A cura di Riccardo Tonelli
(NPG 2010-02-59)
IL TEMA
Il contributo che stiamo studiando analizza la passione evangelizzatrice di Paolo. Ci aiuta a cogliere l’intensità di un servizio al Vangelo che non conosce limiti. Ci mostra la gioiosa fierezza di Paolo, che si sente «missionario del Vangelo» come tutti gli altri apostoli, nonostante il suo particolarissimo percorso vocazionale. Soprattutto ci suggerisce le caratteristiche fondamentali di questo ministero: la fedeltà, la libertà, la solidarietà ecclesiale, il profondo dialogo con le culture, l’irrinunciabile centralità della croce contro ogni pretesa di sapienza e di astuzia.
Sono sufficienti questi elementi, messi quasi ad indice del contributo, per sottolineare quanto sia prezioso per tutti noi, impegnati a titoli diversi nella evangelizzazione, come punto di confronto e di progettazione, e orientamento per ogni corso di formazione apostolica.
Lo sappiamo e ce lo ripetiamo: non ci qualifichiamo solo perché ci immergiamo nello studio; abbiamo bisogno di confrontarci con testimoni, eloquenti e convincenti, che ci offrano dal vissuto le linee di progettazione di cui abbiamo bisogno. Paolo ci invita a pensare e a procedere in un coraggioso esame di verifica personale.
LA PROPOSTA
Le righe introduttive hanno ricordato l’importanza e l’attualità, quasi professionale, del contributo. Ora entriamo maggiormente nel merito per raccogliere una rassegna di indicazioni pastorali impegnative.
Lo faccio, ripercorrendo il contributo con una attenzione che parte dall’oggi degli operatori di pastorale e rilegge la memoria, secondo cinque linee di riflessione.
La fierezza di Paolo nella responsabilità dell’annuncio del vangelo.
Capitava ai tempi di Paolo e continua a succedere anche oggi: la contestazione alle proposte viene suffragata dal rifiuto di riconoscere l’autorevolezza di chi le fa. Privato di autorevolezza, chi parla… può dire quello che vuole, tanto le sue parole non contano.
Paolo si difende vantando con decisione il suo diritto di annunciare il Vangelo, perché anche lui è apostolo come gli altri, per una vocazione specialissima. È onorato e fiero del compito apostolico che gli è stato affidato. Non può tirarsi indietro e non può rinunciare a questa responsabilità. Non si fa largo con atteggiamenti remissivi e rassegnati, ma con gioia e con la consapevolezza di un compito grande da portare a compimento. Parla dunque con autorevolezza e propone il suo ministero con la fierezza che gli deriva dalla chiamata diretta da parte del Signore Gesù.
La fedeltà cristologica.
L’autorevolezza di Paolo è fondata sulla chiamata. Ha una storia alle spalle, il cui protagonista è direttamente il Signore stesso e la cui certificazione viene dal confronto con gli Apostoli, di cui riconosce il ministero.
Questa esperienza gli dà il diritto di difendere il suo «vangelo» con forza e di non sopportare deviazioni dalla sua proposta. Sa di essere fedele al suo Signore e al suo messaggio. Lo dichiara con una decisione impressionante e si difende contro ogni tentativo di travisamento.
Evidentemente… lui se lo poteva permettere, grazie ai doni particolari su cui poteva contare. E noi?
In una stagione di soggettivizzazione sfrenata e nella trama confusa dell’attuale pluralismo, Paolo ci consegna non tanto la sua certezza carismatica, quanto la radice di questa certezza: la fedeltà cristologica e la configurazione continua al suo modello. Le note del contributo di Vignolo vanno analizzate con molta attenzione proprio su questa frontiera.
«Lavoro con le mie mani».
Questo tratto di Paolo evangelizzatore va considerato con particolare attenzione. I tempi sono cambiati, le prospettive sono certamente diverse. L’istanza di «libertà» evangelica resta, con una forza davvero speciale.
Paolo è apostolo a pieno titolo. Non vuole però usufruire dal diritto di farsi mantenere dalla propria comunità. Vive mantenendosi con il proprio lavoro, «con le sue mani», come ripetutamente dichiara. Per questo il suo ministero di evangelizzazione è «gratuito» e, di conseguenza, particolarmente credibile: diventa quasi un prezioso fattore di testimonianza.
Il rapporto con la cultura e la sapienza della croce.
Il rapporto con la cultura Paolo l’ha teorizzato. Soprattutto però l’ha vissuto. Basta pensare al suo discorso all’areopago di Atene, dove parla da greco informato e colto, per annunciare in modo convincente il Signore… anche se non cerca di certo il consenso e l’applauso, riducendo la forza profetica del Vangelo.
Paolo ci educa ad accogliere pienamente la cultura di coloro cui vogliamo donare la bella notizia del Vangelo e, nello stesso tempo, ci sollecita alla continua fedeltà nei confronti della forza interpellante dell’annuncio cristiano (per rispettare veramente una dimensione irrinunciabile dell’evangelizzazione: «Che cosa hanno da dire i sapienti, gli studiosi, gli esperti in dibattiti culturali? Dio ha ridotto a pazzia la sapienza di questo mondo» (1 Cor 1, 20)?
La libertà.
Un’altra dimensione di grande respiro è offerta dalla libertà di Paolo nel ministero.
Abbiamo già riflettuto su questo tema, in un precedente contributo. Qualche nota integrativa va però ricordata, per ritagliare adeguatamente il ritratto di Paolo annunciatore del Vangelo.
Paolo si fa «servo» di tutti, come è stato Gesù, per poter portare tutti alla vita e alla speranza. Riporto alcune righe dal contributo, che dicono molto bene questa caratteristica di Paolo e di ogni buon evangelizzatore: «Quando proclama: mi sono fatto servo di tutti...mi sono fatto tutto a tutti... Tutto io faccio per il Vangelo... (9,19.22.23), egli propone lo scandalo della libertà come servizio in un linguaggio tuttavia capace di far presa su chi – come i Corinti – aspira ad una totale e radicale libertà, bramoso di potere tutto. Un tutto individuabile questa volta non a partire da una soggettività autosufficiente, egocentrica, interessata solo ad accaparrarsi il proprio benessere materiale o spirituale, bensì costruita attraverso le relazioni interpersonali, e quindi prestando la dovuta attenzione alla cultura (cioè alla storia) di ogni possibile interlocutore».
E OGGI?
L’invito a ritrovare il coraggio di evangelizzare, andando anche controcorrente, risuona da tante parti. Fa da eco gioioso la constatazione di quante iniziative si moltiplichino oggi, per sollecitare, sostenere, qualificare la disponibilità alla collaborazione ecclesiale in questo campo.
Non si tratta certo di recuperare proseliti per una comunità ecclesiale attraversata da una forte crisi vocazionale.
La questione è ben diversa: raccogliamo il grido che sale – esplicito e implicito – da tanti, alla ricerca di ragioni per vivere e per sperare. Ed esprimiamo il nostro amore fraterno, testimoniando con forza il Vangelo di Gesù.
Questo è il fatto, constatabile e incoraggiante.
I modelli di realizzazione sono tantissimi però… spesso incapaci di dialogo reciproco e abbastanza riottosi nei confronti di una autorevole verifica ecclesiale.
In che direzione aprire alla disponibilità e secondo quali prospettive qualificare il servizio? L’esperienza di Paolo ci può guidare per mano, su tutte e due le direzioni.
UNA BUONA NOTIZIA
Paolo, in un momento di forte carica emozionale, ripensa alla sua vita e alla qualità della sua missione, prima di salutare gli amici di Efeso, «che non avrebbero più visto il suo volto».
Il suo discorso, riportato in Atti 20, propone un ritratto che ciascuno di noi vorrebbe poter far proprio, quasi come testamento agli amici che ha amato e servito nel nome di Gesù. Propongo di leggerlo e di meditarlo con grande attenzione.
Per Paolo è un racconto autobiografico. Per noi resta certamente solo un grande sogno. Ma abbiamo il diritto di sognare in grande… perché, frammento dopo frammento, i sogni belli possono diventare realtà. Anche per noi.
DALLA PAROLA ALLA VITA: PREGHIERA E IMPEGNO
La preghiera
Prova a pregare, in uno spazio di silenzio e di interiorità pensosa, proprio con il documento appena citato: Atti 20, 17-38.
L’impegno
Questo lo devi scegliere tu… con i tuoi amici… per verificare fino a che punto condividi veramente quello su cui abbiamo pensato.