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    Storia di Francesco

    AnnaClaudia Losacco *

    Anna Claudia


    “Io vorrei spingermi un poco più al di là
    Dove la musica è un fuoco che ci unisce
    E fa brillare tutta la realtà
    Dove la verità non appassisce”
    (Jovanotti - Mani libere)


    Credere in qualcosa o in qualcuno è così complicato che, quando lo fai, sei pieno di gratitudine. E per quanto il mio servizio in oratorio non mi abbia mai stancata, c’è sempre “un motore” che mi spinge ad andare avanti: il gruppo che mi è stato affidato qualche anno fa.
    Ci troviamo al quartiere Libertà: un quartiere di Bari difficile, denigrato da molti (soprattutto da quelli che non ci vivono), ma che è ricco di persone piene di speranze di vita e di tanti “ragazzini per strada” ricchi di sogni. Quei sogni che per loro è difficile poter realizzare, se non sono propriamente guidati da qualcuno che ci crede.
    E se dovessi fare mente locale proprio a quel giorno in cui mi è stato chiesto di seguire quel gruppo di preadolescenti, potrei dire con certezza che non avrei mai scommesso un euro su tutto quello che di lì a poco si sarebbe creato.
    È vero, tra i ragazzi non si fa alcuna distinzione. Ma, fra tutte le loro storie, c’è da sempre una che, rispetto alle altre, mi ha particolarmente colpita: la storia di Francesco (nome di fantasia).
    Quando l’ho conosciuto per la prima volta aveva soltanto undici anni e la cosa che mi impressionava era proprio il suo modo di relazionarsi con gli altri. Infatti, quando lui conosce persone nuove, non cerca di capire com’è fatto l’altro o tantomeno di intraprendere una conversazione, bensì decide subito di infastidirti e provocarti anche con frasi sgradevoli. In realtà, però, sta solamente cercando di capire com’è fatto l’altro e vedere se questa persona possa essergli simpatica o meno.
    Allo stesso tempo, però, sapevo in cuor mio che il suo mondo era più grande di quello in cui si trovavano gli altri e che lui avesse quel qualcosa in più che avrebbe potuto arricchire la mia vita e per questo motivo io avevo il compito di dover capire quale fosse il suo “punto accessibile al bene”.
    Francesco sotto tanti aspetti si può ritenere un ragazzo abbastanza fortunato, al quale basta avere un pallone tra i piedi per migliorare la giornata, ma che vive parecchie difficoltà dovute anche dall’età e dal contesto familiare in cui si trova, che non è per niente facile. Perché diciamocelo, essere genitori sarà anche il lavoro più bello e difficile del mondo, ma dover educare un ragazzo sapendo che nessuno in lui ci crede o che un giorno potrebbe diventare lo specchio di ciò che nella realtà dovrebbe evitare… beh, per me è stato un lavoro davvero complicato.
    Un episodio che ha rafforzato il nostro legame è stato proprio durante un’esperienza estiva. Dopo un litigio che si sarebbe rivelato il primo di una lunga serie, era arrivato il momento del gioco e, ad un certo punto, mi accorgo che lui decide di estraniarsi dagli altri e di mettersi seduto in disparte. Così, dopo aver notato questo dettaglio, decido di sedermi accanto a lui per poter capire cosa stesse passando in quel momento nella sua testa e poterci fare una lunga chiacchierata. La sua risposta “Ho deciso di mettermi in castigo da solo” mi ha fatto riflettere e tanto pensare a quanta sofferenza lui possa provare nella sua giovane vita, a quante mancanze deve dare peso e a quante cavolate è costretto a fare per poter colmare questi vuoti o per farsi accettare dagli altri e, di conseguenza, mostrarsi per quello che realmente non è. Ed infatti, dopo averlo guardato negli occhi ed avergli chiesto con molta calma un semplice “Come stai?”, Francesco ha esternato tutto il suo mondo e la sua rabbia, piangendo o rimanendo tante volte in silenzio perché preferiva riflettere sulle sue azioni, piuttosto che dire qualcosa di non giusto scaturito dal momento di rabbia e vergogna.
    Ora Francesco ha quattordici anni, frequenta il primo anno in una scuola superiore e a breve inizierà il percorso per poter diventare pre-animatore. E per me, non c’è vittoria più bella di questa. Vedere un ragazzo che, attraverso i tuoi gesti ed insegnamenti, prova a mettere in pratica il bene dimostratogli.
    E non a caso, ho deciso di iniziare quest’articolo con la citazione di Jovanotti perché, se c’è una cosa che ho capito grazie a lui è che tante volte denigrare o lasciare fuori un ragazzo che talvolta riteniamo “attivo” o “fuori luogo”, in realtà è solo una scusa per chi non ha voglia di perdere tempo per il bene di un giovane. Spingersi altrove, dedicare del tempo, prestare ascolto o attenzione può davvero salvare una vita. Perché è proprio attraverso loro che la mia vita si è riempita di gioia, gratitudine, ricchezza e meraviglia. Perché nei loro occhi e negli occhi di Francesco, Dio mi parla continuamente e quotidianamente mi ricorda che quel “cento volte tanto” mi ha dato solo il coraggio di aiutare e di donare vita a loro e, attraverso loro, a me stessa.

    * 23 anni, animatrice dell'oratorio salesiano Redentore di Bari e studentessa in Scienze della Comunicazione all'Università degli studi Aldo Moro di Bari.


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