Il sì nel silenzio
Simona Molari
Una lettura dell'iconografa
Quello che mi affascina di lei è sempre la stessa cosa. Migliaia di pagine, milioni di parole sono state consumate, si sono riversate a cascata sulla carta, dalle cattedre, dagli amboni delle Chiese, per spiegare qualcosa di questa Donna, questa Madre, per interpretarla, per spingere ad imitarla, per onorarla.
Io la guardo negli occhi, e mi fermo sempre lì. È il suo silenzio che mi colpisce. Il suo segreto davanti al quale mi fermo, con infinita ammirazione, con stupore e una specie di insondabile interrogativo. Non lo diciamo a nessuno, solo a me stessa. Il suo silenzio è la sua forza. Un piccolo eroe questa ragazzina, una montagna di fede si erge in questo scricciolo di cuore, in questa Donna che potrà stare in piedi sotto la Croce.
“Gioisci, fede di eventi che richiedono silenzio”. Così inneggia a lei l’Acàthistos. E per me dice tutto.
E mica solo nel momento di quel “Sì”. “Ok, sono la serva del Signore… Non capisco niente, ma si faccia di me secondo la tua parola”.
Quel Sì - quel silenzio dei suoi pensieri, dei suoi ragionamenti, dell’ovvio dei limiti umani - è durato tutta la sua vita. Labbra chiuse, nel silenzio che si trasforma in contemplazione, di fronte a quello che proprio non vedeva. E non poteva oggettivamente vedere né comprendere. Immacolata sì, ma umana piccola creatura (ed è bello guardarla così, tanto vicina e simile a me). E ogni volta, la stessa situazione, tutta la sua vita. E’ il silenzio di chi accetta – ogni volta – di fidarsi. E fidarsi significa rischiare: è l’atto di amore più profondo e più delicato che tu puoi fare verso l’Altro. E verso l’altro, anche quello che incontri ogni momento per la strada, o nel corridoio del convento, della scuola, nell’ufficio.
Non mi piacciono molto le immagini un po’ melense di questa ragazzina, giovane madre, quelle che spesso la raffigurano con gli occhi languidi, le mani incrociate sul petto in maniera molto pia. Nessun giudizio, un fatto puramente personale. Amo invece affondare lo sguardo in questi occhi, profondi come la foresta, che proprio perché non sono l’espressione del trasporto psichico dell’artista, ma finestra sull’eternità (così viene definita anche l’icona) mi fanno inabissare nel mistero del cuore di questa Madre, capace - per il suo silenzio-“Sì” che fa tacere la carne - di contenere l’Incontenibile.
Io e lei non è che poi ci parliamo molto. Restiamo in silenzio. Scruto il suo silenzio. Mi interrogo sul suo silenzio. Cerco di imparare il suo silenzio. Con la stessa profondità, che la rende tanto bambina e tanto grande nel Regno dei Cieli.
Questa icona mi piace, racconta tutta la storia di Maria.
Quante parole dice Maria nei Vangeli? Oh, non tante. La sua risposta all’Angelo, il canto del suo grazie, la sua meraviglia al Tempio. E poi il susseguirsi di tanti “custodiva nel suo cuore”. Che un po’ vuol dire che non ci capiva niente. Custodire un mistero, il mistero di questa Presenza che tante volte - tutte le volte - la superava.
Rimangono ancora le sue parole alle nozze di Cana, a Gesù, a cui fa presente un bisogno. Di fatto non gli chiede niente, sa benissimo che non ce n’è bisogno: “Non c’è parola sulla mia lingua che Tu, Signore, già non la conosca tutta”. E poi quelle ai servitori: “Fate tutto quello che vi dirà”.
E questa icona si chiama proprio così: “Odighìtria”, letteralmente: “Colei che guida” o “Colei che indica la via”. “Io sono la via, la verità e la vita”. E’ il piccolo Bimbo che lei sostiene, fragilità e onnipotenza, e che con la mano appunto lo indica: ”E’ lui”. “Fate quello che vi dirà”.
Fallo con il silenzio del tuo Sì, che mostra a Dio che proprio ti fidi di Lui, che sei pronta ad accogliere qualcosa che Lui sta per mettere nella tua vita e che è molto più grande di te, che tu assolutamente non puoi contenere né gestire, e che sicuramente ti sballerà tutti i programmi, ogni singolo giorno della tua vita. E’ Lui, fai quello che ti dirà.
“Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei Tu che agisci” dice il salmo.
E allora continuo a guardarla.
Forse verranno anche a me quegli occhi profondi, di chi in fondo accetta di fare un salto nel buio – 1000 salti, ogni giorno - un salto nelle braccia di Dio, un Dio invisibile, gli occhi di chi - questo Bimbo poi - lo vuole davvero stringere fra le braccia, anche senza capire tutto e capire sempre, perché una cosa chiara in fondo c’è… che Lui solo è la verità, la via e la vita.
s.m.
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L'icona (dal greco οικονα) è un’immagine sacra che viene definita dal Concilio di Nicea nel 787: “Presenza di Colui che è raffigurato”. Sacra in quanto presenza. Essa è teologia in immagini, non ritratto naturalistico ma luogo che conduce al Prototipo e annuncia la Sua presenza.
All’iconografo è quindi chiesto di sparire nel momento in cui si accinge a dipingere, per lasciarsi rendere vetro trasparente di trasmissione del mistero.
L’icona non è il risultato della meditazione individuale della persona, frutto di emozioni o slanci di emotività, ma sacramento dell’invisibile, luogo di Dio con noi. Per questo l’icona non si pone la questione della somiglianza con la natura, perché l'immagine deve rappresentare le verità eterne.
L’immagine di una bellezza materiale diventa inadatta: il mondo sensibile deve essere trasfigurato per innalzarci al profumo della realtà eterna.
Per un percorso storico-teologico:
Icona: visione dell’invisibile