata: faccio qualche esempio.
    Dobbiamo, prima di tutto, riscoprire l’esperienza, riflessa e condivisa, che viviamo da discepoli di Gesù, radicati nel suo Spirito, quando ci impegniamo quotidianamente a costruire la nostra storia secondo l’orizzonte del regno di Dio, nella certezza, come ci ricorda Gaudium et spes, che quello che abbiamo costruito oggi lo ritroveremo in pienezza e in autenticità nella casa del Padre.
    Abbiamo poi bisogno di imparare a pregare da persone impegnate nella storia: uno stile di preghiera più vibrante della quotidianità, più vicino alla irrinunciabile responsabilità (che… non affida a Dio la soluzione dei problemi che ci competono), più contemplativo del mistero che riempie la nostra avventura quotidiana.
    Abbiamo diritto di sperimentare la celebrazione dell’Eucaristia come la festa del futuro nel tempo nella necessità e della lotta. Essa ci permette di scoprire i segni di speranza anche nella trama triste del presente e ci abilita a trasformare il presente proprio nella direzione di quel futuro che, celebrando, anticipiamo e proclamiamo.
    Sperimentiamo e testimoniamo uno stile preciso di esistenza credente, che sa mostrare, con i fatti, che il trionfo della vita sulla morte, impossibile nelle logiche dominanti, diventa progressivamente possibile nella pasqua del Crocifisso risorto. In essa la violenza cede il passo al perdono, l’amore che si fa servizio sostituisce la forza, la morte, vissuta come gesto d’amore, assicura la vittoria della vita.


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