Etty e Dio
Dentro di me c'è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c'è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo
Tu vivi nel mio profondo, Dio; trovo questa vita tanto buona.
Dio, ti ringrazio. Ti ringrazio perché vuoi vivere in me. Ti ringrazio di tutto.
Una volta che si comincia a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare
e la vita diventa un'unica, lunga passeggiata.
La parola "Dio" è quella con più occorrenze del Diario, 347 volte, dopo il termine "vita", e molte volte i termini ricorrono insieme o nello stesso contesto, ma con maggiori declinazioni esistenziali. Mentre la vita è da accogliere, esserne grati, amarla, in tutte le sue dimensioni, Dio rientra in come protagonista di un cammino via via di scoperta, di dialogo, di invocazione, di gratitudine, di affidamento, di amore, di "identificazione"... quasi in un duplice di scoperta verso il "dentro" e vero il "fuori", l'oltre. O meglio, l'oltre nel dentro.
Concetto che risulterà chiaro anche solo nella semplice lettura delle citazioni qui sotto riportate.
Quasi sempre è un discorso diretto, nel senso che si parla poco di Dio (il mondo di Dio... le creature di Dio, il mondo e il cielo di Dio) intessuto, una variazione personale attorno al rapporto con Dio...) ma si parla soprattutto con Dio, anche nelle semplici interiezioni classiche (Oh Dio, Mio Dio). E le immagini usate: "nelle mani di Dio" ("Mio Dio, prendimi nella tua grande mano e fammi tuo strumento, fa' che io possa scrivere!"), o "prendimi tra le tue braccia" richiamano immediatamente la figura del padre terreno (verso cui comunque ha rapporti ambivalenti).
Il suoi pensiero per Dio è costante ("Dio, dammi la forza"; "E adesso al lavoro! E conserva la pace e non dimenticare Dio nel frattempo"), nel quotidiano delle cose e dei rapporti.
Andando più "dentro" l'anima di Etty, l'incontro con Lui avviene quando lei è "in contatto con la parte più profonda del mio essere, quella che chiamo Dio"; "a volte Dio è in quella sorgente". E qui si apre a tenerissime invocazioni, come in un incontro personale, intimo, assolutamente riservato ("Ieri sera pedalavo per la fredda e buia Larissestraat - se solo potessi ripetere tutto quel che ho borbottato allora: Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace").
L'intimità è la caratteristica di questo rapporto, un'intimità di cui è gelosa e che vuole a tutti i costi conservare, e che non è turbata dagli eventi quotidiani del suo quotidiano o della società.
E l'atteggiamento di questa intimità è la preghiera: "Stamattina mi sono ritrovata d'un tratto inginocchiata presso la stufa spenta nella sala, dicendo: Mio Dio, dammi un po' di pazienza e un po' d'amore per le piccole cose della vita quotidiana". Una preghiera non solo personale, per sé, ma allargata al di fuori di sé nel crogiolo difficile del tempo: "Eppure deve esserci qualcuno che sopravviverà e potrà testimoniare che Dio è vissuto anche in questi nostri tempi. E perché non dovrei essere io quel testimone?".
E guai a scaricare la responsabilità del tragico che accade su di Lui; anche Lui ha bisogno di essere aiutato, se Lui non è più in grado di aiutare noi.
Il Diario di Etty è fondamentalmente un dialogo intimo con Dio, davanti a cui è bello inginocchiarsi, anche su una stuola ruvida nel bagno: inginocchiarsi come un intimo gesto di amore, di fiducia: lei, la ragazza che ha imparato a inginocchiarsi.
Gli ultimi quaderni del suo Diario sono una costante invocazione, sono un parlare continuamente con Lui, un rivolgersi a Lui su tutto: Lui diventa l'unico interlocutore e l'ultimo affidamento. Solo per questo la vita continua ad essere bella, anche nel tempo della distruzione.
“Il mondo rotola melodiosamente dalla mano di Dio”: ho avuto in mente queste parole di Verwey per tutto il giorno. Anch'io vorrei rotolare melodiosamente dalla mano di Dio. E ora buona notte. (giè nelle primissime righe del Diario!)
...
Stanotte non è stato così bello. Il rotolare armoniosamente dalla mano di Dio non mi è riuscito tanto bene.
Ma quella sera, solo pochi giorni fa, ho reagito diversamente. Ho accettato con gioia la bellezza di questo mondo di Dio, malgrado tutto. Ho goduto altrettanto intensamente di quel paesaggio tacito e misterioso nel crepuscolo, ma in modo, per così dire, “oggettivo”. Non volevo più “possederlo”.
Oh, Dio, dammi la forza necessaria a rimanere ferma su questo punto.
Credo sinceramente che potrei esserlo, potrei anche dare un po' di forza alla vita degli altri ed essere davvero felice, perché anche l'autentica felicità è un traguardo: essere davvero felice dentro, accettare il mondo di Dio e goderne senza voltare le spalle a tutta la sofferenza che vi regna.
E adesso al lavoro! E conserva la pace e non dimenticare Dio nel frattempo.
Sia questo, dunque, lo scopo della meditazione: trasformare il tuo spazio interiore in un'ampia pianura vuota, senza tutta quell'erbaccia che impedisce la vista. Così che qualcosa di “Dio” possa entrare in te, come c'è qualcosa di “Dio” nella Nona di Beethoven.
Di nuovo arresti, terrore, campi di concentramento, sequestri di padri, sorelle e fratelli. Ci s'interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso: ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi, e con Dio. Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo.
Mio Dio, prendimi nella tua grande mano e fammi tuo strumento, fa' che io possa scrivere!
A Deventer le mie giornate erano come grandi pianure illuminate dal sole, ogni giornata era un tutto ininterrotto, mi sentivo in contatto con Dio e con tutti gli uomini
Nell'altro tipo di solitudine mi sento invece forte e sicura, in contatto con tutti, con tutto e con Dio, e so di poter affrontare la vita da sola senza dipendere dagli altri.
Ho ritrovato il contatto con me stessa, con la parte migliore e più profonda del mio essere, quella che io chiamo Dio, e quindi anche con te.
Dentro di me c'è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c'è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo.
M'immagino che certe persone preghino con gli occhi rivolti al cielo: esse cercano Dio fuori di sé. Ce ne sono altre che chinano il capo nascondendolo fra le mani, credo che cerchino Dio dentro di sé.
Io invece non credo di dover dipendere da un'altra persona nella mia vita, ma da me stessa e da Dio.
Vale davvero tanto la pena di vivere la vita. Dio, mio Dio, malgrado tutto tu mi sei vicino, almeno un po'.
Da qualche parte in me ci sono una malinconia, una tenerezza e anche un po' di saggezza che cercano una forma. A volte mi passano dentro dialoghi, immagini e figure, atmosfere. Questo improvviso affiorare di qualcosa che dovrà diventare la mia verità. Questo amore per gli altri che dovrà esser conquistato - non nella politica o in un partito, ma in me stessa. C'è ancora una falsa timidezza che m'impedisce di confessarlo. E poi Dio. “La ragazza che non sapeva inginocchiarsi e che pure lo imparò, sul ruvido tappeto di cocco, in una disordinata camera da bagno”. Ma sono faccende intime, quasi più intime di quelle del sesso. Vorrei poter rappresentare in tutte le sue sfumature queste processo interiore, la storia della ragazza che imparò a inginocchiarsi.
Non devi neanche usare Dio come un mezzo per dominarti, per placare te stessa.
Vedi, Dio, farò del mio meglio. Non mi sottrarrò a questa vita. Continuerò a parteciparvi e cercherò di sviluppare tutte le doti che ho, se ne ho. Non saboterò nulla. Ma dammi ogni tanto un segno. E lascia che un po' di musica fluisca da me, che quanto è in me prenda forma: ne ha bisogno così disperatamente.
Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace.
Dentro di me ci sono due grandi sentimenti basilari: l'amore, un amore inspiegabile, forse non meglio identificabile, perché è un sentimento primigenio nei confronti delle creature e di Dio, o perlomeno di ciò che io chiamo Dio; e la compassione, una compassione infinita che a volte mi provoca pianti a dirotto.
Ho fiducia in Dio, voglio fare della mia vita qualcosa di buono, accetto tutta la sofferenza che arriverà, ma lo pensi sul serio, se poi ti lasci andare ogni volta che sei depressa?
Queste parole mi accompagnano già da settimane: si deve avere anche il coraggio di dirlo. Avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio.
“Perdermi” per una persona è sparire dalla mia vita; forse mi è rimasto il desiderio di “perdermi” per Dio, o per una poesia.
Domenica ha ricevuto, con lettera raccomandata, il numero con cui può essere convocato in qualunque momento. E le cose stanno proprio così: minacciato dalla malattia, dalla deportazione, per non parlare di tessere, freddo e carenza di grassi, eppure avere fiducia, amare Dio e gli uomini senza vergogna, pensando che la vita sia buona. Ma bisogna essere preparati a tutto, e non allontanare il dolore.
È proprio la cosa peggiore di tutte: quando la luce dentro di te è spenta o, per dirla in modo ardito: quando Dio per un momento ti ha abbandonata. Ma ieri sera d'un tratto mi sono dovuta inginocchiare di nuovo, per via di un inatteso impeto interiore, al centro della camera, e la mattina grigia al risveglio non era più un pezzo di carta, ma aveva riconquistato la sua consueta ampiezza.
Ho dovuto percorrere un cammino faticoso per ritrovare quel gesto intimo verso Dio, la sera alla finestra, per poter dire: ti ringrazio, Signore. Nel mio mondo interiore regnano tranquillità e pace. È stato proprio un cammino faticoso. Ora sembra tutto così semplice e così ovvio. Questa frase mi ha perseguitata per settimane: Bisogna osar dire che si crede. Osar pronunciare il nome di Dio. In questo momento, un po' fiacca e stanca e triste e non del tutto contenta di me stessa, non sento così, ma so che questo sentimento esiste. Stasera non dirò certo niente a Dio, anche se sento il desiderio di quelle pietre fredde, di riflettere, di prendere le cose sul serio.
Tu vivi nel mio profondo, Dio; trovo questa vita tanto buona.
Dio, ti ringrazio. Ti ringrazio perché vuoi vivere in me. Ti ringrazio di tutto.
Sicché non riuscirò mai a ringraziare per il mio pane quotidiano, se so che così tanti altri non lo hanno. Ma, quando non avrò neanch'io quel pane quotidiano, spero di riuscire comunque a ringraziare per qualcos'altro: per avere Dio in me stessa.
Stamattina mi sono ritrovata d'un tratto inginocchiata presso la stufa spenta nella sala, dicendo: Mio Dio, dammi un po' di pazienza e un po' d'amore per le piccole cose della vita quotidiana.
Mio Dio, si può davvero essere grati per così tante cose buone
Oggi pomeriggio, con la musica di Beethoven, ho dovuto improvvisamente piegare il capo e pregare per tutti coloro che sono nei campi di concentramento: ho pregato Dio perché li renda forti e augurato loro che ricordino i momenti buoni della loro esistenza, così come in futuro, nei momenti più duri, anch'io mi ricorderò di questo giorno e dei molti giorni di quest'anno, e da essi trarrò la forza di non provare astio nei confronti della vita.
Quando avrai concesso al dolore il posto e lo spazio che le sue nobili origini richiedono, allora sì che potrai dire: la vita è tanto bella e ricca. Lo è al punto che potresti credere in Dio.
Del resto, c'è qualcosa di più intimo della relazione tra gli uomini e Dio?
A volte chiedo: Mio Dio, cosa ho fatto per meritarmi una vita tanto buona, bella e ricca? Ecco perché sono anche la tua creatura più felice su questa terra!
Io guardo il Tuo mondo in faccia, Dio, e non sfuggo alla realtà per rifugiarmi nei sogni - voglio dire che anche accanto alla realtà più atroce c'è posto per i bei sogni -, e continuo a lodare la Tua creazione, malgrado tutto!
Quella rosa tea gialla si è aperta. Già solo per tutto quel giallo, che non è neanche giallo, bisognerebbe credere in Dio.
I vizi più grandi non mi sono sconosciuti, ma conosco anche la più grande fiducia in Dio e lo spirito di sacrificio e l'amore per l'umanità. E faccio esperienza di tutto, corpo e anima, attraverso il sangue e l'oscurità, in ogni angolo del mio essere.
Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma ciò non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto allora verrà da sé
Sono sola, e posso prendere il volo tanto in alto e velocemente quanto voglio. È un inizio, ma quell'inizio c'è, lo so per certo. Significa raccogliere tutte le possibili forze e vivere la propria vita con Dio e in Dio e avere Dio in se stessi. (A volte trovo la parola Dio” così primitiva: è solo una metafora dopo tutto, un avvicinamento alla nostra più grande e continua avventura interiore; sono sicura di non aver neppure bisogno della parola “Dio”, che a volte si presenta come un suono primitivo, primordiale. Una costruzione di sostegno) E se, la sera, a volte sento il bisogno di parlare con Dio e dico molto infantilmente: Dio, con me non può andare avanti così - e talvolta le mie preghiere possono essere molto incerte e imploranti -, allora è proprio come se io mi rivolgessi a qualcosa dentro di me, o come se cercassi di implorare una parte di me stessa.
Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi a esserlo verso di lui.
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E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento
E più tardi ho chiesto a S.: Non è quasi empio continuare a credere così tanto in Dio di questi tempi? E non è frivolo, gli ho chiesto ancora, continuare a trovare la vita così bella?
Per me, io so questo: dobbiamo abbandonare le nostre preoccupazioni per pensare agli altri, che amiamo. Voglio dir questo: si deve tenere a disposizione di chiunque s'incontri per caso sul nostro sentiero, e che ne abbia bisogno, tutta la forza e l'amore e la fiducia in Dio che abbiamo in noi stessi, e che ultimamente stanno crescendo in modo così meraviglioso in me.
Di minuto in minuto desideri, necessità e legami si staccano da me, sono pronta a tutto, a ogni luogo di questa terra nel quale Dio mi manderà, sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono, ora. Abbiamo ricevuto in noi tutte le possibilità per sviluppare i nostri talenti, dovremo ancora imparare a far buon uso di queste nostre possibilità. È come se in ogni momento altri pesi mi cadano di dosso, come se tutti i confini che oggi ci sono tra persone e popoli non esistano più; in certi momenti è proprio come se la vita mi fosse divenuta trasparente e così anche il cuore umano, e io vedo, vedo e capisco sempre di più, e dentro di me sono sempre, sempre più in pace, e c'è in me una fiducia in Dio che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me. E ora al lavoro.
Parole come Dio e Morte e Dolore ed Eternità si devono dimenticare di nuovo. Si deve diventare un'altra volta così semplici e senza parole come il grano che cresce, o la pioggia che cade. Si deve semplicemente essere.
Si dovrebbe parlare delle questioni più gravi e importanti di questa vita solo quando le parole ci vengono semplici e naturali come l'acqua che sgorga da una sorgente.
E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio.
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Non mi faccio molte illusioni su come le cose stiano veramente e rinuncio persino alla pretesa di aiutare gli altri, partirò sempre dal principio di aiutare Dio il più possibile e se questo mi riuscirà, bene, allora vuol dire che saprò esserci anche per gli altri. Ma su questo punto non dobbiamo farci delle illusioni eroiche.
Trovo tutti questi ragionamenti così convenzionali e primitivi e non li sopporto più, non mi sento nelle grinfie di nessuno, mi sento soltanto nelle braccia di Dio per dirla con enfasi; e sia che ora io mi trovi qui, a questa scrivania terribilmente cara e familiare, o fra un mese in una nuda camera del ghetto o fors'anche in un campo di lavoro sorvegliato dalle SS, nelle braccia di Dio credo che mi sentirò sempre.
Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l'oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani - ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarTi affinché Tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che Tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch'esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la Tua responsabilità, più tardi sarai Tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare Te, difendere fino all'ultimo la Tua casa in noi. Esistono persone che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento - invece di salvare Te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: non prenderanno proprio me. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle Tue braccia. Comincio a sentirmi un po' più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con Te. Discorrerò con Te molto spesso, d'ora innanzi, e in questo modo Ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per Te e a esserTi fedele e non Ti caccerò via dal mio territorio.
Una volta che si comincia a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la vita diventa un'unica, lunga passeggiata.
Del resto, sono nelle mani di Dio. E lo è anche il mio corpo con tutti i suoi piccoli dolori. Quando mi ritroverò a terra distrutta e stordita, bisognerà che in un qualche angolino di me stessa io sappia che mi rialzerò un'altra volta, altrimenti sarò perduta.
Avrei tante cose da dirTi, mio Dio, ma devo andare a dormire. Sono come narcotizzata, e se non vado a letto alle dieci non sarò in grado di reggere a un'altra giornata come questa.
Del resto: prima dovrò aver trovato una lingua completamente nuova, per parlare di tutto ciò che ha toccato il mio cuore in questi ultimi giorni. Non ho affatto chiuso con noi due, mio Dio, né con questo mondo. Voglio vivere ancora a lungo e voglio condividere il destino riservato a tutti noi. Questi ultimi giorni, mio Dio, questi ultimi giorni!
Oggi, mentre passavo per quei corridoi così affollati, ho sentito improvvisamente un gran desiderio d'inginocchiarmi sul pavimento di pietra, in mezzo a tutta quella gente. L'unico atto degno di un uomo che ci sia rimasto di questi tempi è quello d'inginocchiarci davanti a Dio.
Eppure deve esserci qualcuno che sopravviverà e potrà testimoniare che Dio è vissuto anche in questi nostri tempi. E perché non dovrei essere io quel testimone?
Devo contare gli anni di una vita dura. E cercare di sopportarla, sforzandomi di salvare un pezzetto di Dio. E tuttavia penserò spesso di aver raggiunto la fine delle mie energie, me ne sono accorta oggi. Avverto di nuovo dentro di me una sicurezza e una forza incredibilmente grandi. E la sensazione di essere pronta a qualunque cosa.
Ora che veniamo quasi frantumati dai movimenti dei nostri tempi, tempi che forse un giorno potremo chiamare grandi, ciò che conta davvero è innalzare Dio, come un vessillo, al di sopra delle mille paure, delle oppressioni e dello sconforto di ogni giorno.
La giornata di ieri mi ha dato tanto coraggio, ho capito che Dio rinnova sempre le mie forze. Mille fili mi legano ancora qui. Dovrò strapparli a uno a uno e caricare tutto a bordo, così non lascerò indietro niente quando dovrò partire, porterò tutto dentro di me.
Forse è stato tutto un po' troppo, mio Dio. Sono costretta a ricordarmi che un essere umano ha anche un corpo. Avevo creduto che il mio spirito e il mio cuore potessero sopportare tutto da soli. Ma il mio corpo si fa sentire e dice: alt. Ora mi rendo conto di quanto Tu mi abbia dato da sostenere, mio Dio. Tante cose belle e tante cose difficili. E quelle difficili si sono trasformate in belle ogni volta che ero disposta a sopportarle. E certe volte è stato più difficile sopportare le cose belle e grandi che quelle dolorose, perché ne ero come sopraffatta. Pensare che un piccolo cuore umano possa provare così tanto, mio Dio, possa soffrire e amare a tal punto. Ti sono così riconoscente perché hai scelto proprio il mio cuore, di questi tempi, per fargli sopportare tutto quanto. Forse è un bene che mi sia ammalata, non ho ancora accettato questo fatto e mi sento un po' intontita e smarrita e abbandonata; ma sto anche cercando in tutti i modi di mettere insieme un po' di pazienza, sento bene che per una situazione così nuova ci vorrà una pazienza del tutto nuova. Riprenderò la vecchia, collaudata abitudine e di tanto in tanto discorrerò un pochino con me stessa su queste righine blu. Parlerò con Te, mio Dio. Posso? Poiché le persone scompaiono, non mi resta altro che il desiderio di parlare con Te. Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di Te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di Te. E cerco di disseppellirTi dal loro cuore, mio Dio. Ma ora avrò bisogno di molta pazienza e riflessione e sarà molto difficile. E dovrò far tutto da sola. La parte migliore e più nobile del mio amico, dell'uomo che Ti ha risvegliato in me, è già presso di Te. È solo più rimasto un vecchio consunto e infantile in quelle due camerette, là dove ho vissuto le gioie più grandi e più profonde della mia vita. Ho sostato accanto al suo letto e mi sono trovata davanti ai Tuoi massimi enigmi, mio Dio. Dammi ancora una vita intera per poter capire tutto quanto.
Mi metti davanti ai Tuoi massimi enigmi, mio Dio. Ti sono riconoscente per questo, ho anche la forza di affrontarli, di sapere che non c'è risposta. Bisogna saper sopportare i Tuoi misteri.
Il sentimento che ho della vita è così intenso e grande, sereno e riconoscente, che non voglio neppur provare a esprimerlo in una parola sola. In me c'è una felicità così perfetta e piena, mio Dio. Probabilmente la definizione migliore sarebbe di nuovo la sua: “riposare in se stessi”, e forse sarebbe anche la definizione più completa di come io sento la vita: io riposo in me stessa. E questo “me stessa”, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo “Dio”. Nel diario di Tide ho trovato spesso questa frase: Padre, prendilo dolcemente fra le Tue braccia. È così che mi sento, sempre e ininterrottamente: come se stessi fra le Tue braccia, mio Dio, così protetta e sicura e impregnata d'eternità. Come se ogni mio respiro fosse eterno, e la più piccola azione o parola avesse un vasto sfondo e un profondo significato.
S. mi aveva scritto in una delle sue prime lettere: “E se posso trasmettere qualcosa di questa forza sovrabbondante, sono contento”. Mio Dio, è un bene che Tu abbia fatto fermare il mio corpo. Devo guarire completamente per fare ciò che devo. Ma forse, anche questa è un'idea convenzionale. Lo spirito non dovrebbe forse continuare a lavorare e a essere creativo anche quando il corpo è malato? E amare e hineinhorchen, “prestare ascolto dentro” di sé, dentro gli altri, all'interno del contesto di questa vita, e dentro Te. Hineinhorchen, vorrei trovare una buona traduzione olandese di questa parola. In fondo, la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che presta ascolto alla parte più essenziale e profonda dell'altro. Dio a Dio.
Quanto sono grandi le necessità delle Tue creature terrestri, mio Dio. Ti ringrazio perché lasci che tante persone vengano a me con le loro pene: parlano tranquille e senza sospetti, e d'un tratto viene fuori tutta la loro pena, e si scopre una povera creatura disperata che non sa come vivere.
E a quel punto cominciano i miei problemi. Non basta predicarTi, mio Dio, non basta disseppellirTi dai cuori altrui. Bisogna aprirTi la via, mio Dio, e per far questo bisogna essere un gran conoscitore dell'animo umano, un esperto psicologo: rapporti con padre e madre, ricordi giovanili, sogni, sensi di colpa, complessi d'inferiorità, insomma tutto quanto. In ogni persona che viene da me io mi metto a esplorare, con cautela. I miei strumenti per aprirTi la strada negli altri sono ancora ben limitati. Ma esistono già, in qualche misura: li migliorerò pian piano e con molta pazienza. E Ti ringrazio per questo dono di poter leggere negli altri. A volte le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e stanze, ogni casa è arredata in modo un po' diverso ma in fondo è uguale alle altre, di ognuna si dovrebbe fare una dimora consacrata a Te, mio Dio. Ti prometto, Ti prometto che cercherò sempre di trovarTi una casa e un ricovero. In fondo è una buffa immagine: io mi metto in cammino e cerco un tetto per Te. Ci sono così tante case vuote, a loro offro Te come commensale più importante. Perdonami questa metafora non troppo sottile. E torno sempre con il mio Rilke: “Perché, davvero, anche la grandezza degli dèi dipende dalla loro precarietà, dal fatto che qualunque sia la dimora in cui li si custodisce, al sicuro lo sono soltanto nei nostri cuori”.
Le Tue lezioni sono dure, mio Dio, lascia che io sia la Tua buona e paziente allieva.
...
Come posso ringraziarTi, mio Dio, per tutto il bene che fai affluire in me, ininterrottamente. Per tutta l'amicizia, peri molti pensieri fecondi, per il grande amore che c'è in me e che io riesco a riversare in tutto, a ogni passo. A volte credo quasi che sia troppo, e allora non so come comportarmi, per agire bene. Del resto, sembra che grazie a quel grande amore tutto ciò che fai diventi fecondo - forse un giorno riuscirò a esprimerlo.
Credo che sia soprattutto la paura di sprecarsi a sottrarre alle persone le loro forze migliori. Se, dopo un laborioso processo che è andato avanti giorno dopo giorno, riusciamo ad aprirci un varco fino alle sorgenti originarie che abbiamo dentro di noi, e che io chiamerò “Dio”, e se poi facciamo in modo che questo varco rimanga sempre libero, “lavorando a noi stessi”, allora ci rinnoveremo in continuazione e non avremo più da preoccuparci di dar fondo alle nostre forze.
Essere fedeli a tutto ciò che si è cominciato spontaneamente, a volte fin troppo spontaneamente.
Essere fedeli a ogni sentimento, a ogni pensiero che ha cominciato a germogliare.
Essere fedeli nel senso più largo del termine, fedeli a se stessi, a Dio, ai propri momenti migliori.
Aspetterò ancora un Tuo cenno, mio Dio, nel frattempo mi dispongo a partire. Tratterò con Te - vuoi?
Siamo rimasti solo Dio e io. Non c'è più nessun altro che mi possa aiutare. Ho delle responsabilità, ma non me le prendo veramente: scherzo ancora troppo e sono indisciplinata.
Rileggerò sant'Agostino. È così austero e così ardente. È così appassionato, si abbandona così completamente nelle sue lettere d'amore a Dio. In fondo, quelle a Dio sono le uniche lettere d'amore che si dovrebbero scrivere.