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    “Ai nostri giorni la cultura è superficiale e la nostra conoscenza pericolosa perché noi siamo ricchi di meccanismi e poveri di scopi. L'equilibrio dello spirito che prima nasceva da un caldo credo religioso è scomparso; la scienza ha eliminato le basi sovrannaturali della nostra morale e l'intero mondo sembra essere stato inghiottito in un individualismo senza ordine che riflette la frantumazione caotica del nostro carattere”.

    Una studentessa di Leida mi ha appena scritto che era malato solo da sabato. Certamente di questi tempi c'è tanta sofferenza e dal 10 maggio abbiamo perso così tanti cari, ma questo è totalmente diverso: non ha niente a che vedere con i giorni tumultuosi che stiamo vivendo; qui un intero mondo di sapere e conoscenza è crollato all'improvviso e senza far rumore. Si riesce a malapena a capire come sia potuto succedere: su di me questo ha avuto un effetto più devastante di tutta la guerra. Anzi, è una sorta di lugubre simbolo della guerra stessa, della distruzione della cultura. Ricordo ancora le sue parole coraggiose e allegre, il giorno del suo sessantesimo compleanno: “Sì, signore e signori, posso fare lezione fino al mio settantesimo anno e spero di riuscire ad andare avanti per altri dieci, o credete che diventerò un vecchio noioso?”. Non si può rimediare a quei dieci anni andati persi. E non si riuscirà a riempire per molto tempo il vuoto che la sua scomparsa ha formato nel mondo scientifico.
    Gli studi di slavistica in Olanda hanno perso, in un colpo solo, le loro intere fondamenta, e non mi è proprio chiaro cosa ci riservi il futuro. Sebbene io abbia seguito i suoi corsi solo per un paio di mesi, e anche se il mio personale legame con lui non era particolarmente stretto, ho comunque sempre vissuto come un privilegio raro la possibilità di sedere su una scricchiolante poltrona crapaud, in quel suo studio démodé quasi commovente, e il fatto che considerasse me degna di ricevere un po' della sua sapienza. Anche gli altri allievi si sentivano così: eravamo sempre là, pieni di rispetto per la sua sterminata cultura e orgogliosi di poter essere suoi studenti.

    Qui a casa regna uno strepitoso miscuglio di barbarie e alta cultura.
    “C'è qui, in questa strana famiglia, un tale indescrivibile miscuglio di barbarie e alta cultura, da farti perdere per intero le forze. Mio fratello maggiore dice sempre: qui regna il disordine organizzato. Il capitale qui è in giro, sparso qua e là, un capitale di valori spirituali e umani, ma tutto alla rinfusa, male amministrato e privo di obiettivi. Stando così le cose, di tanto in tanto ti coglie un senso di oppressione e di tristezza. Un tempo la mia pittoresca famiglia mi costava, ogni notte, almeno un litro di lacrime disperate. Ancor oggi non so spiegarmi quelle lacrime; arrivavano da chissà dove, da un oscuro soggetto collettivo. Adesso non sono più così prodiga con questo prezioso liquido, ma comunque sia non è facile vivere qui.

    Stamattina, al risveglio, ho pensato alle parole di Marx: vengono prima le strutture economiche, e poi le sovrastrutture culturali. E non è forse lo stesso con il singolo individuo? Quando il suo corpo spende troppe energie, ne restano meno per lo spirito.

    A dire il vero, ho trovato un po' al di sotto della mia dignità battere a macchina e archiviare la lettera per Stella, che davvero non è un monumento letterario. Eppure per me quella lettera è stata un'impresa. In passato avrei accuratamente evitato di rispondere a qualunque lettera, aspettando che arrivasse l'occasione di rispondere in un colloquio de visu. E questo cela molta trascuratezza e codardia, forse anche la paura di non scrivere una “bella” lettera, la paura di concedersi, in una maniera o nell'altra. Fa parte della nostra cultura o formazione, o come la si voglia chiamare, il fatto che non si dia nessuna possibilità alle parole che ci vengono indirizzate di svanire nell'aria. Bisogna rispondere anche al più debole appello, quando ha senso e quando sembra necessario. Dovresti rispondere al meglio delle tue possibilità alle domande che ti vengono rivolte, con la risposta che casualmente sta maturando in te in quel momento. Credo che nello spazio si librino tante domande disperate, inevase, oscillanti dagli uni agli altri e che, se ciascuno - a suo modo e secondo le proprie capacità, cominciasse ad affrancarle da quella disperata ricerca, fornendo loro una risposta, una dimora, non ci sarebbe una tale terribile messe di domande senza un tetto. E non c'è legislazione sociale che possa rimediare a questa loro condizione di “senzatetto”.

    E adesso sono già passate le undici e mezzo e il resto del giorno deve essere dedicato allo studio della lingua materna di mia madre. So che, in questo ambito, ho una sorta di missione da svolgere nel mio futuro, una mediazione tra la Russia e l'Occidente. E all'interno del mio piccolo circolo di allievi cerco già di assolvere a quel compito nel migliore dei modi, trasmettendo loro, oltre alla grammatica, anche un'idea di quell'incomprensibile paese orientale. Ma per far ciò non dovrei sapere molto di più? Chiederò a Becker alcuni libri sulla storia culturale. Devo studiare ancora così tanto, e imparare così tanto, e lo voglio pure, che non capisco come possa permettere al mio proprio “io”, nel senso più ristretto del termine, di distogliermi ogni volta dalla mia strada. Ma ogni volta sgombererò di nuovo il cammino, lo devo a me stessa, e lo percorrerò davvero, fino in fondo.


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