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    Caino e Abele

    Lidia Maggi

    Che cosa ha deformato il tuo sguardo, Caino? Cosa ti ha fatto credere che Abele ti rubasse la scena della vita? Perché hai voluto essere tu quello la cui offerta veniva guardata da Dio? Non ti eri accorto della disparità tra te e tuo fratello minore? Non ti eri accorto che tutti i riflettori della vita erano già puntati su di te? Non ti hanno raccontato del canto di giubilo di tua madre, quando ti ha dato alla luce? “Ho acquisito un figlio con l'aiuto di Dio!”. Ti ha chiamato Caino, colui che è stato aggiunto, acquistato. Bene prezioso, decisivo: tu sei colui che ha dato il La alla sua vocazione di madre di tutte le genti. Per Abele, nessun canto, nemmeno una parola. Per lui solo un nome (nomen omen): nome presagio, che già riassume l'effimero della sua esistenza, Abele, soffio, futile esistenza destinata, come la brina, a svaporare al primo sole. E insieme al nome, una professione da nomade, di chi non può radicarsi nella terra: Abele, il pastore. Tu, invece, avevi ricevuto in eredità la vocazione originaria dell'umano, quella di custodire e coltivare la terra. Per il secondogenito, nessun canto; e un’identità definita solo in relazione a te: Abele, fratello di Caino.
    Finché Abele era solo questo, il suo soffio non ti infastidiva: effimero, precario. Ma quando Dio ha osato porre gli occhi su quel fratello invisibile e ne ha apprezzato l'offerta, allora si è accesa la tua gelosia, ha preso forma il tuo rancore. Non eri abituato a pensare che Dio potesse avere occhi per altri, oltre a te. L'altro è diventato improvvisamente ingombrante, pericoloso. Il sospetto che Dio avesse deciso di non guardarti più, che ti avesse abbandonato, ha rotto la tua fiducia. Eppure, Dio stesso si era accorto del tuo disagio. È vero, Dio non ha posto attenzione alla tua offerta: ma quanta attenzione per te, e solo per te, per il tuo volto turbato. Quanta cura nel rivolgersi proprio a te, per strapparti al tuo rancore. Il Signore Iddio, il Creatore dell'universo, è con te; solo con te ha parlato. Ha guardato l'offerta di Abele, ma ha soprattutto scrutato con apprensione il tuo volto accigliato, fino ad abbassarsi, a farsi vicino, per parlare al tuo cuore, per darti consigli, per metterti in guardia su dove poteva portarti quel modo perverso di sentire il fratello come una minaccia. Ricordi le parole divine, le sue domande? “Perché il tuo volto si è così incupito? Cosa ti turba Caino? Anche io desidero il tuo bene; ma agendo sotto la pressione del rancore tu fallisci il bersaglio, non raggiungi certo la felicità ambita. Questo è l'unico vero peccato: sbagliare la propria vocazione, il proprio scopo nella vita. Sappi, però, che tu hai la forza di dominarlo. E allora non lasciare che il tuo cuore sia sbranato dalla tua invidia…”.
    Nemmeno Dio, con le sue parole, è riuscito a farti cambiare direzione. Tu, contadino, dovevi custodire e coltivare il terreno della fraternità e invece quel campo è diventato campo di battaglia; la terra fertile della relazione fraterna l'hai resa sterile, inquinata con il sangue, il sangue di tuo fratello. Sei rimasto muto. Perché non hai aperto il tuo cuore a Dio? Perché non gli hai urlato la tua rabbia? Che senso aveva offrirgli i frutti della terra ma sottrargli il tuo cuore? Perché quel silenzio? E non solo il silenzio con Dio ma anche con Abele. Il testo biblico, infatti, rimane sospeso. Sembrava che finalmente si sarebbe udita la tua voce - “e disse Caino...” - ma la tua bocca è stata chiusa dalla tua mano, che si è alzata su Abele e lo ha ucciso.
    E mentre, forse, il tuo cuore gioiva: di nuovo figlio unico – ecco il peso di una solitudine che non è “bene”. Non hai saputo gestire il conflitto con quel fratello così diverso da te, hai negato il problema eliminandolo: hai ucciso tuo fratello. Se il tuo cuore si sentiva sollevato per quel problema risolto, eliminato, il cuore di Dio si spezzava; e come Rachele, inconsolabile, piangeva quel figlio che non c'era più. Che cosa hai fatto? La voce dei sangui di Abele è giunta fino a me. La voce di Abele, il fratello che non parla e a cui non hai rivolto parola alcuna, nella morte, è diventata un grido che Dio raccoglie, così da preservarne la memoria. Un assordante silenzio! Il Dio di Caino (quel Dio che intima: nessuno tocchi Caino”) è, insieme, il Dio degli ultimi, di coloro che non hanno voce, di chi non ha potere. È il Dio che non permette che la vittima della violenza venga dimenticata. Il nome di Abele, così effimero, è inciso nel cuore di Dio; e per Caino l’assenza del fratello si fa ora più ingombrante della sua presenza.
    Dov'è tuo fratello? ti ha chiesto Dio, quando ti è venuto a cercare lungo i sentieri sperduti della fraternità. Tu non hai saputo custodire e coltivare la fraternità, ora non potrai più nemmeno fare il contadino: sei diventato un fuggiasco, nomade come tuo fratello… per diventare, in seguito, fondatore della città. Perché, alla fine, anche tu hai capito: tu, che ti salvaguardavi dall'altro, proprio tu, hai fondato la città, dove l'incontro con l'altro è inevitabile.
    Abele e Caino non sono mai esistiti? Che non si tratti di un resoconto storico non significa che questo mito antico, ripreso da diverse tradizioni religiose, non ci aiuti a fare verità. Che non sia un racconto storico non significa che quanto narrato non sia accaduto e continui ad accadere. Accade ogni volta che in una comunità si insinua il sospetto che l'altro ci rubi lo spazio vitale. Accade tra fratelli, e, in modo particolare, tra le fedi: ognuna con il proprio bisogno di unicità, ognuna a rischio di trasformare questa esigenza di singolarità in esclusività, proprio come Caino. Il conflitto tra Caino e Abele non nasce da un dissenso religioso, ma i gesti della fede risultano divisivi. Rappresentano l'occasione per esasperare il conflitto. Un modo diverso di rendere il proprio culto a Dio costituisce il terreno su cui si concretizza lo scontro con l'altro. Ma ugualmente, sono gli stessi ingredienti religiosi che, a loro volta, offrono gli anticorpi, i vaccini per immunizzarsi dal rischio dell’intolleranza religiosa. La voce di Dio, che osserva lo sguardo crucciato di Caino e che lo rende consapevole del rischio che sta correndo, è la voce attestata da esperienze religiose capaci di intraprendere un processo educativo, che faccia crescere nel dialogo e nel confronto, le diverse fedi. È voce sapiente che sollecita ad affrontare la conflittualità senza negarla. La domanda che Dio rivolge a Caino - “dov'è tuo fratello?” - interpella tutti noi, che, nostro malgrado, siamo ancora là, con lo sguardo crucciato, sospettosi nei confronti della fede sorella, spaventati che l'altro ci porti via la scena. Siamo ancora la generazione di Caino, quando riteniamo che la singolarità della nostra fede coincida con l'esclusività, quando condanniamo la diversità religiosa, la censuriamo, fino a calunniare l'altro.
    Alle diverse fedi viene oggi chiesto non solo di farsi carico di richiamare l'umanità alla vocazione originaria di custodire e coltivare la fraternità, ma anche di custodire e coltivare con particolare cura la fraternità delle fedi. Dov'è tuo fratello? Il sangue di Abele e dei suoi numerosi discendenti, versato in abbondanza nel corso dei secoli, è grido da noi messo a tacere ma raccolto da Dio. Da quell’unico Dio che desidera la vita per tutti i viventi. E che implora i suoi credenti affinché smettano di usarlo per giustificare la loro violenza, per alimentare una religione dell’inimicizia.
    Oggi, più ancora che in altri momenti storici, abbiamo bisogno di metterci in ascolto delle parole che Dio dice a Caino, di quella sapienza dell’umano che esse veicolano. Di quell’umano che Dio ha creato a sua immagine .
    Ricerchiamo insieme questa sapienza divina, sapienza di un Dio che si manifesta dove vuole e trasforma le crisi in opportunità e si fa udire nelle diverse lingue, nelle diverse tradizioni religiose, con una tenacia ed una creatività che noi – dobbiamo confessarlo – non abbiamo ancora compreso.

    (G20 Interfaith forum 2021 di Bologna - 11 settembre 2021
    Basilica di Santo Stefano Chiostro del convento)


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