IL FILO DI ARIANNA DELLA POLITICA /1
Raffaele Mantegazza
(NPG 2022-04-72)
Come parlare
Prima di tutto occorre liberarsi dal tabù nel quale è rimasta invischiata la parola “politica” negli ultimi decenni nel nostro Paese. “La politica è una cosa sporca”; “tutti i politici sono corrotti”; “la politica rovina tutto ciò che tocca”: occorre sottolineare come queste frasi sono degne del più becero qualunquismo (e già che ci siamo serve anche ricordare l’origine di questo termine raccontando la storia del Movimento dell’Uomo Qualunque).
Occorre però soprattutto ricordare che la politica è una delle attività più nobili nelle quali possa essere coinvolta una persona, e restituirle dunque tutta questa dignità. È certamente utile partire dall'etimologia e raccontare per esempio la realtà della polis greca, ma il tutto deve essere aggiornato e riportato ai giorni nostri. È sicuramente opportuno mostrare come la politica, nel senso di quell'attività che prevede l'impiego di tempo e di risorse per il bene di tutti e di tutte, sia da un certo punto di vista connaturata all'avventura dell'essere umano sulla terra, in tutte le epoche e in tutti i popoli. Ma fare politica oggi, nel terzo millennio, ha anche un significato specifico: sempre di più, per esempio, occorre mostrare l'interdipendenza tra le scelte locali e quelle globali, il rapporto tra una dimensione planetaria e una dimensione locale che non possono ignorarsi a vicenda né possono essere banalmente mostrate e spiegate a partire dal rapporto causa-effetto.
Parlare di politica in senso educativo significa collocarsi alla giuntura tra la dimensione emotiva e quella razionale. La politica è fatta sicuramente di emozioni, di affetti, soprattutto di simboli che devono essere spiegati e mostrati nella loro dimensione storica; ma poi tutto ciò deve comunque essere portato alla dimensione razionale. Non si può lasciare la politica soltanto sul piano emotivo e affettivo perché questo è uno dei modi attraverso cui le dittature e i totalitarismi hanno agito storicamente. Non si può nemmeno partire soltanto dalla dimensione cognitiva, da una ragione che non essendo affondata sugli affetti rischia letteralmente di comportarsi come il remo che non prende più acqua in una gara di canottaggio.
Certamente un discorso sui simboli della politica, sulle sue parole, sulle immagini che vengono utilizzate da essa e dentro di essa è fondamentale perché va a toccare una sensibilità molto profonda delle nuove generazioni rispetto all'immagine e al suo trattamento. In questo senso è utile riflettere con i ragazzi sui riti della politica che non sono solamente vuoti rituali ma hanno anche un loro significato profondo: l’emozione delle schede scritte a mano e del lungo scrutinio nella recente rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica è insostituibile, anche se a livello tecnologico poi i conteggi vengono confermati da un computer.
Come pensare
→ Opera analizzata: Allegoria degli effetti del buon governo e del cattivo governo di Ambrogio Lorenzetti (Siena, Palazzo Pubblico)
Il ciclo di affreschi è stato realizzato tra il 1338 e il 1339 ed è stato molto rimaneggiato ma resta l’idea originaria dell’autore, ovvero quella di affrescare scene di buona e cattiva politica nel luogo nel quale la politica veniva fatta quotidianamente
Il ciclo porta a porre alcune domande:
- Come mai Lorenzetti realizza questo affresco proprio nel luogo nel quale si riunivano le persone che avevano la responsabilità di decidere il futuro della collettività?
- Proviamo ad analizzare i seguenti simboli:
o La bilancia
o La corda
o La pialla
o La lupa
o Le piante in campagna
o Il serpente
- Quali sono le figure umane più significative e cosa rappresentano?
- Come viene rappresentata la città?
- È possibile fare politica anche in campagna? Perché Lorenzetti la raffigura?
- Che effetto fa l’allegoria del cattivo governo? E’ più efficace o meno di quella del Buon Governo?
- Quale opera d’arte potremmo realizzare oggi per collocarla nella sala di un Consiglio Comunale o all’interno dell’aula di Montecitorio?
Cosa fare
In generale qualsiasi progetto educativo dovrebbe interrogarsi sul rapporto che gli educandi hanno con l'oggetto che si vuole presentare loro. Soprattutto occorre partire dalle loro precognizioni e dai loro pregiudizi (intendendo questo termine in senso non negativo ma descrittivo: i giudizi che vengono prima di avere sperimentato qualcosa). Sulla politica ovviamente si addensano rappresentazioni varie che provengono dalla famiglia, dai mass media, dal sistema della propaganda. Indagare in modo non moralistico il rapporto dei ragazzi con la politica può essere il primo passo per capire quali linguaggi poter utilizzare in seguito.
Chiediamo ai ragazzi di scegliere una tra queste posizioni nei confronti della politica (sarebbe molto bello realizzarle sotto forma di “carta dei tarocchi”). Poi discutiamo quante figure sono state scelte e perché.
- L’indifferente
- L’arrabbiato
- Il curioso
- Il disgustato
- Il partecipativo
- Il militante
- Il disinformato
A partire dalle risposte fornite proviamo a capire come un politico potrebbe dialogare con ciascuna di queste figure, come presenterebbe la sua attività, come cercherebbe di far appassionare alla politica soprattutto coloro che partono da una precomprensione negativa.
Come provare
Uno dei primi contatti dei ragazzi con il mondo della politica è la rappresentanza all’interno della scuola. Spesso questo ruolo viene sminuito o inteso semplicemente come dovere previsto dalla legge, ma le dinamiche delle candidature, delle elezioni e la quotidianità della rappresentanza (l’eventuale conflitto con i professori, il rapporto con i compagni di classe e con gli altri rappresentanti) dovrebbero costituire una buona palestra per un primo passo nel mondo della politica. Si acquisisce il concetto di rappresentanza e soprattutto ci si confronta con gli adulti sulla gestione politica della scuola, ciascuno nel proprio ruolo, ciascuno cercando di far convivere le esigenze dei singoli, quelle della collettività, i dati reali legati alle risorse e al sistema di leggi che regolamenta la scuola.
Ai rappresentanti eletti si potrebbe chiedere qual è secondo loro il motivo principale della scelta che i loro compagni hanno effettuato a loro favore, magari mostrando le diverse tipologie di leadership:
- Il competente nelle relazioni
- Il mediatore
- Il decisionista
- Il competente sul compito
- Il sindacalista
Si potrebbe poi chiedere ai ragazzi, rappresentanti o meno, cosa dovrebbe fare un rappresentante di classe se i suoi compagni gli chiedessero di farsi portatore presso il Dirigente di una protesta palesemente ingiustificata nei confronti di un insegnante. Se il rappresentante ritiene che i compagni abbiano torto cosa deve fare: portare avanti la protesta, opporsi, dimettersi?
Cosa domandarsi
- La politica italiana spesso non gode di buona fama; ma siamo sicuri che certi comportamenti non siano presenti anche nel cosiddetto “paese reale” di cui la classe politica rischia di essere uno specchio?
- Insegnare ai ragazzi a fare politica significa considerarli soggetti attivi, partecipanti e critici. Ma siamo davvero pronti ad accogliere le loro critiche e ad ascoltare veramente il loro parere, in modo che l’ascolto non sia solamente retorico ma porti anche a reali cambiamenti?
- Riusciamo a capire insieme ai ragazzi la differenza tra educazione alla politica e plagio? Siamo in grado di distinguere la vera formazione alla cittadinanza dall’indottrinamento? Come deve essere formato l’educatore che vuole educare alla politica?
- Qual è la differenza tra politica e amministrazione dell’esistente? Se è vero che la politica deve gestire al meglio le risorse e ottenere risultati concreti, come coniugare tutto questo con i grandi valori e i progetti di cambiamento sociale? Esiste ancora uno spazio per la politica o tutto può essere semplicemente nelle mani dei “tecnici”? E chi guiderebbe i tecnici? La tecnica stessa? Con quali rischi?